Immagine A. Introduzione

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1. La caverna platonica

La sottolineatura della fragilità dell’i. è antica: risale a Platone che, nella sua Repubblica, decreta l’ostracismo per l’arte motivandolo con due ordini di considerazioni, gnoseologiche (l’arte è copia delle cose che a loro volta sono copia delle idee, quindi è due volte lontana dalla verità) ed etiche (l’arte suscita le passioni e quindi allontana l’uomo dai valori della ragione nei quali consiste la virtù etica).
Dietro a questa condanna (Wunenburger, 1999) è facile individuare due grandi temi della moderna critica delle i.: il tema della mistificazione e quello dell’alienazione.
1) L’i. è, anzitutto, mistificante, e questo in due sensi. Il primo senso, chiaro in Platone, rinvia al suo carattere menzognero: "non essendo di per sé la cosa o l’idea, l’i. non può non lasciaremargini per uno scarto, anche quando è retta dal principio di somiglianza e di duplicazione" (Wunenburger, 1999). L’i. è sempre il risultato di una costruzione: questo vale per l’i. mitica che l’aedo va componendo nel suo raccontare, vale per la prospettiva quattrocentesca nella sua natura di rappresentazione illusionistica del reale, vale, infine, anche per le i. elettroniche che abitano il nostro paesaggio estetico: le i. televisive come quelle sintetiche generate dal computer. L’i. è non trasparente per definizione: la sua opacità dice, dunque, di una incapacità a restituire le cose: ecco perché, nell’apparenza delle i., secondo Platone, non c’è mai conoscenza della verità, ma solo il sapere fragile dell’opinione e questo tanto più quanto più l’i. elettronica annulla il ‘tempo della critica’ trasformandosi da rappresentazione osservabile in semplice stimolo visivo.
Ma il tema dell’opacità e del carattere costruito dell’i. indica anche nel senso della sua natura fraudolenta. Non solo l’i. non manifesta il mondo, ma svela un mundus alter che rischiamo di scambiare per quello reale. La costruzione dell’i. si rivela essere, allora, una manipolazione degli individui, come dimostrano i prigionieri della caverna platonica, convinti che le ombre che scorrono loro davanti sul fondo della caverna siano la realtà, mentre di fatto esse sono solo la proiezione illusoria di simulacri mossi da burattinai che si trovano alle loro spalle. L’i., dunque, come spazio illusorio che testimonia di un potere incantatorio, "un potere che obbliga gli individui a credere irrazionalmente a forme e norme assolute" (Wunenburger, 1999).
2) L’altro grande tema legato all’i. da Platone è, come dicevamo, quello dell’alienazione. Anche in questo caso è possibile dare diversi significati al termine. L’i. è, anzitutto, alienante nella misura in cui attraverso "le proprie forme e la propria forza, essa impressiona il soggetto, alimenta credenze incontrollate, suscita valorizzazioni impreviste" (Wunenburger, 1999). L’i. diviene, in questo caso, l’unico contenuto dello sguardo – come nella videodipendenza o nelle forme spinte del ciberspazio.
Ancora, l’i. produce alienazione quando evidenzia uno stato di sudditanza del soggetto nei confronti dei propri affetti e delle proprie passioni. Questo succede soprattutto nel caso di i. stereotipate, rappresentazioni impoverite che diventano facile preda di interessi passionali: pensiamo all’immaginario subculturale della pubblicità e ai suoi ‘tipi’ (la donna-casalinga-mamma, o la donna-oggetto-seduttrice, ecc.).
Infine, l’i. è alienante quando interseca il territorio del desiderio, perché rappresentando l’oggetto in absentia certifica l’individuo della sua mancanza e innesca, di conseguenza, il meccanismo desideratorio con il rischio, come nell’i. pornografica (Pornografia), che il desiderio finisca per innescarsi solo quando l’oggetto è rappresentato, cioè assente.
Questa rapida analisi sembra dunque negare all’i. una valenza conoscitiva: perché l’i. non consente di fare esperienza della verità e perché essa, piuttosto che attivare i processi intellettivo-razionali, attiva invece quelli emotivi e irrazionali.

2. Fuori dalla caverna

Si può uscire dall’impasse? In altre parole: è possibile riconoscere, al di là delle obiezioni che sono state indicate, un valore conoscitivo alle i.? Più che formulare una risposta sistematica a questa domanda si possono fissare dei punti a partire dai quali tale risposta possa essere elaborata.
1) Una prima considerazione riguarda direttamente il rapporto tra i. e attività intellettuale. A questo riguardo, forse perché figli di una cultura dell’astrazione e del concetto, stiamo correndo il rischio di chiudere l’attività intellettiva solo nello spazio dei processi logico-linguistici, dimenticandoci che altre sono le dimensioni della nostra intelligenza (Gardner, 1993) e che, tra di esse, quella visiva riveste una funzione di primaria importanza. Vi è tutta una serie di attività conoscitive, che noi abitualmente espletiamo, che ottengono dal pensiero visivo, più che non da quello algoritmico un valido apporto: pensiamo ai processi di schematizzazione, di rappresentazione spaziale, alla elaborazione di un itinerario. Ma pensiamo, soprattutto, a due attività della nostra mente che sono strutturalmente legate all’i.: la memoria, che Wunenburger definisce "un vero e proprio teatro d’i.", attraverso il quale noi non solo archiviamo i nostri ricordi, ma elaboriamo criteri per il loro ordinamento; l’immaginazione anticipatrice, attraverso la quale diamo forma a quella importantissima dimensione dello spirito umano che è l’utopia, un "discorso in figura" (Morin, 1963) attraverso il quale noi non prospettiamo mondi altri e irrealizzabili (in greco: ou-tópos, non luogo), ma integriamo la parzialità cui apparteniamo intenzionando in assenza la totalità di cui è parte (êu-tópos, bel luogo).
2) L’i. non è solo una dimensione importantissima del pensiero umano, ma anche lo spazio entro cui un pensiero si può organizzare. Esiste, cioè, un’epistemologia dell’i. (in particolare elettronica) che presenta caratteristiche proprie rispetto all’epistemologia della parola scritta dalla quale proveniamo: la condanna platonica da cui siamo partiti, forse, si spiega così, nel senso dell’incapacità di Platone ad ammettere l’esistenza di altre epistemologie, diverse da quella centrata sul concetto cui si sentiva di appartenere.
Quali sono le caratteristiche di questa nuova epistemologia dell’i.? Ben sapendo di operare in termini riduzionistici se ne possono individuare tre:
a) la multimedialità, cioè il fatto di disegnare un profilo del sapere multisensoriale, fatto di stimoli diversi che interessano contemporaneamente il soggetto;
b) la corporeità, cioè il fatto di rompere l’orientamento esclusivamente visivo della cultura proprio della civiltà della scrittura; l’i. audiovisiva parla al corpo e ottiene risposte che sono soprattutto corporee;
c) la mobilità, cioè il fatto di configurare la conoscenza secondo il nuovo profilo di un processo dinamico che deve fare i conti con una realtà (quella dell’i.) che vive dell’effimero e che cresce su se stessa.
Ne consegue una nuova idea del conoscere: non sequenziale, ma parallela; non teoretica, ma operativa; non cumulativa, ma random (casuale).
3) Dicendo questo si deve fare molta attenzione a non assecondare la tentazione di abbracciare la nuova epistemologia accantonando quella antica. Qui si disegna la frontiera etica, che è frontiera di moderazione. "In fin dei conti – osserva ancora Wunenburger – questo sguardo bombardato dalle i. non potrebbe diventare cieco? Non è forse indispensabile, per vedere, rispettare dei tempi di riposo e di pausa? Non si vede forse meglio dopo che si sono chiusi gli occhi, per poi riaprirli? L’esperienza delle i. esige forse fasi di svezzamento, di recupero, in altre parole delle interdizioni. Come già recitava Platone: "Lo sguardo della mente comincia a scrutare in modo penetrante quando quello degli occhi inizia il suo declino" (Wunenburger, 1999). (Fotografia)

Bibliografia

  • APPIANO Ave, Manuale di immagine. Intelligenza percettiva, creatività, progetto, Meltemi, Roma 1999.
  • BETTETINI Gianfranco, L'occhio in vendita, Marsilio, Venezia 1983.
  • GREGORY Richard L., Occhio e cervello. La psicologia del vedere, Il Saggiatore, Milano 1979.
  • GREGORY Richard L., Vedere attraverso le illusioni, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010.
  • MARANGONI Roberto - GEDDO Marco, Le immagini digitali, Hoepli, Milano 1996.
  • TURNER Victor - TURNER Edith, Image and pilgrimage in Christian culture, Columbia University Press, New York 1995 (ed. orig, 1978).
  • VERCELLONE Federico - BREIDBACH Olaf, Pensare per immagini. Tra scienza e arte, Bruno Mondadori, Milano 2010.

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Note

Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Immagine - A. Immagine. Introduzione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (29/03/2024).
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