Filosofia del linguaggio

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Disciplina filosofica che si interroga sul linguaggio, indagando i suoi rapporti con il mondo, con le facoltà conoscitive e con l’agire umano. La formalizzazione della f.d.l. come disciplina specifica è avvenuta con il passaggio al XX secolo – a questo proposito si è parlato di una ‘svolta linguistica’ della filosofia – a partire soprattutto da alcuni importanti saggi di Gottlob Frege (1848-1925). D’altra parte occorre notare che in tutto il pensiero filosofico, a cominciare dal dialogo Cratilo di Platone, la riflessione sul linguaggio è stata assai presente.
In epoca antica, troviamo, dopo Platone (428-347 a.C., circa), numerose opere di Aristotele (384-322 a.C.) che mettono a tema il linguaggio, in particolare il Perí hermeneias (De interpretatione) e tutte le altre opere logiche, ma vi sono significative riflessioni sul linguaggio anche nella Metafisica, nella Retorica e nella Poetica. Gli stoici furono artefici di notevoli contributi in ambito logico e grammaticale. In epoca tardo-romana, vanno segnalati gli apporti filosofico-teologici di Agostino (354-430), che fra l’altro propone una assai interessante teoria generale dei segni, specialmente nel De doctrina christiana. Il contributo di Tommaso d’Aquino (1225-1274) è forse meno studiato in f.d.l., ma è – come sempre – assai equilibrato e pertinente: vi troviamo, per es., nel trattato della Summa theologiae sull’Eucaristia, una lucida anticipazione di temi, che torneranno alla luce nel Novecento, sul rapporto fra linguaggio e azione. Nel Medioevo il linguaggio è stato studiato soprattutto in connessione con logica e ontologia: rileviamo la messa a punto della dottrina della suppositio e di quella dei modi significandi (da qui il termine ‘modisti’ agli studiosi che se ne sono occupati).
In epoca moderna, i contributi più significativi sono probabilmente quelli di Leibniz (1646-1716), con il suo tentativo di mettere a punto una lingua perfetta, le teorizzazioni linguistico-semiotiche di taglio empirista di Locke (1632-1704), che hanno poi contribuito ad alcuni sviluppi contemporanei della semiotica, la riflessione della scuola di Port-Royal, con la Grammatica generale e ragionata di Arnauld e Lancelot (1660), a cui si richiamerà nella nostra epoca Chomsky. Nel XIX secolo, fra le figure più rilevanti troviamo John Stuart Mill (1806-1873) in ambito anglo-americano e Franz Brentano (1838-1917) e la sua scuola in area tedesca. Brentano si riallaccia direttamente alla tradizione aristotelica, a partire dalla sua prima opera, Sui molteplici significati dell’essere secondo Aristotele, che è del 1862.
Come già accennato, l’opera di Gottlob Frege è considerata segnare la nascita della contemporanea f.d.l. Di formazione logico-matematica, Frege, nel suo saggio Senso e denotazione (1892), dà un nuovo avvio allo studio dei principali problemi di semantica, distinguendo appunto il senso (Sinn), ovvero il modo in cui ci viene data nel linguaggio la cosa, il contenuto di pensiero che il termine evoca, dalla denotazione (Bedeutung), vale a dire l’oggetto a cui ci si riferisce, il denotato, che è anche – secondo il logico tedesco – l’elemento determinante per definire il valore di verità della proposizione. La coppia Sinn-Bedeutung è stata tradotta in modi non univoci in italiano e in altre lingue: senso-denotazione, senso-significato, significato-riferimento, intensione-estensione, ecc., il che a volte ha generato qualche problema di comprensione per autori che sceglievano l’uno o l’altro di questi termini e impostavano distinzioni non sempre correttamente fondate.
Dopo Frege, le questioni principali della semantica sono state riprese in ottica direttamente filosofica da Edmund Husserl (1859-1938) nelle sue Ricerche logiche (1901) e, in ambito più specificamente di f.d.l., da Bertrand Russell (1872-1970), Peter Frederick Strawson (1919-), e via via molti altri autori. È da segnalare, benché eccentrico a questa linea di sviluppo – e forse proprio perché eccentrico a essa, immeritatamente lasciato in secondo piano – l’importante contributo di Karl Bühler (1879-1963), la cui opera principale, Sprachtheorie (Teoria del linguaggio, 1934), si muove sapientemente al confine fra f.d.l., psicologia e linguistica con una serie di intuizioni molto importanti e molto centrate, che integrano questioni sintattiche, semantiche e pragmatiche nell’interpretazione del linguaggio come azione umana (Comunicazione).
La seconda metà del secolo vede il passaggio dalla riflessione sul linguaggio scientifico e la conseguente progettazione di un linguaggio logico ideale, allo studio del linguaggio comune e al contributo che la riflessione sul linguaggio può fornire alla soluzione – o almeno a evitare equivoci iniziali – dei principali problemi filosofici (occorre tuttavia notare che, benché forse non tematizzato esplicitamente come riflessione di teoria del linguaggio, questo atteggiamento di chiarimento semantico iniziale dei termini che si usano era proprio già di autori classici come Aristotele o Tommaso d’Aquino). Il passaggio dal linguaggio logico ideale alla considerazione del linguaggio ordinario ha un suo esponente paradigmatico in Ludwig Wittgenstein (1889-1951), per il quale si è soliti distinguere due periodi distinti: il primo facente capo al Tractatus Logico-philosophicus (1921) e il secondo, che trova espressione soprattutto nelle Ricerche filosofiche (1945-49).
Più vicini a questa seconda corrente di riflessione sono gli autori che si muovono nell’ambito dell’Europa continentale e che prestano attenzione al linguaggio per rinvenire in esso tracce ontologiche, il darsi di un qualcosa che, nascondendosi nel linguaggio, in esso si rivela sempre parzialmente: è il caso di Martin Heidegger (1889-1976), che tematizza aspetti legati al linguaggio soprattutto nella seconda fase della sua riflessione, e di altri autori che fanno proprie almeno alcune delle istanze del filosofo tedesco, come Hans Georg Gadamer (1900- ) e Paul Ricoeur (1913- ). Sono pensatori che manifestano una certa distanza rispetto alla filosofia analitica e si riallacciano piuttosto alla teoria classica dell’interpretazione, rimessa in auge, come corrente filosofica, insieme al suo antico nome di ‘ermeneutica’, che tradizionalmente la caratterizzava come disciplina di interpretazione dei testi, soprattutto di quelli sacri.
Più vicina a un tentativo di mediazione con la tradizione analitica, in particolare come essa viene espressa in Wittgenstein, la posizione di Karl Otto Apel (1922- ), che richiamandosi ad alcune nozioni dell’americano Charles Sanders Peirce (1839-1914), fondatore della semiotica di lingua inglese, propone la comunità illimitata e universale dei parlanti come nuova forma del trascendentale kantiano, vale a dire come possibilità stessa – attraverso l’accordo possibile dei parlanti di questa comunità – del darsi della comprensione e del senso e, di conseguenza, della verità. Si ha cioè una trasformazione pragmatica della nozione stessa di verità, posizione che è stata spesso – a nostro parere, a ragione – accusata di cancellare il valore stesso di questa nozione, che invece supera il piano empirico e fattuale.
La f.d.l. di tradizione anglosassone ha risentito a lungo della sua origine, derivante dall’analogia con i paradigmi logico-matematici: il tentativo di comprimere la ricchezza del linguaggio naturale nel modello delle espressioni logico-matematiche ha via via mostrato tutti i suoi limiti. In un certo senso, la storia della f.d.l. di questo ultimo secolo potrebbe essere letta come un successivo tentativo – non ancora realizzato pienamente – di liberarsi poco a poco dal modello apparentemente perfetto e funzionante, ma in realtà assai riduttivo – anche perché spesso non tematizzato nelle sue specificità e nei suoi limiti – della formalizzazione delle scienze esatte a cui si voleva costringere il linguaggio naturale.
Abbiamo così il recupero, con John L. Austin (1911-1960) – Come fare cose con le parole, uscito postumo nel 1962 – delle valenze pragmatiche del linguaggio, che torna a esser inteso come azione umana fra le altre, e di cui vengono teorizzate le tre componenti – locutiva, illocutiva, perlocutiva – come dimensioni sempre presenti in ogni atto di linguaggio. Abbiamo ancora il recupero delle implicazioni e in generale di tutto ciò che è implicito, e l’indagine sulla ‘logica della conversazione’ e sul ‘principio di cooperazione’ che la rende possibile (Herbert Paul Grice, 1913-1988), così come la messa in luce dell’importanza di massime pragmatiche (‘logica della cortesia’) che nel linguaggio ordinario assai spesso prevalgono sulla chiarezza e l’univocità del dire, e che sono sovente la vera dimensione guida delle interazioni verbali della vita quotidiana (Lakoff, 2000).
Gli sviluppi più recenti della f.d.l. vedono il ribaltamento del rapporto fra linguaggio scientifico e linguaggio ordinario: oggi si riflette piuttosto sulla necessità del linguaggio scientifico di ricorrere al linguaggio ordinario e di fare uso, anche nella scienza, di metafore come necessari strumenti conoscitivi per ampliare la nostra comprensione del reale. È stata inoltre ripresa la distinzione fra ‘senso’ e ‘denotazione’, approfondendo l’analisi della questione del ‘significato’ di un termine. Particolarmente importanti sono gli studi di Saul Kripke (1982) sui nomi propri ("designatori rigidi", validi in ogni mondo possibile) e le sofisticate analisi di Hilary Putnam (1995) sui termini di specie naturale (acqua, tigre, gatto, ecc.), alla base della cui capacità di significare egli vede una dimensione "indicale". Secondo Putnam – analogamente a quanto aveva osservato Kripke per i nomi propri – in ultima analisi i termini denotanti specie naturali hanno al loro interno una componente di "rimando diretto al mondo", che non può essere cancellata da continui rimandi all’interno del sistema linguistico. Il termine ‘acqua’ ultimativamente rimanda a un "quel liquido lì" e spesso a garantire l’esattezza di questo rimando (per es. per il termine ‘oro’) sono degli ‘esperti’che dominano un settore di mondo; a essi gli altri membri della società dei parlanti implicitamente rimandano per avere la garanzia del corretto rapporto fra i termini che usano e gli oggetti da essi designati nell’uso che si fa della lingua (divisione sociale del lavoro linguistico).
Dopo anni in cui dominava il paradigma saussuriano (de Saussure) e strutturalista, che interpretava il linguaggio come costituito essenzialmente da assenze, da vuoti creati per opposizione in un sistema autoreggentesi e autofondato, è ormai chiaro agli studiosi come il linguaggio abbia una dimensione necessaria di rimando diretto alla realtà: la tematica dell’indicalità, vale a dire del rimando immediato, esistenziale-fattuale al contesto reale, alla situazione comunicativa, che è proprio in particolare di alcuni segni e fra essi di alcuni termini del linguaggio verbale (io, tu, qui, questo, oggi, ecc.) è stata al centro di numerose importanti riflessioni tanto linguistiche come filosofiche. Ne è stata recuperata la radice sia nella riflessione di alcuni pensatori classici sia nelle importanti riflessioni di Peirce, autore interpretato a volte assai arbitrariamente e riduttivamente.
Gli sviluppi più recenti della f.d.l., come più in generale di tutta la filosofia di area anglosassone, che rimane l’ambito geografico primario di questa tradizione filosofica, si sono orientati verso un approfondimento dei temi che riguardano il rapporto fra linguaggio e facoltà conoscitive, linguaggio e mente, sollecitati tanto dalle problematiche della ‘filosofia della mente’, quanto degli studi sull’intelligenza artificiale e sulle capacità cognitive dell’uomo.

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Fumagalli Armando , Filosofia del linguaggio, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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