Content analysis
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Autore: M. Britto Berchmans
Accanto ai sondaggi, l’analisi del contenuto è la metodologia preferita dai ricercatori di scienze delle comunicazioni.
L’origine di questa tecnica così ampiamente utilizzata risale alla seconda guerra mondiale, quando i ricercatori delle forze alleate si misero a studiare la quantità e i tipi di canzoni popolari trasmesse dalle stazioni radiofoniche europee (Wimmer-Dominick, 1997). Confrontando la musica trasmessa dalle radio tedesche con quella dei Paesi dell’Europa occupata, i ricercatori furono in grado di stabilire con una certa precisione i cambiamenti negli spostamenti delle truppe tedesche sul continente. Alla fine della guerra gli studiosi di comunicazione hanno continuato a usare questo metodo per esaminare la propaganda diffusa attraverso i giornali e la radio. Con la pubblicazione del volume Content Analysis in Communication Research di Bernard Berelson (1952), il metodo viene pienamente accettato come strumento di ricerca negli studi sui media.
L’analisi del contenuto può essere utile per una varietà di scopi. Prima di tutto può essere usata per catalogare le caratteristiche di certi contenuti in uno o più periodi di tempo. In questo caso l’analisi ha un carattere puramente descrittivo. Secondo, può essere usata per testare certe ipotesi sulle caratteristiche di un dato messaggio. Per esempio, la si potrebbe usare per accertare se certi tipi di fonti producono contenuti con certe caratteristiche. Terzo, l’analisi del contenuto può essere usata per fare dei ‘controlli della realtà’, e cioè per confrontare il contenuto mediale con il mondo reale. Per esempio, si potrebbe stabilire la corrispondenza tra la rappresentazione della violenza in Tv e la quantità di violenza effettivamente esistente nel mondo reale. Quarto, questo metodo può essere usato per stabilire l’immagine mediale di certe minoranze o anche di certi personaggi in vista. Infine, l’analisi del contenuto può essere un ottimo punto di partenza per gli studi sugli effetti dei media. Per esempio, usando quest’approccio, l’analisi della ‘coltivazione’ è giunta alla conclusione che i telespettatori più assidui modellano il loro mondo secondo quanto vedono in televisione. ( Cultivation Theory)
Prima di tutto, l’analisi del contenuto deve essere sistematica, sia nel selezionare il campione sia nel condurre l’analisi vera e propria. La selezione del campione deve seguire le procedure stabilite e ogni elemento deve avere un’equa possibilità di essere incluso nel campione. Inoltre, durante l’analisi tutto il contenuto in esame deve essere trattato esattamente allo stesso modo. Per assicurarsi che anche la valutazione venga condotta in maniera sistematica, occorre utilizzare per tutto lo studio soltanto un’unica serie di direttive.
Secondo, l’analisi del contenuto deve essere obiettiva. Anche se l’obiettività perfetta è irraggiungibile, è pur sempre possibile avere delle definizioni operative e delle regole di classificazione delle variabili il più possibile esplicite ed esaustive, così da permettere a un altro ricercatore, che si trovi a ripetere lo stesso processo, di raggiungere le stesse conclusioni. Occorre dunque stabilire un insieme di criteri e procedure che spieghino chiaramente i metodi di campionatura e categorizzazione impiegati.
Terzo, l’analisi del contenuto deve essere quantitativa. Il metodo deve cioè quantificare il messaggio in maniera tale da permettere conclusioni precise. La quantificazione fa sì che i ricercatori possano riassumere i loro risultati per presentarli in maniera sintetica. Inoltre, essa permette di usare strumenti statistici che possono essere utili nell’interpretazione e nell’analisi. Tuttavia, il semplice contare a volte può non essere sufficiente per arrivare a certe conclusioni. Come Babbie (1992) fa notare, in questi casi la valutazione qualitativa dei testi è notevolmente più appropriata.
1) Formulare l’ipotesi o la domanda di ricerca. Non ci si dovrebbe imbarcare in un’analisi del contenuto per il semplice piacere di ‘contare’. Come per ogni altra forma di ricerca, occorre avere ben chiara un’ipotesi o domanda di ricerca, maturata normalmente dopo un attento esame della letteratura già esistente sull’argomento. Un’ipotesi di ricerca ben formulata facilita lo sviluppo di categorie di contenuto accurate e significative che a loro volta aiutano a produrre dati di valore.
2) Definire la popolazione considerata. Come seconda fase, il ricercatore deve stabilire i confini del contenuto preso in esame e ciò richiede un’adeguata definizione della porzione di popolazione interessata. Prima di decidere tale popolazione, occorre determinare il contesto considerando due dimensioni: l’area topica che sarà studiata e il periodo di tempo dello studio.
3) Selezionare un campione. Rimandando alla voce relativa (Campionamento, campione) per un approfondimento, qui basta ricordare alcune direttive specifiche del processo di campionatura. Se la ricerca si concentra su una quantità finita di dati, il contenuto si può facilmente misurare. Tuttavia, nella maggior parte dei casi il contenuto preso in esame è troppo vasto per cui bisogna selezionare un campione. La tecnica di campionatura più comunemente usata nell’analisi del contenuto è quella a livelli multipli. Prima il ricercatore sceglie una serie di fonti (giornali, riviste, film...) e dopo seleziona certi dati (per esempio, certi numeri di un giornale o di una rivista). Con questa selezione a doppio livello, il ricercatore può arrivare ad avere una quantità di dati da analizzare più facilmente gestibile.
4) Selezionare l’unità di analisi. L’elemento minimo di un’analisi del contenuto, ciò che viene effettivamente misurato, si chiama unità di analisi. Mentre con il contenuto scritto, tale unità può essere una singola parola o un simbolo, un tema o un articolo o una storia, nelle analisi della televisione e del cinema le unità di analisi possono essere personaggi, azioni, scene o interi programmi. È più semplice contare certe unità di analisi di altre. Per esempio, è piuttosto facile identificare gli avvenimenti riportati dalle notizie internazionali, mentre contare le azioni ‘violente’ in televisione può diventare assai complicato. Occorre dunque formulare in maniera chiara e precisa delle definizioni operative dell’unità di analisi, come pure rendere evidenti e facilmente osservabili i criteri di inclusione. Il ricercatore non arriva a questi obiettivi subito, ma solo dopo un graduale processo di ‘prova ed errore’ e di perfezionamento.
5) Costruire le categorie di contenuto dell’analisi. Questa fase probabilmente è la più importante. Come Berelson nota nel suo storico volume (1952), se non si sviluppano delle categorie di contenuto ben definite e adeguate all’argomento in esame, l’analisi non sarà produttiva. Bisogna dunque classificare i dati secondo certe categorie di contenuto sviluppate dallo stesso ricercatore. Queste categorie devono essere reciprocamente esclusive, esaustive e affidabili. Innanzitutto devono essere reciprocamente esclusive, e cioè un’unità di analisi può essere inserita soltanto in una categoria di contenuto. Nel caso in cui un’unità possa essere inserita in due categorie diverse, allora il ricercatore dovrà modificare il suo sistema di categorizzazione in modo da rendere le categorie reciprocamente esclusive. Secondo, le categorie devono essere esaustive, e cioè ogni unità di analisi deve essere inserita in una categoria; in molte analisi del contenuto i ricercatori spesso risolvono il problema dell’esaustività creando una categoria chiamata ‘altro’ o ‘vari’. Terzo, le categorie devono essere affidabili. I vari codificatori devono essere ampiamente d’accordo sulla categoria di contenuto più adeguata per ciascuna unità di analisi. Questo accordo tra i diversi codificatori viene quantificato e chiamato affidabilità inter-codificatore.
6) Stabilire un sistema quantitativo. Anche se la quantificazione nell’analisi del contenuto può richiedere tutti e quattro i livelli di misurazione previsti dalla ricerca delle scienze sociali, di solito ne vengono impiegati solo tre: nominale, a intervalli e dei dati proporzionali. Le misurazioni nominali permettono al ricercatore di contare semplicemente la frequenza delle unità in ciascuna categoria di contenuto. Trattandosi di una misurazione superficiale, occorre aggiungere quella a intervalli per dare più profondità e complessità all’analisi. I ricercatori possono sviluppare delle scale che i codificatori usano per classificare certi attributi dei personaggi o situazioni. Le scale di classificazione, tuttavia, introducono nel processo di codificazione un elemento di soggettività. Nella ricerca delle comunicazioni di massa, le misurazioni proporzionali si riferiscono allo spazio e al tempo. Per esempio, quando si analizzano i fatti riportati da un giornale, si può misurare la lunghezza del relativo testo in centimetri-colonna. Nel caso delle trasmissioni radiotelevisive si può misurare la lunghezza del programma in minuti o secondi.
7) Codificare il contenuto. Il processo di classificazione di un’unità di analisi all’interno di una certa categoria di contenuto si chiama codificazione e codificatori sono le persone che se ne incaricano. In qualsiasi analisi del contenuto il numero dei codificatori è piuttosto basso (da tre a sei). Per far sì che l’analisi sia più affidabile, tutti i codificatori devono sottoporsi a una o più sedute di preparazione durante le quali familiarizzano con le definizioni e le unità di analisi, e si esercitano nelle procedure di codificazione. Per rendere la codificazione più semplice e affidabile, le analisi del contenuto di solito impiegano dei prestampati standardizzati simili ai questionari usati nei sondaggi. Grazie a essi i codificatori possono classificare i dati semplicemente spuntando le voci presenti nel prestampato.
8) Analizzare i dati. Come i sondaggi, anche l’analisi del contenuto richiede un’analisi statistica la cui tipologia dipende dagli obiettivi della ricerca. Quando un ricercatore vuole testare l’ipotesi di partenza, occorre usare statistiche inferenziali. Viene di solito usato il test chi-quadro poiché i dati dell’analisi del contenuto tendono a essere nominali. Dal momento che di solito vengono prese in considerazione grandi quantità di dati, si ricorre spesso a software specializzati come l’SPSS (Statistical Package for Social Science).
9) Interpretare i risultati. È nell’interpretazione dei risultati che un ricercatore rivela tutta la sua creatività e originalità. Oltre a presentare i risultati della sua ricerca in maniera chiara e coerente, egli deve dimostrare che essi aggiungono qualcosa di nuovo e di significativo alla letteratura già esistente sull’argomento. Per cui, in questa fase del processo, il ricercatore deve ritornare al suo studio della letteratura e dimostrare come i suoi risultati provino o smentiscano le conoscenze esistenti.
Far esercitare i codificatori nell’uso dello schema di codificazione e del sistema di categorie. I codificatori possono essere coinvolti nelle fasi pre-test del processo e con il loro aiuto si possono risolvere certi problemi metodologici. Durante queste esercitazioni, il gruppo dei codificatori può cominciare a fare pratica di codificazione di un certo materiale e alla fine può discutere i risultati e gli obiettivi dello studio. Dopo queste discussioni ogni codificatore dovrebbe ricevere un manuale di istruzioni dettagliate ricco di esempi di codificazione.
Condurre uno studio-pilota. I codificatori dovrebbero essere stimolati a codificare autonomamente un sotto-campione del contenuto e a discutere assieme dei problemi e dei dubbi che si sono venuti a creare. Lo studio-pilota può anche aiutare, da una parte, a individuare le categorie definite male, dall’altra a stabilire se vi sono codificatori in disaccordo cronico con gli altri.
Oltre a essere affidabile, una ricerca deve anche proporre risultati validi. La validità definisce fino a che punto uno strumento di ricerca misura bene ciò che è destinato a misurare. Se l’affidabilità è alta, la campionatura è fatta correttamente e le categorie di contenuto sono sviluppate adeguatamente, si può ottenere uno studio valido. Bisogna prestare grande attenzione al modo in cui si definiscono le categorie. Per esempio, il modo in cui si definisce il concetto di ‘violenza’ può determinare la validità di un’analisi del contenuto dei programmi televisivi violenti.
L’origine di questa tecnica così ampiamente utilizzata risale alla seconda guerra mondiale, quando i ricercatori delle forze alleate si misero a studiare la quantità e i tipi di canzoni popolari trasmesse dalle stazioni radiofoniche europee (Wimmer-Dominick, 1997). Confrontando la musica trasmessa dalle radio tedesche con quella dei Paesi dell’Europa occupata, i ricercatori furono in grado di stabilire con una certa precisione i cambiamenti negli spostamenti delle truppe tedesche sul continente. Alla fine della guerra gli studiosi di comunicazione hanno continuato a usare questo metodo per esaminare la propaganda diffusa attraverso i giornali e la radio. Con la pubblicazione del volume Content Analysis in Communication Research di Bernard Berelson (1952), il metodo viene pienamente accettato come strumento di ricerca negli studi sui media.
L’analisi del contenuto può essere utile per una varietà di scopi. Prima di tutto può essere usata per catalogare le caratteristiche di certi contenuti in uno o più periodi di tempo. In questo caso l’analisi ha un carattere puramente descrittivo. Secondo, può essere usata per testare certe ipotesi sulle caratteristiche di un dato messaggio. Per esempio, la si potrebbe usare per accertare se certi tipi di fonti producono contenuti con certe caratteristiche. Terzo, l’analisi del contenuto può essere usata per fare dei ‘controlli della realtà’, e cioè per confrontare il contenuto mediale con il mondo reale. Per esempio, si potrebbe stabilire la corrispondenza tra la rappresentazione della violenza in Tv e la quantità di violenza effettivamente esistente nel mondo reale. Quarto, questo metodo può essere usato per stabilire l’immagine mediale di certe minoranze o anche di certi personaggi in vista. Infine, l’analisi del contenuto può essere un ottimo punto di partenza per gli studi sugli effetti dei media. Per esempio, usando quest’approccio, l’analisi della ‘coltivazione’ è giunta alla conclusione che i telespettatori più assidui modellano il loro mondo secondo quanto vedono in televisione. ( Cultivation Theory)
1. Definizione dell’analisi del contenuto
Anche se gli studiosi hanno definito l’analisi del contenuto in modi diversi, la definizione di Kerlinger (1986) può essere considerata la più adeguata: è un metodo di studio e di analisi dei messaggi della comunicazione sistematico, oggettivo e quantitativo determinante avente lo scopo di misurare determinate variabili. Come si vede, questa definizione implica tre concetti fondamentali su cui occorre soffermarsi.Prima di tutto, l’analisi del contenuto deve essere sistematica, sia nel selezionare il campione sia nel condurre l’analisi vera e propria. La selezione del campione deve seguire le procedure stabilite e ogni elemento deve avere un’equa possibilità di essere incluso nel campione. Inoltre, durante l’analisi tutto il contenuto in esame deve essere trattato esattamente allo stesso modo. Per assicurarsi che anche la valutazione venga condotta in maniera sistematica, occorre utilizzare per tutto lo studio soltanto un’unica serie di direttive.
Secondo, l’analisi del contenuto deve essere obiettiva. Anche se l’obiettività perfetta è irraggiungibile, è pur sempre possibile avere delle definizioni operative e delle regole di classificazione delle variabili il più possibile esplicite ed esaustive, così da permettere a un altro ricercatore, che si trovi a ripetere lo stesso processo, di raggiungere le stesse conclusioni. Occorre dunque stabilire un insieme di criteri e procedure che spieghino chiaramente i metodi di campionatura e categorizzazione impiegati.
Terzo, l’analisi del contenuto deve essere quantitativa. Il metodo deve cioè quantificare il messaggio in maniera tale da permettere conclusioni precise. La quantificazione fa sì che i ricercatori possano riassumere i loro risultati per presentarli in maniera sintetica. Inoltre, essa permette di usare strumenti statistici che possono essere utili nell’interpretazione e nell’analisi. Tuttavia, il semplice contare a volte può non essere sufficiente per arrivare a certe conclusioni. Come Babbie (1992) fa notare, in questi casi la valutazione qualitativa dei testi è notevolmente più appropriata.
2. Le fasi dell’analisi del contenuto
L’analisi del contenuto segue delle fasi ben precise. Anche se non è necessario che siano condotte nella stessa sequenza con cui vengono elencate qui, è importante tuttavia seguire un certo ordine al fine di assicurare all’analisi la massima precisione e obiettività. Wimmer e Dominick (1997) elencano nove fasi di questo processo.1) Formulare l’ipotesi o la domanda di ricerca. Non ci si dovrebbe imbarcare in un’analisi del contenuto per il semplice piacere di ‘contare’. Come per ogni altra forma di ricerca, occorre avere ben chiara un’ipotesi o domanda di ricerca, maturata normalmente dopo un attento esame della letteratura già esistente sull’argomento. Un’ipotesi di ricerca ben formulata facilita lo sviluppo di categorie di contenuto accurate e significative che a loro volta aiutano a produrre dati di valore.
2) Definire la popolazione considerata. Come seconda fase, il ricercatore deve stabilire i confini del contenuto preso in esame e ciò richiede un’adeguata definizione della porzione di popolazione interessata. Prima di decidere tale popolazione, occorre determinare il contesto considerando due dimensioni: l’area topica che sarà studiata e il periodo di tempo dello studio.
3) Selezionare un campione. Rimandando alla voce relativa (Campionamento, campione) per un approfondimento, qui basta ricordare alcune direttive specifiche del processo di campionatura. Se la ricerca si concentra su una quantità finita di dati, il contenuto si può facilmente misurare. Tuttavia, nella maggior parte dei casi il contenuto preso in esame è troppo vasto per cui bisogna selezionare un campione. La tecnica di campionatura più comunemente usata nell’analisi del contenuto è quella a livelli multipli. Prima il ricercatore sceglie una serie di fonti (giornali, riviste, film...) e dopo seleziona certi dati (per esempio, certi numeri di un giornale o di una rivista). Con questa selezione a doppio livello, il ricercatore può arrivare ad avere una quantità di dati da analizzare più facilmente gestibile.
4) Selezionare l’unità di analisi. L’elemento minimo di un’analisi del contenuto, ciò che viene effettivamente misurato, si chiama unità di analisi. Mentre con il contenuto scritto, tale unità può essere una singola parola o un simbolo, un tema o un articolo o una storia, nelle analisi della televisione e del cinema le unità di analisi possono essere personaggi, azioni, scene o interi programmi. È più semplice contare certe unità di analisi di altre. Per esempio, è piuttosto facile identificare gli avvenimenti riportati dalle notizie internazionali, mentre contare le azioni ‘violente’ in televisione può diventare assai complicato. Occorre dunque formulare in maniera chiara e precisa delle definizioni operative dell’unità di analisi, come pure rendere evidenti e facilmente osservabili i criteri di inclusione. Il ricercatore non arriva a questi obiettivi subito, ma solo dopo un graduale processo di ‘prova ed errore’ e di perfezionamento.
5) Costruire le categorie di contenuto dell’analisi. Questa fase probabilmente è la più importante. Come Berelson nota nel suo storico volume (1952), se non si sviluppano delle categorie di contenuto ben definite e adeguate all’argomento in esame, l’analisi non sarà produttiva. Bisogna dunque classificare i dati secondo certe categorie di contenuto sviluppate dallo stesso ricercatore. Queste categorie devono essere reciprocamente esclusive, esaustive e affidabili. Innanzitutto devono essere reciprocamente esclusive, e cioè un’unità di analisi può essere inserita soltanto in una categoria di contenuto. Nel caso in cui un’unità possa essere inserita in due categorie diverse, allora il ricercatore dovrà modificare il suo sistema di categorizzazione in modo da rendere le categorie reciprocamente esclusive. Secondo, le categorie devono essere esaustive, e cioè ogni unità di analisi deve essere inserita in una categoria; in molte analisi del contenuto i ricercatori spesso risolvono il problema dell’esaustività creando una categoria chiamata ‘altro’ o ‘vari’. Terzo, le categorie devono essere affidabili. I vari codificatori devono essere ampiamente d’accordo sulla categoria di contenuto più adeguata per ciascuna unità di analisi. Questo accordo tra i diversi codificatori viene quantificato e chiamato affidabilità inter-codificatore.
6) Stabilire un sistema quantitativo. Anche se la quantificazione nell’analisi del contenuto può richiedere tutti e quattro i livelli di misurazione previsti dalla ricerca delle scienze sociali, di solito ne vengono impiegati solo tre: nominale, a intervalli e dei dati proporzionali. Le misurazioni nominali permettono al ricercatore di contare semplicemente la frequenza delle unità in ciascuna categoria di contenuto. Trattandosi di una misurazione superficiale, occorre aggiungere quella a intervalli per dare più profondità e complessità all’analisi. I ricercatori possono sviluppare delle scale che i codificatori usano per classificare certi attributi dei personaggi o situazioni. Le scale di classificazione, tuttavia, introducono nel processo di codificazione un elemento di soggettività. Nella ricerca delle comunicazioni di massa, le misurazioni proporzionali si riferiscono allo spazio e al tempo. Per esempio, quando si analizzano i fatti riportati da un giornale, si può misurare la lunghezza del relativo testo in centimetri-colonna. Nel caso delle trasmissioni radiotelevisive si può misurare la lunghezza del programma in minuti o secondi.
7) Codificare il contenuto. Il processo di classificazione di un’unità di analisi all’interno di una certa categoria di contenuto si chiama codificazione e codificatori sono le persone che se ne incaricano. In qualsiasi analisi del contenuto il numero dei codificatori è piuttosto basso (da tre a sei). Per far sì che l’analisi sia più affidabile, tutti i codificatori devono sottoporsi a una o più sedute di preparazione durante le quali familiarizzano con le definizioni e le unità di analisi, e si esercitano nelle procedure di codificazione. Per rendere la codificazione più semplice e affidabile, le analisi del contenuto di solito impiegano dei prestampati standardizzati simili ai questionari usati nei sondaggi. Grazie a essi i codificatori possono classificare i dati semplicemente spuntando le voci presenti nel prestampato.
8) Analizzare i dati. Come i sondaggi, anche l’analisi del contenuto richiede un’analisi statistica la cui tipologia dipende dagli obiettivi della ricerca. Quando un ricercatore vuole testare l’ipotesi di partenza, occorre usare statistiche inferenziali. Viene di solito usato il test chi-quadro poiché i dati dell’analisi del contenuto tendono a essere nominali. Dal momento che di solito vengono prese in considerazione grandi quantità di dati, si ricorre spesso a software specializzati come l’SPSS (Statistical Package for Social Science).
9) Interpretare i risultati. È nell’interpretazione dei risultati che un ricercatore rivela tutta la sua creatività e originalità. Oltre a presentare i risultati della sua ricerca in maniera chiara e coerente, egli deve dimostrare che essi aggiungono qualcosa di nuovo e di significativo alla letteratura già esistente sull’argomento. Per cui, in questa fase del processo, il ricercatore deve ritornare al suo studio della letteratura e dimostrare come i suoi risultati provino o smentiscano le conoscenze esistenti.
3. Alcune considerazioni sull’affidabilità e la validità
Definire i confini delle categorie di contenuto nella maniera più dettagliata possibile. Per raggiungere il massimo di affidabilità, il ricercatore deve formulare chiaramente le definizioni operative delle categorie di contenuto, evitando qualsiasi ambiguità. Deve dare ai codificatori alcuni esempi di unità di analisi, corredati di una breve spiegazione, in modo da permettere loro di capire fino in fondo le procedure.Far esercitare i codificatori nell’uso dello schema di codificazione e del sistema di categorie. I codificatori possono essere coinvolti nelle fasi pre-test del processo e con il loro aiuto si possono risolvere certi problemi metodologici. Durante queste esercitazioni, il gruppo dei codificatori può cominciare a fare pratica di codificazione di un certo materiale e alla fine può discutere i risultati e gli obiettivi dello studio. Dopo queste discussioni ogni codificatore dovrebbe ricevere un manuale di istruzioni dettagliate ricco di esempi di codificazione.
Condurre uno studio-pilota. I codificatori dovrebbero essere stimolati a codificare autonomamente un sotto-campione del contenuto e a discutere assieme dei problemi e dei dubbi che si sono venuti a creare. Lo studio-pilota può anche aiutare, da una parte, a individuare le categorie definite male, dall’altra a stabilire se vi sono codificatori in disaccordo cronico con gli altri.
Oltre a essere affidabile, una ricerca deve anche proporre risultati validi. La validità definisce fino a che punto uno strumento di ricerca misura bene ciò che è destinato a misurare. Se l’affidabilità è alta, la campionatura è fatta correttamente e le categorie di contenuto sono sviluppate adeguatamente, si può ottenere uno studio valido. Bisogna prestare grande attenzione al modo in cui si definiscono le categorie. Per esempio, il modo in cui si definisce il concetto di ‘violenza’ può determinare la validità di un’analisi del contenuto dei programmi televisivi violenti.
4. Conclusione
Come ogni altro metodo di ricerca, anche l’analisi del contenuto ha i suoi punti deboli. Può descrivere il contenuto dei media, ma non può portarci a trarre delle conclusioni sugli effetti dei media. Secondo, le conclusioni raggiunte dipendono in larga parte dal modo in cui sono state definite le categorie di contenuto e, in quanto tali, possono essere in qualche misura soggettive. Inoltre, l’analisi del contenuto può essere dispendiosa in termini di tempo e denaro. Lo studio della televisione in particolare richiede numerose ore di intenso lavoro. Nonostante tutto questo, se si è rigorosi per tutta la durata dello studio, l’analisi del contenuto può essere uno strumento molto efficace per approfondire la nostra conoscenza del mondo dei media e dei loro messaggi.Foto
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Bibliografia
- BABBIE Earl, The practice of social research, Wadsworth Publishing Company, Belmont (CA) 1992.
- BAILEY Kenneth D., Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1995.
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- HOLSTI Ole R., Content analysis for the social sciences and humanities, Addison-Wesley, Reading (MA) 1969.
- KERLINGER Fred Nichols - LEE Howard Bing, Foundation of behavioral research, Harcourt College Publishers, Fort Worth (TX) 2000.
- KRIPPENDORFF Klaus, Analisi del contenuto. Introduzione metodologica, ERI, Torino 1983.
- LOSITO Gianni, La ricerca sociale nei media. Oggetti di indagine, metodo, ricerche, Carocci, Roma 2009.
- METASTASIO Renata - CINI Francesca, L'Analisi del contenuto. Procedure di analisi dei dati con il programma SPAD, Franco Angeli, Milano 2009.
- PELLICCIARI Giovanni - TINTI Giancarlo, Tecniche di ricerca sociale, Franco Angeli, Milano 1995.
- ROSITI Franco, L'analisi del contenuto come interpretazione. Metodi e risultati empirici con riferimento ai programmi radiofonici e televisivi, ERI, Torino 1970.
- SOFIA Cristina, Analisi del contenuto, comunicazione, media. Evoluzione, applicazione e tecniche, Franco Angeli, Milano 2005.
- WIMMER Roger - DOMINICK Joseph, Mass media research. An introduction, Wadsworth Publishing Company, Belmont (CA) 1997.
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Note
Come citare questa voce
Berchmans M. Britto , Content analysis, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (11/10/2024).
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