Show
- Testo
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- Voci correlate
Autore: Guido Michelone
Il sostantivo inglese s. significa genericamente mostra o esibizione, ma è sempre più usato nel gergo teatral-musicale per connotare uno spettacolo di intrattenimento assai prossimo ai generi di varietà (rivista, cabaret e music hall), in cui di solito spicca il nome di un grande o celebre protagonista a sua volta impegnato in un abile dosaggio di parti cantate, danzate, recitate dai toni brillanti umoristici, di evasione, talvolta con enorme profusione di costosi espedienti scenici.
La parola è quindi passata nel settore televisivo per indicare, alla stessa stregua, una tipologia di trasmissioni imperniate su numerose attrazioni (sketch, balli, melodie, battute) unificate dalla presenza fissa di un conduttore che, nelle vesti di personaggio già notissimo, può svolgere sia il ruolo di introdurre ospiti altrettanto famosi sia quello di esibirsi egli stesso in numeri spettacolari legati di volta in volta alla comicità, alla musica, all’imitazione. Lo s. televisivo nasce nel dopoguerra nelle reti commerciali statunitensi coi primi successi del nuovo medium: è uno spettacolo leggero d’evasione che si regge appunto sulle doti di un vero e proprio animatore in grado di collegare svariate ed eterogenee presenze: è dunque un susseguirsi di spettacoli in un unico grande spettacolo, che quasi sembra preludere alle caratteristiche del programma-contenitore affermatosi negli anni Ottanta con la neotelevisione. Ma ciò che contraddistingue ancor oggi lo s. dal contenitore sono i tempi e le durate (una, al massimo un paio d’ore, contro un lungo pomeriggio o l’intera serata), la collocazione strategica nel palinsesto della rete (evento annunciato come eccezionale oppure quale appuntamento fisso per il sabato o la domenica, nel rispetto di una certa ritualità festiva, contro l’iteratività costante), i tentativi di preservare una specifica autonomia, quasi a porsi sul fronte della pura spettacolarità (ricerca quindi di coerenza tematica e compattezza stilistica all’opposto dell’apertura ad altri sottogeneri o dell’inserimento di ulteriori elementi di frantumazione testuale). Tuttavia anche nei migliori s. contemporanei è difficile resistere all’intrusione di quiz, giochi, telefonate in diretta, piccoli dibattiti (o subdoli comizi), sponsorizzazioni invadenti, collegamenti con l’esterno: sulle reti commerciali lo s. è addirittura costruito sui tempi e sui ritmi delle inserzioni pubblicitarie fino ad arrivare al paradosso di non potersi talvolta distinguere latelepromozione dallo spettacolo autentico. Sembra comunque che la logica dello s. attuale sia quella di reclamizzare a ogni costo il già noto: da un lato la conduzione del programma viene infatti affidata a un divo reduce da un successo recentissimo, quasi a suggellare l’attiguità tra le due esperienze; dall’altro la galleria degli ospiti d’onore comprende colleghi desiderosi di far conoscere la loro trasmissione (ovviamente in orari diversi), cantanti che interpretano canzoni già destinate alle hit parade discografiche, attori in campagna di lancio di un film o al debutto metropolitano di un’opera teatrale, scrittori spalleggiati da potenti case editrici, politici in cerca di consenso elettorale. Tutto diventa quindi s., al punto che il termine è passato a denotare negativamente l’azione di personaggi al di fuori del mondo dello spettacolo, ma in grado di attirare su di sé l’attenzione dei mass media in virtù di doti di eccentricità o di esibizionismo riconosciute come tali: è diventata ormai un’espressione corrente non soltanto giornalistica parlare dello s. del politico al congresso del suo partito o del ministro durante una riunione del Parlamento.
Che il mondo anche extratelevisivo si stia spostando verso una spettacolarizzazione eccessiva di valori, sistemi, comportamenti è dimostrato altresì dal frequente uso della parola s. collegata ad altri sostantivi, a cominciare dai classici showgirl e showman con cui si indica rispettivamente una ragazza dotata di simpatia e comunicativa, nonché di estro e talento nei molteplici ruoli di ballerina, cantante, presentatrice, e un uomo a cui vanno aggiunte anche le capacità di socializzare e di intrattenere il pubblico davanti al piccolo schermo; lo showman in senso non propriamente positivo è anche la persona che si comporta in pubblico con preordinata, ostentata, insistita esibizione delle proprie qualità al fine di guadagnarsi i consensi del proprio uditorio, sia esso l’enorme platea televisiva come anche la Camera o il Senato.
Al termine s. vengono poi abbinati dei referenti espliciti: quiz s., game s., talk s., per precisare il fatto che ogni genere televisivo d’intrattenimento viene ormai interamente spettacolarizzzato, anche laddove si richiederebbe soltanto il dono della memoria (quiz) o della parola (talk s.). Un’altra voce entrata stabilmente nella lingua italiana è s. business che sta a indicare non tanto l’industria quanto piuttosto l’intreccio di affari, metodi e attività economiche che gravita attorno al mondo dello spettacolo.
La parola è quindi passata nel settore televisivo per indicare, alla stessa stregua, una tipologia di trasmissioni imperniate su numerose attrazioni (sketch, balli, melodie, battute) unificate dalla presenza fissa di un conduttore che, nelle vesti di personaggio già notissimo, può svolgere sia il ruolo di introdurre ospiti altrettanto famosi sia quello di esibirsi egli stesso in numeri spettacolari legati di volta in volta alla comicità, alla musica, all’imitazione. Lo s. televisivo nasce nel dopoguerra nelle reti commerciali statunitensi coi primi successi del nuovo medium: è uno spettacolo leggero d’evasione che si regge appunto sulle doti di un vero e proprio animatore in grado di collegare svariate ed eterogenee presenze: è dunque un susseguirsi di spettacoli in un unico grande spettacolo, che quasi sembra preludere alle caratteristiche del programma-contenitore affermatosi negli anni Ottanta con la neotelevisione. Ma ciò che contraddistingue ancor oggi lo s. dal contenitore sono i tempi e le durate (una, al massimo un paio d’ore, contro un lungo pomeriggio o l’intera serata), la collocazione strategica nel palinsesto della rete (evento annunciato come eccezionale oppure quale appuntamento fisso per il sabato o la domenica, nel rispetto di una certa ritualità festiva, contro l’iteratività costante), i tentativi di preservare una specifica autonomia, quasi a porsi sul fronte della pura spettacolarità (ricerca quindi di coerenza tematica e compattezza stilistica all’opposto dell’apertura ad altri sottogeneri o dell’inserimento di ulteriori elementi di frantumazione testuale). Tuttavia anche nei migliori s. contemporanei è difficile resistere all’intrusione di quiz, giochi, telefonate in diretta, piccoli dibattiti (o subdoli comizi), sponsorizzazioni invadenti, collegamenti con l’esterno: sulle reti commerciali lo s. è addirittura costruito sui tempi e sui ritmi delle inserzioni pubblicitarie fino ad arrivare al paradosso di non potersi talvolta distinguere latelepromozione dallo spettacolo autentico. Sembra comunque che la logica dello s. attuale sia quella di reclamizzare a ogni costo il già noto: da un lato la conduzione del programma viene infatti affidata a un divo reduce da un successo recentissimo, quasi a suggellare l’attiguità tra le due esperienze; dall’altro la galleria degli ospiti d’onore comprende colleghi desiderosi di far conoscere la loro trasmissione (ovviamente in orari diversi), cantanti che interpretano canzoni già destinate alle hit parade discografiche, attori in campagna di lancio di un film o al debutto metropolitano di un’opera teatrale, scrittori spalleggiati da potenti case editrici, politici in cerca di consenso elettorale. Tutto diventa quindi s., al punto che il termine è passato a denotare negativamente l’azione di personaggi al di fuori del mondo dello spettacolo, ma in grado di attirare su di sé l’attenzione dei mass media in virtù di doti di eccentricità o di esibizionismo riconosciute come tali: è diventata ormai un’espressione corrente non soltanto giornalistica parlare dello s. del politico al congresso del suo partito o del ministro durante una riunione del Parlamento.
Che il mondo anche extratelevisivo si stia spostando verso una spettacolarizzazione eccessiva di valori, sistemi, comportamenti è dimostrato altresì dal frequente uso della parola s. collegata ad altri sostantivi, a cominciare dai classici showgirl e showman con cui si indica rispettivamente una ragazza dotata di simpatia e comunicativa, nonché di estro e talento nei molteplici ruoli di ballerina, cantante, presentatrice, e un uomo a cui vanno aggiunte anche le capacità di socializzare e di intrattenere il pubblico davanti al piccolo schermo; lo showman in senso non propriamente positivo è anche la persona che si comporta in pubblico con preordinata, ostentata, insistita esibizione delle proprie qualità al fine di guadagnarsi i consensi del proprio uditorio, sia esso l’enorme platea televisiva come anche la Camera o il Senato.
Al termine s. vengono poi abbinati dei referenti espliciti: quiz s., game s., talk s., per precisare il fatto che ogni genere televisivo d’intrattenimento viene ormai interamente spettacolarizzzato, anche laddove si richiederebbe soltanto il dono della memoria (quiz) o della parola (talk s.). Un’altra voce entrata stabilmente nella lingua italiana è s. business che sta a indicare non tanto l’industria quanto piuttosto l’intreccio di affari, metodi e attività economiche che gravita attorno al mondo dello spettacolo.
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Bibliografia
- CAPRETTINI Paolo G., La scatola parlante, Ed. Riuniti, Roma 1996.
- COSTANZO Maurizio, Show. Ventanni di storie e personaggi, Mondadori, Milano 2000.
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Come citare questa voce
Michelone Guido , Show, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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