Televisione A. Storia della televisione

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1. Dalla fase sperimentale all’avvento del colore

Nel 1925 l’inventore scozzese John Logie Baird, che lavorava a Londra, realizzò quelle che probabilmente sono le prime immagini televisive (rappresentavano un gatto), continuando poi a migliorare la propria invenzione. La sua era una t. essenzialmente meccanica, in cui il cuore del processo (la scansione dell’immagine in una serie di righe successive) era realizzato con il disco rotante traforato, inventato dal tedesco Paul Gottlieb Nipkow nel 1883 (brevettato nel 1885, ma poi mai utilizzato). Contemporaneamente l’americano di origine russa Vladimir Kosma Zworykin, che operò prima nei laboratori della Westinghouse, poi per la Rca e la Nbc, lavorava a un sistema televisivo interamente elettronico il cui cuore era l’iconoscopio, derivato da quelle valvole termoioniche che avevano permesso l’affermazione della radio. Nella prima metà degli anni Trenta i due sistemi furono in conflitto reciproco, poi la tecnologia proposta da Zworykin prevalse in America e infine anche nel Regno Unito, la patria di Baird. Vari Paesi prima della seconda guerra mondiale iniziarono un servizio abbastanza regolare di t.: il primo fu probabilmente la Germania nazista (1935), anche se comunemente il primato è attribuito all’Inghilterra. Anche gli Stati Uniti si dotarono di trasmissioni regolari, e così la Francia, mentre in Unione Sovietica e in Italia si compivano esperimenti. Tuttavia lo scoppio della guerra bloccò il lancio della Tv, perché le industrie producevano per l’esercito e mancavano tutte le condizioni sociali e psicologiche per lo sviluppo di tecnologie destinate allo svago domestico.
Dopo la guerra, invece, la Tv si diffuse in condizioni di grande prosperità e ricerca del benessere. In molti Paesi, fra cui l’Italia, la Tv arrivò anche dove la radio non era mai arrivata. L’espansione fu rapida: in America i televisori erano 3 milioni nel 1950, 27 milioni nel 1953 e 57 milioni nel 1961. Nel 1968 quasi ogni famiglia americana aveva almeno un televisore.
Nel 1960 la Tv era già arrivata in 56 paesi: 24 in Europa, fra cui l’Italia, 3 in America del Nord, 9 in America Centrale, 7 in America del Sud, 10 in Asia, 1 in Oceania e 2 in Africa. Ben 19 paesi europei introdussero la t. tra il 1954 e il 1956. Prima del 1965, gran parte degli Stati europei disponeva anche di un secondo canale. Nel 1970 i paesi con la t. erano 104: tutta l’Europa, l’Oceania e le tre Americhe, quasi tutta l’Asia e più di metà dell’Africa. I televisori erano allora 298 milioni in tutto il mondo. Nei Paesi sviluppati, intanto, si diffondeva la t. a colori. Nel decennio successivo la copertura del pianeta è quasi completa; gli apparecchi raggiungono i 561 milioni; il numero dei canali si moltiplica. Poi i videoregistratori e i satelliti amplieranno all’infinito modalità e occasioni di fruizione. Oggi nel mondo i televisori sono più di un miliardo (300 milioni in Europa). In 7 case su 10, nel mondo, c’è un apparecchio. Il pubblico televisivo è composto di circa due miliardi di spettatori.
Gli standard di trasmissione erano stati fissati già nel dopoguerra, e alla conferenza di Atlantic City, nel 1947, fu stabilita la ripartizione internazionale delle frequenze dello spettro elettromagnetico. Gli Stati Uniti adottarono un sistema a sole 525 linee di scansione, detto NTSC, puntando sulla massima semplicità a scapito della qualità. Esso fu accolto anche in Canada, nell’America Latina, in Giappone, in Australia, in India, nelle Filippine. Nell’Europa occidentale fu adottata nel 1951 una definizione migliore, a 625 linee in bianco e nero. Il colore si affermò in America negli anni Cinquanta e più tardi in Europa: un attrito tra il sistema francese Secam e quello tedesco Pal si concluse a favore di quest’ultimo. Il Secam sarà invece adottato – oltre che dalla Francia – dall’Africa francofona e dai Paesi del blocco sovietico. L’Italia arriverà con grave ritardo alla Tv a colori, nel 1977: una scelta motivata da ragioni di opportunità economica (la Fiat temeva che l’acquisto dei televisori a colori avrebbe compromesso il successo di un suo nuovo modello). Il ritardo massacrerà l’industria nazionale dell’elettronica di consumo.

2. Tra servizio pubblico e sistema commerciale

Negli Usa radio e t. erano diffuse dagli stessi network radiofonici NBC; CBS; ABC; il broadcasting su entrambi i mezzi era così in mano ai privati, sotto il controllo di un’autorità federale (la Fcc, Federal Communications Commission), e si finanziava con le sponsorizzazioni e la pubblicità. Per la prima volta, questa rappresentava l’unica fonte di entrata di un mezzo di comunicazione. Fondamentale per la t. commerciale è la misurazione dell’ascolto, anche ai fini delle tariffe per gli inserzionisti; prima attraverso diari e interviste, poi negli anni Ottanta con metodi di misurazione elettronica (people meter) che si diffusero anche in Europa (in Italia Auditel dal 1986).
In Europa la radio e conseguentemente la t. furono invece ritenute un servizio di utilità pubblicà, perché l’etere era considerato una risorsa scarsa che permetteva solo a pochi privilegiati di trasmettere. Per questo radio e Tv vennero amministrate da enti controllati direttamente o indirettamente dallo Stato, in regime di monopolio, e si finanziarono attraverso un canone o una tassa. In tutti i Paesi europei la t. fu un monopolio pubblico, con l’eccezione del Regno Unito in cui nel 1954 venne autorizzato un canale privato controllato dallo stato. Le t. pubbliche erano gestite con una filosofia che poteva sintetizzarsi nelle istruzioni di sir John Reith, il primo direttore generale della Bbc inglese: "istruire, informare, intrattenere". Si parla perciò di una t. ‘pedagogica’, con la quale un ceto dirigente intendeva promuovere un temperato progresso delle conoscenze e dello standard di vita delle popolazioni.
In Italia la t. venne avviata ufficialmente nel 1954 dalla Rai, titolare della concessione esclusiva da parte dello Stato. La sua diffusione fu all’inizio lenta, ma dopo due anni iniziò un successo duraturo; ogni anno i suoi abbonati aumentarono, mentre con grande efficienza e rapidità si veniva ampliando la rete di trasmissione. All’inizio la visione fu prevalentemente collettiva, anche in bar, club e parrocchie, cinema e luoghi di ritrovo, e sembrò delinearsi una nuova forma collettiva di spettacolo. Tuttavia, appena i prezzi degli apparecchi scesero, la t. si diffuse in tutte le case, diventando un arredo fisso del nucleo familiare attorno a cui si costruivano abitudini, relazioni, stili di vita che coinvolgevano tutti i membri della famiglia. Già nel 1957 la t., che era controllata in modo indiretto dal governo senza il contributo delle opposizioni parlamentari, era ricevibile praticamente dal 90% degli italiani. Nel 1961 fu inaugurato il secondo canale, che ebbe una programmazione complementare al primo assumendo talvolta, con l’affermarsi del centro sinistra, una funzione dialettica, mentre si diffuse la ‘lottizzazione’ (spartizione non trasparente di cariche e responsabilità e l’attribuzione di esse per meriti di partito). La pubblicità era scarsa e rigorosamente distinta dai programmi, in un apposito spazio ( Carosello, 1957-1977) nel quale il messaggio promozionale era regolato da norme restrittive.
Tra il 1974 e il 1976 alcune sentenze della Corte Costituzionale aprono all’emittenza privata (purché locale), mentre parte la Terza rete (1978) della Rai. In assenza (e anche in violazione) di leggi, nascono radio e t. private che tenderanno ad assumere una dimensione nazionale. Negli anni Ottanta si afferma il network Canale 5 dell’imprenditore edile Silvio Berlusconi (Fininvest, poi Mediaset), che assorbe nel 1981 Italia Uno e nel 1984 Retequattro. Si determina così una situazione in cui le tre reti Rai e le tre Fininvest, quasi alla pari come ascolto, si spartiscono il 90% delle risorse e dell’ascolto televisivo via etere (‘duopolio’). Questa situazione sarà ‘fotografata’ dalla L. 223/90 (c.d. "legge Mammì"), mentre l’apertura del duopolio mediante nuove tecnologie trasmissive è finalmente resa possibile dalla L. 249/97.

3. La pay-Tv e la convergenza digitale

Intanto la distribuzione del segnale televisivo via cavo coassiale si sviluppava nelle grandi città americane e permetteva la distribuzione di programmi a pagamento: la pay-Tv. La tipologia della t. via cavo si differenziò rapidamente da quella via etere, i cui canali sono in numero limitato. La t. via cavo offre invece un pacchetto assortito di canali (bouquet) anche a tema (‘tematici’: cinema, sport, notizie, cultura) pagati direttamente dagli abbonati e non dalla pubblicità. In Europa questa tecnologia si è diffusa particolarmente nelle zone con difficoltà orografiche o esposte a influenze linguistiche e culturali plurime, dove è stata largamente utilizzata per ritrasmettere i programmi di altri Paesi (‘canali replicanti’). Soltanto negli anni Ottanta la rottura dei monopoli televisivi renderà possibile in Europa la t. commerciale e dunque anche la pay-Tv. Dagli anni Sessanta, intanto, erano stati messi in orbita satelliti artificiali adatti alla trasmissione di segnali televisivi, prima tra un continente e l’altro (grazie ad antenne paraboliche di grandi dimensioni in apposite stazioni) poi con antenne più piccole (‘satelliti di distribuzione’), largamente usati per trasportare i programmi che poi sarebbero stati ritrasmessi via cavo. Solo vent’anni dopo diventeranno affidabili satelliti ricevuti direttamente dalle abitazioni (direct to home) con parabole economiche e non ingombranti; dai primi anni Novanta questi satelliti sono digitali: innovazione che permette, grazie alla compressione del segnale, di moltiplicare i canali. Il criptaggio del segnale, decodificabile solo attraverso un apposito apparecchio (decoder) permette di assicurare la sua ricezione solo agli abbonati.
Alla fine degli anni Settanta compaiono altre importanti tecnologie: il teletext (in Italia Televideo) che permette di trasmettere, insieme al segnale televisivo, pagine di testo e di dati consultabili anche separatamente; il telecomando a raggi infrarossi (remote control) che darà vita a una rapida e ondivaga scelta dei canali (Zapping). Il videoregistratore diventa più piccolo, assume le forme di una tecnologia domestica (Vcr) e diffondendosi nel 75% delle case moltiplicherà l’offerta di t., autonomizzando in modo crescente lo spettatore dalle scelte delle emittenti.
Oggi è in atto una convergenza multimediale tra il telefono (che mette a disposizione le sue reti, la liquidità delle sue aziende e la grande esperienza nella fatturazione a contatore), il computer (linguaggio digitale), la t. (grande esperienza nella rappresentazione e narrazione visiva, archivi sterminati di immagini), mentre sono sostanzialmente archiviati i tentativi di una t. analogica migliorata (Tv ad alta definizione, Hdtv). L’obiettivo di una t. interattiva che dialoghi con il suo utente, molte volte evocato, imporrebbe una drastica svolta a una forma culturale basata, finora, sulla trasmissione a senso unico a uno spettatore immerso nel relax domestico. Esso non è impossibile ma le risposte (culturali, tecnologiche e di mercato) che sono state finora date non sono sufficienti. La pay-per-view (in cui si paga solo quello che si consuma) richiede un cavo di elevata capacità oppure l’interazione tra un satellite digitale e il telefono. Quando i canali si moltiplicano si parla, per ora, di video on demand. Le ‘piattaforme digitali’ sono un insieme di programmi gratuiti, basic (pagati in abbonamento) e in pay-per-view, distribuiti via satellite digitale ricevuto direttamente dalle case, attorno a cui è in atto una guerra commerciale e di standard. La convalida del mercato ancora non c’è, ma è palese l’intento dei grandi gruppi internazionali di prenotarsi aree e quote del mercato a discapito della concorrenza.

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Note

Come citare questa voce
Menduni Enrico , Televisione - A. Storia della televisione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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