Chiesa e comunicazione B. Dopo il Vaticano II

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A quella che è stata chiamata l’età dell’oro dei documenti ecclesiali sulla comunicazione sociale, succede una stagione ugualmente ricca di interventi, caratterizzata dalla figura carismatica di Giovanni Paolo II, grande comunicatore.
A vent’anni dalla Communio et progressio, il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali (PCCS) pubblica una nuova Istruzione pastorale, l’Aetatis novae del 22 febbraio 1992. Il documento non ha la solennità del precedente (voluto da un Concilio ecumenico e approvato "tutto e in ogni sua parte" dal Papa Paolo VI), ma senza dubbio rappresenta una conferma dell’orientamento conciliare ed esprime una chiara volontà di impegno operativo. La strategia che viene proposta alle Chiese locali è la pianificazione pastorale. La novità più evidente di questa Istruzione pastorale è infatti la sua appendice ove vengono illustrati gli elementi e le fasi per la progettazione pastorale della comunicazione sociale sia a livello diocesano che nazionale. La ‘visione’ consapevole dei problemi e delle risorse nel campo della comunicazione sociale sono i presupposti per ben operare. La valorizzazione delle persone presenti sul territorio (e in particolare dei professionisti cattolici), un’attenta ‘politica formativa’ (e in primo luogo la Media education), la collaborazione con i centri di studio e di ricerca, sono gli elementi qualificanti il piano pastorale. L’Aetatis novae chiede in definitiva una vasta "mobilitazione delle responsabilità" per far passare la comunicazione sociale dalla fase dei pronunciamenti alla sua attuazione concreta nei vari ambiti della presenza della Chiesa nel mondo.
Con questo si chiude il ciclo dei documenti ispirati dal Concilio. I successivi pronunciamenti del Magistero e delle Chiese locali vengono ora raggruppati in quattro settori:
1) encicliche, esortazioni apostoliche e messaggi pontifici per le Giornate mondiali della comunicazione sociale;
2) documenti dei Dicasteri della curia romana.
3) lettere pastorali dei vescovi e altri documenti delle Chiese locali;
4) il cammino fatto dalle Chiese evangeliche nello stesso settore della comunicazione sociale.

1. Encicliche, esortazioni apostoliche, messaggi del Sommo Pontefice

Dopo il decreto conciliare Inter mirifica (1963) non è stata pubblicata altra enciclica sulla comunicazione sociale, com’era avvenuto nel periodo precedente con Vigilanti cura (1936) di Pio XI e Miranda prorsus (1957) di Pio XII. Tuttavia i Sommi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno trattato di comunicazione sociale all’interno di altri atti del loro magistero. I loro pronunciamenti segnalano non solo un’attenzione continua alla comunicazione sociale, ma sovente esprimono l’avanzamento del pensiero cattolico al riguardo. Sono da segnalare:
– l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del Papa Paolo VI (8 dicembre 1975) a conclusione del Sinodo dei vescovi sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Il documento fa espresso riferimento ai mass media nel capitolo quarto, dedicato ai metodi e ai mezzi dell’evangelizzazione. Paolo VI rivolge alla Chiesa un accorato appello: "La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi" (n. 45);
– l’esortazione apostolica Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II (16 ottobre 1979) a conclusione del Sinodo dei vescovi sulla catechesi. I mezzi della comunicazione vengono trattati al capitolo sesto, e per la prima volta si indica la "comunicazione di gruppo" (Group media) come via della nuova catechesi (n. 46);
– l’esortazione apostolica Christifideles laici a conclusione del Sinodo sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (30 dicembre 1988). La comunicazione sociale viene qui considerata come "nuova frontiera della missione della Chiesa" (n. 44);
– l’enciclica Redemptoris missio (7 dicembre 1990). Il documento ha come tema il "mandato missionario della Chiesa" e considera la comunicazione sociale come ambito della sua missione. Le precedenti encicliche missionarie di Pio XII (Evangelii praecones, 1951 e Fidei donum, 1957) e di Giovanni XXIII (Princeps pastorum, 1959) avevano sì trattato dei media, e in particolare della stampa, ma unicamente come ‘mezzi’ per l’educazione alla missione. In questa enciclica Giovanni Paolo II indica il mondo della comunicazione, e la sua cultura in particolare, come ambito della "missione ad gentes" della Chiesa cattolica: "Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità rendendola – come si suol dire – un ‘villaggio globale’ (...). Non basta usarli (i media) per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna" (n. 37);
– l’esortazione apostolica Ecclesia in Africa (14 settembre 1995) a conclusione del Sinodo speciale dei vescovi africani. La comunicazione sociale rientra nelle sfide che sono poste alla Chiesa per l’evangelizzazione in Africa. Si ha una chiara coscienza che la Chiesa ha a che fare non solo con dei ‘mezzi’, ma con una ‘cultura’ alla quale deve essere annunciato il Vangelo (n. 124). Tuttavia l’assunzione della nuova cultura, non deve far dimenticare le forme tradizionali di comunicazione proprie della cultura africana: proverbi e racconti, canti e danze, mimi e rappresentazioni teatrali (n. 123);
Vita consecrata (25 marzo 1996). L’esortazione apostolica che conclude il Sinodo sulla vita consacrata dei religiosi/e, non appare particolarmente coraggiosa sul nostro tema e sembra privilegiare una linea difensiva (cfr. n. 99). Il ruolo della comunicazione nella vita della comunità era stato trattato in maniera più dettagliata e positiva in un precedente documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata Congregavit nos in unum Christi amor (2 febbraio 1994).
I 35 messaggi dei Sommi Pontefici per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali istituita dal Concilio (cfr. Inter Mirifica, 18) rappresentano un genere letterario e un tipo di intervento a parte, e danno un ottimo spaccato circa lo sviluppo degli approcci della Chiesa alla comunicazione sociale. Sono, in genere, legati a fatti d’attualità riguardanti la Chiesa e la società. Sottolineano l’esigenza di una comunicazione adeguata su questioni cruciali come la famiglia, i giovani, gli anziani, la pace e la giustizia, la libertà umana, l’evangelizzazione e la riconciliazione. I messaggi mostrano fiducia e ottimismo circa le potenzialità racchiuse nei media, come avviene nel messaggio pontificio del 24 gennaio 1999 che chiude il nostro secolo: "Mass media: una presenza amica". Una considerazione specifica sul nuovo Codice di diritto canonico (promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983) è fatta nella voce Diritto e comunicazione C. Diritto canonico e comunicazione.

2. Documenti della Curia romana

Oltre alle istruzioni pastorali Communio et progressio e Aetatis novae, il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha elaborato altri documenti su aree di particolare attualità. Sono da ricordare:
Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione. Una risposta pastorale (7 maggio 1989). Questi problemi vengono trattati per la prima volta in un documento ecclesiale in modo sistematico ed esteso. Sono indicati precisi metodi per reagire alla ‘violenza’ dei media.
Criteri di comunicazione ecumenica e interreligiosa nel campo della CS (4 ottobre 1989). Il Concilio ecumenico Vaticano II ha segnato una svolta nel campo dell’ecumenismo e nel rapporto con le religioni non cristiane, e i mass media presentano nuove opportunità per la cooperazione ecumenica e interreligiosa. Il PCCS aggiorna qui i criteri dei precedenti documenti. Ai professionisti della comunicazione sociale viene rivolto l’invito ad aderire alle organizzazioni cattoliche ( OCIC; UNDA; UCIP) per contribuire all’ecumenismo con una collaborazione efficace (n. 21).
Etica nella pubblicità (22 febbraio 1997). Il documento esprime un giudizio sostanzialmente positivo sulla funzione della pubblicità, considerata elemento centrale nella società odierna, specie per l’economia di mercato (Deontologia della comunicazione. D. Deontologia della pubblicità). Rivolge un appello ai professionisti della pubblicità, affinché eliminino gli aspetti dannosi e adottino regole morali d’alta qualità quanto alla veridicità, alla dignità umana e alla responsabilità sociale (n. 23).
Etica nelle comunicazioni sociali (2 giugno 2000). Il documento esprime una fondamentale fiducia nella capacità dell’uomo di intervenire nel mondo dei media. Questi "non sono forze cieche della natura che si trovano al di là del controllo umano" (n. 1); fanno piuttosto appello alla responsabilità dell’uomo e al dovere di porre la persona umana e la comunità umana come fine e misura dell’uso dei mezzi di comunicazione umana. Il documento, dopo una rapida analisi dei vantaggi e dei rischi della presenza dei media nella vita economica, politica e culturale del nostro tempo, esprime – in chiave sostanzialmente positiva – i principi dell’etica della comunicazione sociale, che si ispirano alla ‘saggezza etica’ della Chiesa cattolica.
Tra gli altri documenti della Curia romana, che direttamente e occasionalmente trattano di comunicazione sociale, merita di essere ricordato quello della Congregazione per l’educazione cattolica del 19 marzo 1986: Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della CS. Essi propongono un piano formativo a tre livelli: 1) livello di base, per la formazione dei recettori (Media education); 2) livello pastorale, che riguarda la futura attività del sacerdote; 3) livello specialistico da offrire a quanti hanno particolari talenti in questo settore e sono chiamati a svolgere un apostolato specializzato.
Questo documento privilegia la formazione ai mass media. Si è fatto notare che il Concilio ecumenico nel decreto Inter mirifica aveva proposto l’espressione "comunicazione sociale" proprio per tener presenti "tutti i mezzi di comunicazione della società umana". Questa visione integrale della comunicazione trova sensibili i formatori dei seminaristi nei Paesi del cosiddetto Terzo mondo, dove i diversi mezzi di comunicazione delle culture locali sono spesso più importanti dei moderni mezzi di comunicazione.

3. Vescovi e Chiese locali

Numerosi sono i documenti prodotti dalle Chiese locali dopo il Concilio ecumenico Vaticano II a proposito di media. Tra questi si distinguono quelli delle Conferenze generali dei vescovi latino-americani (in particolare Medellín 1968 e Puebla 1979) e quello elaborato congiuntamente dalla Conferenza episcopale tedesca e dal Consiglio della Chiesa evangelica in Germania: Chansen und Risiken der Mediengesellschaft, 1997 (cfr. Regno-documenti1997, n. 19).
Tra le lettere pastorali, sono da ricordare quelle del card. Carlo M. Martini per il carattere emblematico che a esse è stato riconosciuto dall’opinione pubblica ecclesiale e laica.
Giungendo a Milano nel 1980 dalla cattedra universitaria dell’Università Pontificia Gregoriana, C. M. Martini si era proposto di continuare quella sperimentazione dell’incontro tra Vangelo e cultura moderna già avviata nella sede milanese dal suo predecessore G. B. Montini, poi Papa Paolo VI. Nel biennio 1990-1991 il cardinale mette a fuoco, e con la maestria che gli è universalmente riconosciuta, il tema della comunicazione.
Nella prima lettera Effatà, Apriti (1990) Martini si propone di ritrovare nella "Babele odierna della comunicazione", le condizioni per ripristinare una comunicazione autentica. Questa nasce dall’interiorità, ha bisogno di tempo e di gradualità per svilupparsi, non teme i momenti di ombra, coinvolge tutta la persona. Maria di Nazaret è indicata come l’icona della comunicazione (n. 18-38).
Nella seconda lettera pastorale Il lembo del mantello (1991) Martini indica il carattere quasi sacramentale dei media. La donna emorroissa (Luca 8,44) che tocca il lembo del mantello di Gesù e viene guarita è la nuova icona del rapporto Chiesa-media: questi "possono essere lo strumento di un cammino della massa verso le persone". Il cardinale detta quattro imperativi per la Chiesa d’oggi: "la Chiesa deve dire e praticare la comunicazione, deve promuovere una mentalità aperta e più disponibile all’informazione; deve svolgere principalmente un ruolo profetico ed educativo, non cercare di impadronirsi dei media; deve influenzare la produzione dei messaggi, servendosi di tutti i media; deve anche entrare nei media direttamente, se ha tenuto presenti i tre punti precedenti" (Martini, 1991).

4. Le Chiese evangeliche e la comunicazione sociale

Le chiese evangeliche si sono attivamente interessate alla comunicazione. I loro documenti sono sovente più incisivi e audaci rispetto a quelli della Chiesa cattolica. Quasi contemporaneamente al Concilio Vaticano II, il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) ha trattato del rapporto Chiesa-media nell’assemblea mondiale di Uppsala (Svezia) nel 1968. "Con un tono provocatorio Uppsala mette l’accento sull’autenticità e la qualità intrinseca della verità annunciata tramite i mass media. Una visione positiva ci fa vedere che il mondo della comunicazione si configura come il teatro di azione di Dio: i film, i romanzi e gli altri media sovente trasmettono il messaggio evangelico in termini di maggior impatto rispetto a quelli della Chiesa istituzionale. Uppsala mette anche in guardia nei confronti della comunicazione massmediale: la comunità diventa anonima, passiva, invisibile (...). I programmi religiosi alla radio e televisione non possono sostituire la vita comunitaria dei fedeli" (Santos, 1998).
Nella successiva assemblea di Vancouver (1983) il CEC si è soffermato sulla comunicazione in quanto tale (il documento di questa assemblea è stato tradotto in italiano: La credibilità della comunicazione cristiana (Elledici, Leumann (To), 1989). Il testo è stato redatto non da esperti della comunicazione, ma da semplici cristiani che si sono interrogati sulla "credibilità della comunicazione" all’interno della comunità e si sentivano a disagio con la comunicazione unidirezionale dei mass media. Hanno voluto sottolineare il ruolo della comunicazione interpersonale nella Chiesa, le relazioni che valorizzano l’io, il tu, il noi. "La comunicazione cristiana si realizza quando lo Spirito agisce, come nel giorno di Pentecoste (...). È efficace quando risulta da persona a persona, come Gesù si comunicò a Nicodemo e alla donna samaritana. È vera quando nasce da una esperienza autentica e la propria vita viene condivisa con quella degli altri, come fece Gesù; mette le persone nella condizione di raccontare la propria storia, come successe a Nicodemo. Crea comunità come avvenne nella Chiesa primitiva".
A Londra ha sede la World Association for Christian Communication (WACC), che raggruppa Chiese cristiane e singoli cristiani di tutto il mondo e pubblica il periodico Media Development, con attenzione particolare ai Paesi in via di sviluppo. Nel 1986 la WACC ha pubblicato un documento che propone cinque principi per la comunicazione cristiana (Christian principles of communication): 1) La comunicazione cristiana costruisce la comunità. 2) È partecipativa. 3) È liberatrice. 4) Tutela e promuove tutte le culture. 5) È profetica.

Conclusione

I documenti delle Chiese cristiane circa la comunicazione sociale dimostrano che un "cammino di avvicinamento" è stato compiuto. "Da una visione strumentale dei media il discorso si è centrato sull’uomo comunicatore, sulla dimensione comunicativa di tutta la vita ecclesiale, l’evangelizzazione in quanto comunicazione, la cultura in cui viviamo, contrassegnata dai mass media, la capacità comunicativa degli operatori pastorali, gli stili di comunicazione ad intra e ad extra della Chiesa" (Santos, 1998). I documenti ecclesiali documentano, dunque, un cammino significativo della comunità cristiana nel secolo XX. Non vanno ritenuti conclusivi, ma punti di partenza per ulteriori cammini nel dialogo tra Chiesa e mondo contemporaneo.

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Note

Come citare questa voce
Giannatelli Roberto , Chiesa e comunicazione - B. Dopo il Vaticano II, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (11/10/2024).
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