Bibbia A. Struttura e funzioni comunicative

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Un particolare della scena tratta dalla Genesi di Adamo ed Eva, Albert Dürer, 1507, Museo Nazionale del Prado, Madrid, Spagna

1. Un genere di comunicazione

La B. come fenomeno comunicativo. Allo scopo di precisarne la fisionomia, qui si sceglie di descriverla anche ‘per differenza’, cioè come modalità distinta da altri tipi di comunicazione.
1.1. Diversamente da un oracolo.
Se per ‘oracolo’ intendiamo una parola che viene direttamente dalla divinità, un messaggio-rivelazione o un messaggio-risposta di natura più o meno enigmatica, la B. è simile e diversa.
Da una parte, essa riferisce che, specialmente in situazioni iniziali, accadono anche nella storia biblica comunicazioni di tipo oracolare (cfr. Abramo, Genesi 12,1-3; Mosè, Esodo 3,4-12; un giudice, Giudici 6,16; Samuele, 1 Samuele 3; un profeta, Geremia 3,4-10; ecc.). Accanto a quei fatti si possono elencare vari episodi di messaggi ricevuti nel sonno (1 Re 3,5-15; ma bisogna notare che nell’Antico Testamento la via del sonno è usata soprattutto per rivolgere messaggi a persone non israelite come Abimelech, Genesi 20,3; Labano, Genesi 31,20; Nabucodonosor, Daniele 2; mentre gli israeliti ritengono che, generalmente, Dio parli al suo popolo in maniera più diretta). Inoltre la B. descrive in termini negativi ogni tentativo di avere risposte divine al di fuori dell’iniziativa sovrana di Dio o dell’invocazione nella preghiera (cfr. 1 Samuele 28,15: Saul consulta il Signore ma questi non gli risponde più "né per mezzo dei profeti, né per mezzo dei sogni"; allora egli ricorre a una negromante, ma agisce male; cfr. 1 Re 18,26-29: i profeti di Baal non si rivolgono al vero Dio, quindi non ottengono alcuna risposta).
D’altra parte, mille volte la B. testimonia che nel popolo di Dio la comunicazione con lui non è rara, imprevedibile ed enigmatica (come se si trattasse sempre di oracoli) ma frequente, puntuale e accessibile (cfr. più volte le storie dei profeti: Deuteronomio 4,7; Salmi 34,5. 118,5. 120,1; 138,3, ecc.). Relativamente a un personaggio o a un periodo, spesso nei momenti iniziali riferiti dalla B. leggiamo episodi piuttosto simili a oracoli; ma poi lo stile si fa diverso, la comunicazione si svolge entro linee di familiarità quotidiana. Esempio tipico è la "tenda del convegno" che per "chiunque" diventa il luogo dove poter parlare con Dio (Esodo 33,7) e dove a Mosè il Signore si rivolge "faccia a faccia, come un uomo parla con un altro" (Esodo 33,11; cfr. anche Deuteronomio 34,10).

1.2. Non fuori di una mediazione umana. Condiscendenza.
Le pagine della B. manifestano una struttura costante. In esse non si riferisce mai (o quasi mai) che una voce venuta dal cielo è udita da un’intera folla; si dice che sempre (o quasi sempre) Dio invia una sua parola a una persona e che questa riceve anche l’incarico di comunicare ad altre persone il messaggio inteso. Così che, ai più, le parole di Dio giungono soltanto entro il rivestimento di parole umane determinate.
Tale caratteristica ha grande importanza come segnale di una modalità che possiamo chiamare ‘condiscendenza’. La B. testimonia uno stile di comunicazione nel quale, abitualmente, si realizzano due tappe: prima, Dio si fa comprendere da parte di alcuni (forse adeguando sé alle loro modalità espressive, oppure portando questi sul piano delle sue); poi, attraverso costoro, Dio si fa comprendere da un intero popolo. E sembra indubitabile che questa seconda tappa avvenga secondo le modalità espressive dei destinatari: gli stessi testi biblici, infatti, ne sono il deposito letterario e la prova.
Qui si situa il fondamento delle riflessioni tradizionali circa la sicura ‘divinità’ e la piena ‘umanità’ delle parole bibliche. Di conseguenza, i credenti di ogni tempo non ignorano la trascendenza della ‘parola di Dio’ e, insieme, affermano la sua speciale presenza nella B. Per parlare alle persone di questo mondo, Dio si è servito di mediatori scelti dal medesimo mondo.

1.3. Non fuori di un tempo e di una cultura. Incarnazione.
È una conseguenza. Poiché i messaggi biblici sono espressi in categorie umane, necessariamente essi sono segnati da modalità tipiche di un tempo, di un ambiente, di una cultura. Le parole della B., quindi, non possono essere considerate come realtà dotate di una validità divina a-temporale. Invece, esse vanno accolte e intese prima di tutto nella loro specificità mondana. Solamente dopo, per quanto possibile, si cerca di mettere in risalto il loro significato trascendente, più o meno direttamente applicabile anche ad altre culture.
Qui si radicano i problemi più ardui di ogni ermeneutica biblica. Ad esempio, ci si chiede: come è possibile che un messaggio storicamente e culturalmente datato sia poi estensibile nel tempo e nello spazio? Come può essere importante e normativa ‘qui, oggi e per noi’ una parola che è nata in altri luoghi, vari secoli fa ed è stata rivolta a persone molto diverse da noi?

1.4. Entro una grande varietà di forme, modelli e rilievi.
La B. non è uniforme, omogenea. Essa utilizza una notevole varietà di forme e modelli letterari (narrazione, lirica, norma, parenesi, istruzione, proverbio, enigma, invettiva, lamento, meditazione, ecc.). Come entro il quadro di ogni ermeneutica umana, per comprendere un qualsiasi testo biblico è necessario individuare il genere letterario attraverso il quale esso si esprime. Come in ogni comunicazione umana, è essenziale che tra ‘emittente’ e ‘destinatari’ si realizzi un chiaro accordo circa le convenzioni linguistiche e letterarie messe in atto; cioè, essi devono condividere una certa conoscenza del medesimo ‘codice’. Nel caso della B., i codici espressivi sono moltissimi; di conseguenza chi vuol capire i vari testi deve tendere a rendersi familiari molti modelli che spesso sono diversi da quelli già noti.
Inoltre, non tutti i messaggi biblici si trovano al medesimo livello d’importanza: alcuni sono principali o centrali, altri sono secondari o periferici. Come distinguerli? Innanzitutto, comprendendo la B. stessa, in maniera globale e corretta. La comprensione globale non è soltanto un cumulo di molti frammenti, ma anche la percezione di una struttura e delle linee che segnano le grandi direzioni dove si collocano i significati parziali. Il che non è esclusivo della B. Infatti, anche molti altri generi di comunicazione (ad esempio: l’insieme dei messaggi che un figlio riceve dai suoi genitori, ecc.) esigono che il ‘recettore’ sia in grado di cogliere il nucleo centrale e di non confonderlo con elementi periferici. Tuttavia bisogna ammettere che l’esistenza di una tale struttura di significati rende la comunicazione piuttosto ardua e incerta, esposta a facili malintesi.

1.5. Una comunicazione pedagogica e sinfonica.
Due aspetti riguardano la pluralità di ‘voci’ che sono presenti nella comunicazione biblica. Nel primo caso (comunicazione pedagogica) notiamo che esse sono collocate entro una struttura di ‘preparazione’: alcune vengono prima di altre, coprono un primo tratto di strada, sono come una prima tappa. Nel secondo caso (comunicazione sinfonica) si mette in risalto il fatto che molte di loro sono parallele o contemporanee.
a) Comunicazione pedagogica. Almeno la grande articolazione tra Antico e Nuovo Testamento segnala la presenza di una intenzione di tipo pedagogico. Una parte prepara l’altra. In questo ambito, grazie a riflessioni venerande e tradizionali, accanto alla coppia ‘preparazione’ e ‘compimento’, siamo in grado di utilizzare anche coppie di termini e categorie più o meno differenti: promessa-attuazione, ombra-luce, profezia-realizzazione, provvisorio-definitivo, ecc. Comunque, una cosa pare innegabile: chi vuol comprendere bene la comunicazione costituita oggi dai testi della B. deve essere in grado di collocare ogni testo nella corretta posizione che esso occupa rispetto al tutto. Lì, in quel contesto, un brano acquista il suo vero significato. Anche in questo caso, pare opportuno rilevare che la situazione non è esclusiva della comunicazione biblica. Ad esempio: un figlio deve saper comprendere i messaggi inviati a lui dai suoi genitori in maniera da avvertire che alcuni sono preparatori rispetto ad altri.
b) Comunicazione sinfonica. Chiamiamo ‘sinfonica’ una comunicazione costituita da una molteplicità di voci che agiscono insieme. Nel caso della B., appena sopra sono state ricordate la struttura e l’articolazione prima-dopo. Qui, ora, si notano un’altra struttura e un’altra articolazione: molti messaggi sono da intendere in maniera parallela, non si possono mettere uno prima dell’altro. Si pensi, ad esempio, ai Vangeli: se anche si sostiene l’opinione – non raccomandabile – che quelli sinottici preparano il quarto, come immaginare il rapporto tra Matteo e Luca? Pare inevitabile riconoscere che essi esistono affiancati. Analogamente, si pensi a certi scritti profetici; non ha senso considerarli uno quale preparatorio di un altro; invece, è più corretto vederli uno accanto all’altro.
Per ben capire la B. occorre essere consapevoli anche di questa molteplicità sincronica. Spesso si dice che i suoi scritti non formano un libro ma una biblioteca. E come tale essa comunica. Ma in che modo? Per indicare il criterio generale di comprensione, usiamo il termine ‘complementarità’ (e ciò in analogia con quanto affermato appena sopra: nel caso della comunicazione di tipo ‘pedagogico’, il criterio ermeneutico generale si chiama ‘preparazione’). Inoltre, di nuovo, sembra opportuno sottolineare che tale situazione non è esclusiva della comunicazione biblica. Ad esempio: un figlio riceve contemporaneamente, spesso entro una struttura di linee parallele, messaggi dal padre, dalla madre, da altri parenti, dagli insegnanti, dai compagni, ecc.; ed egli li comprende soprattutto in maniera complementare.

1.6. Nella logica dell’incarnazione.
Tutto quanto si è notato sopra converge nella prospettiva che sottolinea le analogie tra la comunicazione biblica e l’incarnazione. Infatti, il Cristo è comprensibile a esseri umani proprio in quanto assume una vera umanità, parla una concreta lingua, si muove entro una cultura, intreccia le sue parole con quelle di chi vive attorno a lui. Analogamente, la comunicazione che si realizza attraverso la B. rivela l’assunzione di alcuni concreti linguaggi umani, il legame con un determinato mondo culturale, l’intreccio delle parole divine con varie parole umane circostanti. Tutto ciò non è ovvio. Infatti, volendo realizzare una comunicazione con le persone, Dio avrebbe potuto stabilire: "Venite voi e adattatevi a me". Invece, risulta dalla B. che il programma proposto è diverso: "Vengo io e mi adatto a voi".

2. Un genere di missione-spiritualità

Dalla natura della comunicazione biblica deriva la qualità della missione-spiritualità dei suoi destinatari.

2.1. Capire e far capire, accogliere e ripetere.
La B. contiene messaggi che non sono soltanto da accogliere e comprendere ma – anche – da ripetere ad altri e da far comprendere loro. Come visto sopra, il suo essere per tutti si realizza necessariamente entro l’ambito delle mediazioni umane. Ora notiamo che tale modalità non si esaurisce quando i testi biblici raggiungono la loro stesura definitiva; lo stile della mediazione umana continua anche dopo. Come esempio, si consideri la traduzione linguistica: essa è tutta compito di pochi destinatari, eppure risulta assolutamente necessaria per la stragrande maggioranza di quelli che, pur essendo estranei alla lingua e cultura originarie, vogliono essere raggiunti dai messaggi biblici.
Tali fisionomia e struttura non paiono essere soltanto un’applicazione al caso della B. di quanto avviene, storicamente, per gran parte delle opere letterarie. Piuttosto, sembra da affermare come intrinseca conseguenza dell’articolazione presente sin dall’origine della comunicazione biblica (cfr. 1.2). In altri termini: già al suo sorgere, ogni pagina della B. appare quale comunicazione duplice e intrecciata (in quanto si tratta sempre di alcune ‘parole’ di Dio, ma comunicate mediante espressioni genuinamente umane). Così, per la sua diffusione, ogni testo biblico chiede di essere trasmesso secondo modalità che siano – allo stesso tempo – garanzia di fedeltà alla fonte e trasformazioni capaci di fargli raggiungere efficacemente nuovi destinatari.

2.2. Una incarnazione da estendere.
In questo quadro si collocano tutte le forme che prolungano ed estendono la comunicazione fontale: un annuncio, un racconto, una riproduzione entro altre modalità espressive, ecc. Notiamo che ciascuna di queste forme riprende il dinamismo iniziale (del tipo ‘incarnazione’). Infatti, essa porta la realtà originaria entro nuovi contesti e lì vengono adottate le modalità espressive proprie dei vari ambiti. Quegli interventi producono una sorta di ‘incarnazione continua’ poiché essi mandano avanti e dilatano un procedimento inaugurato e testimoniato dalla B. stessa.
Qui si colloca una specificità del caso biblico che risulta carica di grandi conseguenze o effetti nella storia. Ben diversamente da altri libri religiosi fondamentali (cioè quelli ritenuti come punti di riferimento normativo), la B. continua a esistere e a svolgere la sua funzione non se viene semplicemente conservata, ma se viene continuamente trasformata. La sua ‘traduzione’ in altri contesti e in altri linguaggi non è qualcosa di facoltativo, ma una modalità necessaria ed essenziale proprio per la sua esistenza. Infatti, essa vive solamente se è incarnata in una comunicazione umana. Quindi, essa estende la propria presenza solo mediante il dilatarsi e il rinnovarsi delle sue incarnazioni.
Qui di seguito indichiamo alcune aree dove i nuovi atti di incarnazione si realizzano. E, molto sobriamente, segnaliamo la loro continuità con il fenomeno della comunicazione biblica.

2.3. Traduzione, liturgia, predicazione, catechesi, arte.
Chi produce una ‘traduzione’ biblica si impegna soprattutto sul versante linguistico-culturale. Deve conoscere le lingue e culture di partenza, deve sapere come si organizzano lingue e culture in genere, deve avere buona familiarità con la lingua e la cultura dei nuovi destinatari. Oggi, come in antico, la comunicazione biblica si muove soprattutto lungo questa via, in mille rivoli. Ogni ‘liturgia’ è una grande opportunità di diffondere la comunicazione biblica. Per molti (pensiamo, ad esempio, a persone pie che non sanno leggere) questa è forse la modalità unica con cui essi vengono raggiunti dalla B.
La ‘predicazione’ estende i messaggi biblici in quanto li applica a nuove situazioni. In tal modo essa prolunga la comunicazione biblica sino a farla comprendere come vicina, pertinente.
La ‘catechesi’ articola un processo di comprensione e di apprendimento che sia proporzionato alle risorse intellettuali e morali di nuovi destinatari. La comunicazione biblica non viene soltanto ripresentata (‘liturgia’), linguisticamente riformulata (‘traduzione’), collegata alla vita (‘predicazione’); qui, essa viene anche gradualmente introdotta, spiegata, commentata.
Infine, sotto il termine ‘arte’ raggruppiamo ogni modo di riesprimere la comunicazione biblica entro l’ambito di una qualche attività umana nella quale risulta dominante il desiderio di produrre una realtà bella o suggestiva. Ad esempio: può essere una pittura o una scultura che inducono all’ammirazione, può essere una rappresentazione teatrale che porta al coinvolgimento drammatico, può essere una musica che invita a contemplare, può essere un film o una trasmissione radiofonica o televisiva che aiuta a percepire l’attuale vivacità del messaggio, ecc.

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Note

Come citare questa voce
Buzzetti Carlo , Bibbia - A. Struttura e funzioni comunicative, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (24/11/2024).
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