Emittente comunitaria

  • Testo
  • Bibliografia21
  • Links1
  • Voci correlate
Autore: Paola Moggi
Per l’Unesco i community media sono canali alternativi per audience specifiche, finalizzati a incoraggiare la partecipazione delle organizzazioni rappresentative di un determinato contesto geografico e sociale (Unesco, World communication report, 1989). Il valore delle e. c. emerge da quella attività umana fondamentale che converte l’esperienza privata in esperienza collettiva (public communication). Ne deriva che la comunicazione comunitaria permette al singolo individuo di rendere partecipi della propria esperienza altri membri della sua comunità, intendendo per comunità l’unità basilare dell’organizzazione sociale orizzontale sia in senso geografico, sia in senso di condivisione di interessi, sia relativamente a una specifica identità. Tutti i segmenti della società locale dovrebbero avere accesso alla comunicazione per rendere completo il ventaglio di posizioni presenti nella società e rendere fattivo il contributo di tutti allo sviluppo. I media comunitari recepiscono tale istanza, differenziandosi così in modo sostanziale dai media commerciali, finalizzati semplicemente al profitto.

1. Iter storico

Le e.c. si sono diffuse a partire dalla fine degli anni Sessanta. In Europa sono state interpretate come una reazione al monopolio governativo della comunicazione, gestita in modo fortemente centralizzato e secondo un modello trasmissivo unidirezionale. In Europa le cosiddette radio libere, nate spesso come radio pirata (operanti senza rilascio della necessaria licenza governativa), sono state promosse anzitutto dai movimenti politici di protesta, mentre nelle Americhe, dove prevalevano le emittenti commerciali, le e.c. si sono costituite primariamente per sostenere lo sviluppo delle comunità rurali disperse e per offrire spazi espressivi alle popolazioni indigene (America meridionale e centrale, Canada e Alaska - Unesco, 1989). Nonostante grosse differenze di struttura e di assetto, le e.c. sono considerate generalmente alternative rispetto allo stile comunicativo della cultura dominante (sia neoliberista che comunista) finalizzata primariamente a esercitare il controllo e a uniformare gli stili di vita.
L’istanza culturale, che rinvia al rapporto fra potere simbolico e ordine sociale, ha animato anche molte e.c. sorte nelle metropoli statunitensi, canadesi ed europee a salvaguardia delle minoranze etniche e delle subculture (donne, giovani, omosessuali...).
L’emergenza culturale, che assume anche una valenza politica, si è affermata in modo particolare dagli anni Ottanta, a seguito del consistente aumento delle migrazioni. Nella dialettica fra globalizzazione del capitalismo e collisione multiculturale, le e.c. sembrano poter contribuire alla maturazione di una coscienza critica che salvaguardi la pluralità di espressioni in una convivenza pacifica. Esse infatti, soprattutto se a gestione partecipativa, costituirebbero esperienze concrete di corresponsabilità, di dialogo e di libertà espressiva rispettosa delle critiche. In tal modo le e.c., da una parte già ritenute espressione di una solidarietà incipiente, educherebbero a loro volta a una solidarietà più matura.

2. Finalità

Recependo il fenomeno emergente delle e.c., l’Unesco, già all’inizio degli anni Settanta, aveva affermato che le politiche comunicative avrebbero dovuto essere impostate in base ai bisogni comunicativi reali anziché in base a quelli presunti. Per concretizzare tale direttiva, l’organizzazione promosse una ricerca sull’uso dei mass-media in contesti locali geograficamente e socialmente differenziati. Tale ricerca ha rivelato la necessità di radicare maggiormente la comunicazione in ambito locale, valorizzando il contesto specifico di una comunità (non perché locale un’emittente è senz’altro comunitaria). In un documento successivo, citando l’art. 19 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, l’Unesco indicava nell’accesso e nella partecipazione dei cittadini alla gestione dei mezzi di comunicazione uno dei fattori determinanti per lo sviluppo sociale e la democratizzazione politica (Berrigan, 1981). L’e.c. assumeva in tal senso un ruolo strategico perché rendeva possibile, attraverso la mediazione delle organizzazioni e dei movimenti locali, la partecipazione della gente nella produzione, programmazione e gestione della comunicazione locale. Veniva in tal modo evidenziata la distinzione fra comunicazione di massa e comunicazione comunitaria.
Rispetto alla comunicazione di massa, la comunicazione comunitaria si distingue per:
– il valore delle relazioni interpersonali e il carattere dialogico della comunicazione;
– il forte radicamento entro un contesto circoscritto, comune ai destinatari e ai produttori dei messaggi;
– l’immediatezza del feedback e dell’auto-espressione dei membri della comunità.
In sintesi, le e.c. dovrebbero rispondere ai bisogni comunicativi presenti in un dato ambito geografico e sociale, divulgandone il vissuto per creare un forum di discussione e di approfondimento in cui affrontare i problemi specifici di un vicinato, di un quartiere, di una regione. Per il tipo di comunicazione orizzontale, i destinatari delle e.c. costituiscono un gruppo di partecipanti anziché un’audience di massa. Essi, infatti, possono intervenire personalmente sui contenuti e sulle forme dei programmi con un feedback immediato o incidere sulle scelte politiche dell’emittente attraverso la mediazione dei gruppi di pressione locali.
Proprio per il forte radicamento nel territorio, non esiste un modello universale di e.c.: seppur presenti in tutti i continenti, ciascuna può differenziarsi per l’assetto organizzativo, legislativo e per il tipo di programmazione. Ciò genera un caotico frazionamento delle esperienze, anche se rispetto alle emittenti governative e commerciali le e.c. presentano alcune peculiarità ricorrenti:
– incoraggiano l’autoespressione della comunità, valorizzando la cultura locale;
– collaborano con le organizzazioni e i movimenti sociopolitici locali, offrendo loro la possibilità di conoscersi e confrontarsi;
– esercitano pressione sui governi locali (ove essi siano presenti), divenendo parte integrante dell’azione sociale dei cittadini.
Dal momento che gli individui generano una comunità se si esprimono e si confrontano su questioni comuni rilevanti, le e.c. concorrono allo sviluppo della comunità, perché attraverso di esse possono esprimersi anche quei gruppi marginali che sono generalmente censurati nei media istituzionali e commerciali (analfabeti, minoranze). In questo modo la comunicazione comunitaria è piuttosto un metodo anziché un medium e le e.c., radiofoniche e televisive, diventano più un problema politico che un problema tecnico. Infatti nella gestione di una e.c. esistono anzitutto delle questioni politiche da chiarire: – a chi serve;
– chi decide circa le forme e i contenuti dei programmi;
– chi è autorizzato a esprimersi attraverso di essa;
– chi esercita il controllo sulla gestione dell’emittente.
Poiché la dipendenza economica può condizionare gli assetti di potere, viene auspicato che le e.c. ricorrano a mezzi leggeri e poco sofisticati, in modo che l’autofinanziamento non resti un’utopia.

3. Struttura e programmi

Le e.c., originariamente limitate al solo mezzo radiofonico, hanno profittato in tempi piú recenti anche della tecnologia televisiva via cavo (Olanda, Canada, USA, Ungheria – Unesco, World communication report, 1989). La gestione delle emittenti televisive, però, è risultata eccessivamente onerosa e dipendente da finanziamenti statali, così che, in sostanza, l’emittenza comunitaria rimane prevalentemente un’emittenza radiofonica.
Rispetto alle emittenti istituzionali e commerciali, le e.c. si sono generalmente caratterizzate per l’uso di una tecnologia a basso costo, per la scarsa attenzione alla qualità formale dei programmi e per l’apporto sostanzioso offerto dal volontariato. Il basso livello di professionalità dei volontari è stato però additato come una delle cause dell’insuccesso delle e.c. in certi contesti metropolitani.
Nella revisione, che è in corso in questi anni, emerge la necessità di distinguere fra:
radio della comunità, gestita in modo poco strutturato da volontari appartenenti alla comunità stessa;
radio per la comunità, dotata di uno staff professionale e retribuito non necessariamente appartenente alla comunità.

4. Questioni aperte

Oltre alla ricorrente precarietà economica, fra i problemi che gravano sulle e.c. possono essere annoverati quelli indicati di seguito.
– La sfida più radicale di tutte è quella posta da alcuni studiosi, secondo i quali comunque i media elettronici sono unidirezionali e non permettono una vera e propria comunicazione. Una ragione ulteriore per studiare a fondo realizzazioni come quelle di Radio Latacunga, Equador.
– Quando una comunità non è omogenea, ovvero consiste di gruppi che hanno interessi conflittuali, la gestione dell’emittente può risultare problematica. La questione prioritaria da risolvere, in tal caso, diventa quella della distribuzione del potere all’interno della comunità.
– La recente evoluzione subita dal concetto di localismo, a lungo inteso in senso geografico ma oggi maggiormente interpretato in chiave sociale (gruppi di interesse), pone in questione l’identità di una e.c.: quando e perché una emittente può definirsi a servizio di una comunità? È possibile che in uno stesso distretto geografico convivano più e.c.?
– Esistono difformità eccessive nell’assetto legislativo e finanziario garantito dai governi, così che molte e.c. non sono ancora riconosciute giuridicamente. Per alcune rimane irrisolta anche la questione della formazione del personale volontario. Associazioni come ALER (Associazione Lationoamericana di Educazione Radiofonica) e AMARC (Associazione Mondiale delle Radio Comunitarie) tentano di offrire una soluzione a tali esigenze di organico e offrono anche consulenza legale per ottenere il riconoscimento giuridico delle emittenti.
– La liberalizzazione della comunicazione, già sancita da molti provvedimenti legislativi, minaccia seriamente la sopravvivenza delle e.c., quando siano incapaci a sostenere la concorrenza delle emittenti commerciali. Per evitare che la comunicazione venga equiparata a un semplice bene di consumo, le radio comunitarie stanno organizzandosi in network, in modo da garantire una qualità formale adeguata, pur contenendo contemporaneamente i costi di esercizio. Ciò può contribuire a risolvere l’eccessivo frazionamento di esperienze e a integrare la dimensione locale entro una prospettiva più ampia; il rischio è che questi network finiscano per penalizzare l’accesso di altre organizzazioni. (Emittenza)


Bibliografia

  • AMARC, Partecipatory communication. Community radio and development in Proceedings og the Montreal Seminar of the World Association of Community Radio Broadcasters, Amarc, Montreal 1991.
  • BERRIGAN Frances J., Community communication. The role of community media in development, UNESCO, Paris 1981.
  • BOEREN Ad - EPSKAMP Kees P. (eds.), The empowerment of culture: development communication and popular media, Center for study of education in developing countries, The Hague 1992.
  • BOURGAULT Luoise M., Mass media in sub-Saharan Africa, Indiana University Press, Bloomington (IN) 1995.
  • CASMIR Fred L. (ed.), Communication in development, Ablex Publishing Corporation, Norwood (NJ) 1991.
  • CHANTLER Paul - HARRIS Sim, Local radio journalism, Focal Press, Oxford 1994.
  • DAGRON Alfonso Gumucio - TUFTE Thomas (eds), Communication for social change anthology. Historical and contemporary readings, CFSC, South Orange (NJ) 2006.
  • HAMELINK Cees, The politics of world communication, Sage, London 1994.
  • HERRAN Javier, Las cabinas de campos. Una esperiencia de comunicación popular en "Radio Latacunga", Abya Yala, Quito 1987.
  • JACOBSON Thomas - SERVAES Jan (eds.), Theoretical approaches to participatory communication, Hampton Press, Cresskill (NJ) 1999.
  • MATA Maria Cristina, Radio Enriquillo en dialogo con el pueblo, Aler, Quito 1985.
  • MCLAREN Peter - LEONARD Peter (eds.), Paulo Freire. A critical encounter, Routledge, New York 1993.
  • MELKOTE Srinivas, Communication for development in the third world. Theory and praxis, Sage, New Delhi 1991.
  • REEVES Geoffrey, Communication and the "Third World", Routledge, London 1993.
  • SERVAES Jan - JACOBSON Thomas - WHITE Shirley (eds.), Participatory communication for social change, Sage, London 1996.
  • SHEPHERD Gregory - ROTHENBUHLER Eric W., Communication and community, L. Erlbaum, Hillsdale (NJ) 2001.
  • UNESCO, Programme international pour le dévelopment de la communication. Rapport sur la communication dans le monde, UNESCO, Paris 1990.
  • UNESCO, World communication report, UNESCO, Paris 1989.
  • WHITE Shirley, The art of facilitating participation. Releasing the power of grassroots communication, Sage, London 1999.
  • WHITE Shirley A. - NAIR Sadanandar K. - ASCROFT Joseph (eds.), Participatory communication. Working for change and development, Sage, New Delhi 1994.
  • WOODS Bernard, Communication technology and the development of people, Routledge, London 1993.

Documenti

Non ci sono documenti per questa voce
Come citare questa voce
Moggi Paola , Emittente comunitaria, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (18/04/2024).
CC-BY-NC-SA Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
480