Immagine B. Immagine mentale

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Se qualcuno ci chiedesse: "Che figura geometrica si ottiene facendo ruotare un trapezio sulla base maggiore? Oppure, quale figura si ottiene facendo ruotare la stessa figura sulla base minore?", è molto probabile che saremmo in grado di dire che si ottengono figure geometriche tridimensionali diverse. Se un amico ci raccontasse: "Viaggiavo a forte velocità in autostrada, quando all’improvviso un cane mi ha tagliato la strada. Ho fatto una brusca frenata e la macchina è sbandata fermandosi di traverso sulla carreggiata opposta...", è probabile che riusciremmo a raffigurarci la scena descritta. E infine, se a scopo di gioco, qualcuno chiedesse: "Hai mai pensato di essere a cavalcioni di un condor e di volare, volare, volare libero nel cielo...?", non avremmo sicuramente difficoltà a immaginarci, stretti alle ali di questo grande rapace, in cerca di prede da catturare, in mezzo ad altissime montagne.
Sebbene nessuno di noi possa dire di aver mai vissuto qualcuna di queste situazioni, tutti comunque saremmo in grado di ‘vedere’ nella nostra mente il trapezio ruotare, la macchina sbandare, il condor e noi stessi volare, in breve di avere o produrre i. mentali.
Qualunque sia l’importanza o l’utilità di ricorrere a questo tipo di rappresentazione, non c’è dubbio che ce ne serviamo ogni giorno. L’architetto disegna una casa richiamandosi a una i. che già possiede dentro di sé; un pittore dipinge un quadro raffigurandoselo man mano nella sua mente; un regista gira un film secondo la sequenza di i. che pensa. E anche lo scienziato organizza il suo lavoro in base all’i. che si è creata dell’oggetto della sua ricerca: non per nulla, per anni si è studiato l’atomo descrivendolo come un sistema di elettroni ruotanti attorno a un nucleo, per quanto nessuno abbia mai potuto verificarne direttamente l’esistenza.
Il tema dell’i. mentale ha assunto nella ricerca psicologica una particolare importanza attorno agli anni Settanta, con lo sviluppo di diverse ipotesi teoriche e numerose ricerche. Ma già nel passato era stato oggetto di studio da parte di psicologi interessati ai test di valutazione della intelligenza (Thurstone, 1938).

1. I. mentale e percezione visiva

Immaginare qualcosa e percepire qualcosa sono esperienze assai simili, difficilmente distinguibili fra loro. Per questo motivo si pensa che esse condividano, in parte, gli stessi sistemi cerebrali. Tuttavia, se sembra possibile che l’immaginare (il sognare, l’allucinare, ecc.) possa essere confuso con il percepire, non sembra possibile il contrario. D’altra parte, immaginare e percepire allo stesso tempo è una esperienza che può avvenire con estrema difficoltà. Questo vuol dire che a qualche livello i processi di percezione e immaginazione attingono alle stesse risorse. Alcuni casi di lesioni al cervello, accompagnate da difficoltà nella visione, hanno manifestato problemi analoghi nella capacità di formare e utilizzare i. visive. Ne deriva che un danno al tessuto cerebrale coinvolge entrambe le capacità.
La dimensione presenza/assenza dell’oggetto fa risaltare immediatamente la differenza tra i due processi. Nella percezione si osserva l’oggetto e il percepito è il risultato dello stimolo ricevuto. Nella i. mentale è possibile sia avere sia esaminare una figura, ma questa non è indotta da una stimolazione sensoriale. L’i. di un cavallo può essere manipolata nelle sue parti (testa, criniera, orecchi, ventre, zampe, zoccoli, ecc.), mentre il processo di percezione concreta di un cavallo resiste a qualsiasi tentativo di modificazione.
La dimensione presenza/assenza evidenzia anche un’altra differenza tra i due processi. Nella percezione non è possibile il ricordo, mentre nell’i. mentale il richiamo di un’informazione già posseduta è qualcosa di tipico.
Sia nella percezione sia nell’i. mentale è possibile ‘vedere’ un movimento nello spazio. Ma nella seconda l’assenza dell’oggetto consente di essere più liberi, al punto da poterne prevedere lo spostamento e lo spazio che esso può occupare. Si può subito rilevare l’importanza di tale fenomeno in alcuni casi: quello, ad esempio, del giocatore che deve saper predire il movimento del pallone per coordinare i suoi muscoli e poi colpire o di chi va al supermercato e decide le cose da comprare immaginando lo spazio disponibile nel frigorifero.
Sulla realtà e sulle operazioni che la mente può compiere sulle i. mentali si sono intensificate negli anni Settanta molte ricerche e riflessioni. In modo particolare, gli studi si sono focalizzati su questi interrogativi: Quali sono le caratteristiche dell’i. mentale? Attraverso quali processi la mente è capace di agire su di essa? Dove è collocabile quell’i. che ci sembra di vedere quando la usiamo?

2. Due teorie sul formato delle i. mentali: i proposizionalisti e i pittorialisti

Le teorie relative alla natura dell’i. mentale si sono fondamentalmente sviluppate come risposta a questa domanda: la mente dispone di informazioni sul formato ‘pittorico’ e di operazioni a esse specifiche o ciò che noi riferiamo a operazioni sulle i. in realtà non è che l’applicazione di processi comuni che, operando su certi contenuti, danno luogo a quelle che noi chiamiamo i. mentali?
La risposta non è stata unanime e sono emerse due correnti teoriche. Una va sotto il nome di teoria proposizionalista, l’altra di teoria del doppio codice (o pittorica o fotografica).
Z. W. Pylyshyn (1973; 1981), sostenitore della posizione proposizionalista, ritiene che la realtà delle i. non è legata a una codificazione speciale del modo in cui la mente umana elabora le informazioni; al contrario, è qualcosa di identico ad altri tipi di rappresentazione di conoscenza. La mente pensa utilizzando un "formato comune" o una specie di "interlingua" valida per le informazioni di tipo sia verbale sia figurativo. La "proposizione" (una relazione e un argomento) è un codice che ha la capacità di rappresentare le diverse forme di conoscenza. Quando si parla di forma proposizionale ci si riferisce al suo contenuto relazionale. Ad esempio, se una persona ha di fronte un tavolo e un vaso posato su di esso, non vede due oggetti. Le sue conoscenze si arricchiscono grazie alla proposizione: "il vaso è sopra il tavolo" o "il tavolo sostiene il vaso". Pylyshyn applica la teoria proposizionalista al sistema immaginativo e asserisce che non ha senso parlare di caratteristiche fotografiche delle i. mentali. Esse possono essere pensate a livello "proposizionale-funzionale". Solo in questo modo un’i. mentale, in quanto rappresentazione, è sufficientemente generica, astratta e anche inconscia da potersi applicare a classi di oggetti e non solo a figure specifiche (ad esempio, l’i. di un triangolo per tutti i triangoli). Il fatto di "vedere un’i. nella mente" non è niente altro che un’operazione di identificazione di simboli che esprimono una relazione e un contenuto. Una data i. mentale non è una particolare forma di costrutto teorico, ma una particolare codificazione comune ad altre rappresentazioni mentali.
La teoria del doppio codice si è affermata all’inizio degli anni Settanta e A. Paivio ne è stato il principale esponente e sostenitore. L’assunzione fondamentale di questa teoria è che le rappresentazioni mentali conservano in sé alcune delle qualità concrete delle esperienze esterne dalle quali sono derivate. Secondo Paivio (1986; Clark - Paivio, 1987; Johnson - Paivio - Clark, 1989), il sistema di rappresentazione mentale delle conoscenze è costituito da due sottosistemi di rappresentazione: quello non-verbale e quello verbale. Il primo consiste nell’elaborazione dell’informazione relativa a eventi e oggetti non-verbali; il secondo, nella decodificazione di stimoli linguistici. I due sottosistemi sono autonomi e allo stesso tempo interconnessi, in modo tale da permettere una traduzione mentale dall’uno all’altro sistema e codice.

3. I processi dell’i. mentale

Altri ricercatori, tuttavia, più che partire dalle caratteristiche del formato dell’i. rispetto a quelle del linguaggio-verbale o esaminare se tanto le une che le altre siano riducibili a un modo unico di rappresentarle, si sono diretti ad approfondire i modi in cui la mente umana vede, crea, manipola e mantiene una i. mentale. Questa prospettiva, più che una ricerca su come le i. sono conservate nella memoria a lungo termine, ha affrontato il problema delle operazioni mentali sulle i. Gli studi, dapprima avviati da Shepard e Metzler (1971; 1988; Shepard - Cooper, 1982), sono stati proseguiti e sviluppati soprattutto da Kosslyn (1976; 1980; 1987; 1989, 1994).
I primi hanno iniziato con esperimenti sull’attività di rotazione delle i. mentali. La procedura generale consisteva nel presentare ai soggetti due figure geometriche molto simili nella forma, ma con diversi gradi di inclinazione. Il compito dei soggetti consisteva nel valutare il più velocemente possibile se le figure avessero la stessa forma, a prescindere dal grado di inclinazione.
Kosslyn, riconoscendo l’importanza del contributo di Shepard e Metzler, ha cercato di approfondirlo sviluppando metodi, ipotesi, interpretazioni e proponendo una descrizione globale dell’attività mentale fondata anche su dati neurologici. L’i. mentale può essere paragonata a una i. televisiva. Quello che la gente dice di ‘vedere’ in un preciso momento, è un’i. portata in buffer visivo cerebralmente identificabile (corteccia occipitale). Qui può essere mantenuta sotto attenzione visiva (attention window) ed essere sottoposta a ispezione. Ispezionare vuol dire ‘osservare’ l’i., cercando una delle sue parti. Su di essa si sposta l’occhio della mente e il tempo impiegato per focalizzarsi su un punto è proporzionale alla distanza che l’occhio deve percorrere sulla figura. Per fare una buona ispezione, l’occhio della mente ha bisogno di avere una i. a risoluzione ottimale e, quando è necessario, vengono chiamati in causa altri due processi: l’avvicinamento con relativo ingrandimento (zoom) e l’indietreggiamento con relativo rimpicciolimento dei dettagli (pan).
Sull’i. che in un certo momento ‘vediamo’ ci si potrebbe porre una domanda. Come avviene la ‘generazione’ di questa i.? La risposta può essere semplice: attraverso un ‘assemblaggio’ di un tutto sul quale vengono collocate le parti. Perché una i. sia chiara (condizione di alta definizione dell’i.), è necessario che globalità e dettagli siano altrettanto chiari e definiti; in caso diverso, l’i. ‘tenderà’ verso il globale o il dettaglio.
Ricerche neurologiche recenti hanno dimostrato che alla formazione dell’i. mentale concorrono sistemi cerebrali diversi: la corteccia temporale e quella parietale. La prima fornirebbe le proprietà dell’oggetto (la forma, il colore e la trama); la seconda le proprietà spaziali come collocazione, grandezza e orientamento. L’esistenza di due sistemi predisposti alla visione è confermata dai casi nei quali, a lesioni del lobo temporale, non corrisponde l’alterazione della relazione spaziale di parti, ma quella della visione dell’oggetto nella sua globalità; viceversa, se la parte lesa è il lobo parietale, viene a mancare la relazione spaziale delle cose, ma non il riconoscimento delle forme. Questi stessi fatti sembrano far pensare che per il riconoscimento delle forme vi sia una interazione tra il lobo occipitale e la parte inferiore del lobo temporale (sistema ventrale), mentre per la localizzazione degli oggetti c’è una interazione tra lobo occipitale e lobo parietale (sistema dorsale).
Ma si può anche rilevare una differenza tra emisfero destro e sinistro. Il sistema dorsale destro sembra essere più preciso della sua controparte sinistra nel localizzare le parti su un’i. Si può quindi ‘pensare’ la generazione delle i. come un processo di ‘assemblaggio’ nel quale due sistemi corticali (e due emisferi) concorrono, oppure rimangono distinti, a seconda del tipo di i. prodotta.
Come si può rilevare dall’esperienza, le i. mentali possono essere contemplate e costruite, ma anche essere ‘dinamicizzate’: ruotate, movimentate, trasformate, cambiate nelle proporzioni e nella forma. Naturalmente, ‘muovere’ una i. richiede di spostare tutti i punti di cui essa è costituita o nella direzione del movimento o attorno a un centro stabilito (rotazione) o da un punto periferico verso un punto centrale (ingrandimento o rimpicciolimento). In generale si è rilevato che quanto più grande è la ‘trasformazione’, tanto maggiore è il tempo richiesto e tanto più difficoltose e numerose diventano le operazioni da compiere, dal momento che ampie e complesse relazioni di superfici devono essere ‘mosse’ in contemporanea.
Accenniamo da ultimo a un processo che si può dire sempre presente: il processo di mantenimento. La sua funzione è di impedire che l’i. si cancelli appena generata o nel momento in cui la si osserva. Le i., appena generate sullo schermo mentale, possono immediatamente o lentamente perdersi, tanto che si è rilevato che la corteccia cerebrale visiva sembra essere più attiva nell’immaginare che nel percepire. Per impedire che l’i. scompaia, si può ricorrere a diversi espedienti: ridurre il numero di elementi che compongono un’i. o ridurre il numero di elementi che hanno bisogno di essere mantenuti attivi.

4. Conclusione

Forse è perché in una giornata può generare, ricostruire, ricomporre nella mente migliaia di i. che l’uomo comune non presta molta attenzione alla complessità di questo fenomeno mentale. Lo ritiene un fatto naturale, spontaneo, di poco conto. In realtà, la ricerca attuale non solo ha dimostrato la difficoltà di rispondere ad alcune domande molto semplici (ad esempio, dove sono collocate queste i.?, come sono mantenute in memoria?, quali processi esse richiedono?), ma ha anche rivelato la potenzialità e ricchezza di un’attività mentale fervida e creativa.

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Note

Come citare questa voce
Comoglio Mario , Immagine - B. Immagine mentale, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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