Teorie sociali della comunicazione
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Autore: M. Britto Berchmans
Nell’ormai classico volume Foundations of behavioral research (1986) Kerlinger dà la seguente definizione di teoria scientifica: "Una teoria è un insieme di costrutti (concetti) interrelati, definizioni e proposizioni che offrono una visione sistematica dei fenomeni e che specificano le relazioni tra diverse variabili così da fornire spiegazioni e fare previsioni su tali fenomeni".
Gli studiosi che hanno esaminato i diversi aspetti del comportamento comunicativo sono giunti alla formulazione di varie teorie della comunicazione. (Scienze della comunicazione)
Nel corso di ottant’anni i ricercatori in questo campo hanno analizzato molteplici fenomeni di comunicazione, dagli effetti negativi della propaganda negli anni Venti alle attuali ripercussioni di Internet a livello globale. La teoria fondamentale della comunicazione raccoglie l’insieme delle teorie attraverso cui è possibile giungere a una migliore comprensione del processo di comunicazione.
a) La formulazione delle domande. Per costruire una teoria valida si devono fare anzitutto domande significative e interessanti. Per esempio, ci si potrebbe chiedere se gli individui che trascorrono molto tempo su Internet abbiano difficoltà a interagire con gli altri. Ciò potrebbe portare alla formulazione di un’ulteriore domanda a proposito della relazione esistente tra certe capacità di interazione sociale e il coinvolgimento nel mondo dei computer. Si possono fare diversi tipi di domande: domande di definizione (che cosa si intende per ‘individuo socialmente incapace’?), di fatto (quante ore al giorno trascorre mediamente un utente di computer davanti allo schermo del suo PC?), o di valore (quali effetti negativi produce Internet sulla socializzazione dei giovani?).
b) L’osservazione del fenomeno. Per trovare le risposte alle domande formulate, occorre ritornare alla realtà. Nell’esempio del rapporto tra uso del computer e capacità di interazione sociale, il ricercatore dovrà ‘osservare’ sia i giovani che usano il computer sia quelli che non lo usano e poi confrontare le rispettive capacità di interazione sociale. Questa tappa della costruzione di una teoria comporta necessariamente una qualche forma di misurazione. Si possono impiegare svariati metodi di osservazione e non ha alcuna importanza quale di essi si decida di usare. Ciò che conta è l’osservazione condotta in maniera sistematica e rigorosa. Il metodo di osservazione più comunemente usato, soprattutto nel campo della comunicazione, è quello della somministrazione di un questionario.
c) L’elaborazione delle risposte. Quando si analizza un fenomeno sociale, ci si può trovare dinanzi a numerose (e spesso confuse) risposte. Pertanto è imperativo l’esame di tali risposte in maniera che il fenomeno sia definito, descritto e spiegato adeguatamente. Questo processo di elaborazione delle risposte comporta la formulazione di un giudizio. Così, nell’esempio del rapporto tra uso del computer e capacità di interazione sociale, si potrebbe scoprire che non è tanto l’incapacità di interazione sociale quanto la mancanza di opportunità di interazione che porta un giovane a usare il computer come forma alternativa di socializzazione. Tuttavia, quando si lavora a una teoria, occorre ricordare sempre che ogni nuova formulazione deve tener conto di quanto è già stato detto sul fenomeno preso in esame. A volte, la nuova spiegazione o teoria potrebbe deviare radicalmente dalle altre teorie, nel qual caso lo studioso è tenuto a giustificare la sua posizione. Insomma, una teoria si sviluppa a piccoli, difficili passi. Spesso l’evoluzione di una teoria fa due passi avanti e uno indietro. In particolare nel campo delle scienze sociali, le teorie non sono scolpite nella roccia, ma vengono costantemente messe in discussione, revisionate e rielaborate. È questo che fa delle scienze sociali un campo di studio in continuo mutamento.
a) L’indagine scientifica è alla ricerca dell’obiettività, il che non implica necessariamente una sospensione dei valori. Il suo presupposto è che il mondo naturale esiste a prescindere dallo studioso e lo scopo della ricerca è quello di osservarlo attentamente e di farne delle descrizioni accurate. Il criterio di veridicità è costituito dal consenso raggiunto tra i vari ricercatori a proposito di un fenomeno. Questo tipo di approccio è particolarmente adatto allo studio della natura, ragione per cui è di solito adottato dalle scienze naturali e fisiche.
b) L’approccio umanistico è interessato più alla soggettività che all’oggettività; di conseguenza celebra le diversità piuttosto che le affinità. A differenza dell’approccio scientifico e della sua tendenza al distacco investigativo, la ricerca umanistica non presuppone il distacco dello studioso dall’oggetto preso in esame. La questione dell’esistenza autonoma del mondo empirico non è di alcun interesse per gli studiosi umanistici, impegnati soprattutto nel campo della critica letteraria.
c) Le scienze sociali sono un caso speciale, in quanto occupano una posizione intermedia tra l’approccio scientifico e quello umanistico; pur adottando la metodologia della ricerca scientifica, ricorrono all’approccio interpretativo tipico degli studi umanistici per raggiungere una migliore comprensione dei dati raccolti. Inoltre, pur conducendo l’osservazione in maniera molto accurata e pur insistendo sull’importanza del criterio di veridicità, i ricercatori sociali sanno bene che il loro oggetto di studio è piuttosto speciale, in quanto costituito non da fenomeni naturali ma da creature attive, gli esseri umani. Le scienze sociali costituiscono, dunque, una sorta di approccio integrato a metà strada tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche. Lo studio della comunicazione appartiene a questa terza categoria, in quanto cerca di capire come gli esseri umani creano, si scambiano e interpretano messaggi.
Nel mondo accademico la comunicazione è studiata da varie discipline nei dipartimenti più diversi: giornalismo; retorica; cultural studies; comunicazione (interpersonale, organizzativa, politica, internazionale, interculturale e di massa); nuove tecnologie; pubblicità; relazioni pubbliche. Sono molte le teorie della comunicazione sviluppate all’interno di queste discipline. Qui ci occuperemo solo delle teorie della comunicazione di massa.
Secondo McQuail data la definizione di teoria come qualsiasi insieme di idee attraverso cui si può arrivare a capire un fenomeno, guidare l’azione o prevedere un effetto possiamo distinguere quattro grandi tipologie di teoria della comunicazione di massa: scientifico-sociale, normativa, operazionale, del quotidiano (McQuail, 2000). Nello studio della comunicazione, l’interesse si concentra sulle teorie scientifico-sociali.
A partire dal modo in cui è creato il nuovo sapere, possiamo raggruppare le diverse teorie della comunicazione secondo cinque grandi classi:
a) Le teorie strutturali e funzionali. Questi due gruppi di teorie sostengono che il nuovo sapere si raggiunge attraverso la scoperta. Le teorie strutturali, che hanno origine dallo strutturalismo di Ferdinand de Saussure (1857-1913), sono radicate nella linguistica; esse si concentrano sull’organizzazione del linguaggio. Basandosi su modelli di tipo biologico, in particolare sull’organicismo sociologico di Herbert Spencer (1820-1903), il funzionalismo è stato ‘regolato’ da Emile Durkheim (1859-1917), considerando i sistemi sociali come organismi aventi particolari esigenze che vanno soddisfatte tramite certe azioni. La comunicazione è appunto uno dei processi su cui i sistemi sociali si reggono. Entrambi questi gruppi di teorie affermano che le generalizzazioni sulle ‘strutture’ rimangono invariate. Dato che attribuiscono notevole importanza alle conseguenze di tipo non intenzionale, queste teorie tradiscono una certa tendenza a sminuire la soggettività, tanto da essere state definite antiumanistiche. Secondo gli strutturalisti e i funzionalisti il linguaggio non è altro che uno strumento grazie a cui è possibile scoprire la realtà, e la verità sta nella corrispondenza tra ciò che si sa e ciò che esiste nel mondo reale.
b) Le teorie behavioriste e cognitive. Anche questo insieme di teorie appartiene alla prospettiva del ‘conoscere attraverso la scoperta’. Tuttavia, si differenzia dalle teorie strutturali e funzionali sia per la sua storia sia per l’oggetto di studio. Infatti, mentre le teorie strutturali e funzionali hanno origine dalla linguistica e dalla sociologia, le teorie behavioriste (Comportamentismo) e cognitive (Cognitivismo) derivano dalla psicologia e dalle altre scienze comportamentali. Inoltre, mentre per le prime ciò che conta sono le strutture culturali e sociali, per le seconde l’interesse centrale risiede nell’individuo, anche se colto nelle manifestazioni oggettive piuttosto che attraverso l’introspezione. Ampiamente influenzate dalla nozione behaviorista dello stimolo-risposta, queste teorie si incaricano infatti di studiare i complessi processi messi in atto dall’individuo: in tal caso la comunicazione è un fatto personale legato ai comportamenti, ai processi di pensiero e al funzionamento bio-neurale. Secondo queste teorie è necessario identificare le variabili cognitive più importanti che agiscono nel corso di un determinato fenomeno e stabilire le varie relazioni significative che corrono tra di esse. Occorre inoltre esaminare i diversi modi in cui le variabili dell’informazione e del processo cognitivo causano certi atti comportamentali.
c) Le teorie interazionali e convenzionali. A differenza dei due gruppi di teorie appena visti, questa categoria fa dell’interpretazione la propria via alla conoscenza. Essa sostiene che la vita sociale è un processo di interazione da cui risultano anche la struttura e la funzione sociale. Tra tutte le interazioni umane la comunicazione rappresenta la forza preminente della vita sociale in quanto costituisce il collante che tiene insieme la società. Queste teorie hanno come oggetto di indagine i ‘significati’, che però non sono ritenuti obiettivi ma convenzionali, in quanto elaborati attraverso la comunicazione.
d) Le teorie interpretative. Molto vicino alla filosofia di base delle teorie interazionali e convenzionali, questo gruppo di teorie descrive il funzionamento del processo di comprensione. Il suo obiettivo è quello di scoprire i modi in cui gli individui comprendono le loro esperienze o i testi. A differenza dei primi due gruppi, le teorie interpretative celebrano il soggettivismo, in quanto affermano che il mondo dei significati si crea attraverso il linguaggio. Nell’ambito di queste teorie distinguiamo due sotto-categorie: la fenomenologia e l’ ermeneutica.
e) Le teorie critiche. In netto contrasto con il funzionalismo e lo strutturalismo, le teorie critiche condividono, con le teorie interpretative, interazionali e convenzionali, l’interesse per la cultura, l’interpretazione e il linguaggio. Pur traendo spunto da teorie precedenti, questo gruppo ne fa al tempo stesso una critica, a partire dal punto di vista della qualità della comunicazione e della vita umana. Molte delle teorie critiche sono basate sul marxismo o comunque ne sono influenzate. Tra le più conosciute e significative ricordiamo la teoria critica della società (Scuola di Francoforte), i cultural studies e il femminismo.
a) In primo luogo, una buona teoria deve essere in grado di portare chiarezza in una situazione di confusione. Deve aiutare a sintetizzare i dati, a favorire la concentrazione dell’attenzione su ciò che è più importante e a sorvolare su ciò che è irrilevante. Non deve limitarsi a descrivere una situazione, ma deve anche spiegare il perché di un certo evento o comportamento.
b) In secondo luogo, una buona teoria deve riuscire a prevedere il verificarsi di un dato comportamento e a studiare il ricorrere dei fenomeni osservabili. Occorre però ricordare sempre che, essendo il comportamento umano altamente imprevedibile, nelle scienze sociali il termine prevedibilitá esprime la capacità di una teoria di fare una stima delle probabilità piuttosto che una previsione esatta e assoluta di un evento o di un comportamento.
c) In terzo luogo, una buona teoria scientifica, come dice anche Karl Popper (1902-1994), se vuole portare alla verità deve poter essere smentita. In caso contrario, la teoria non può essere testata e quindi non se ne può dimostrare la veridicità.
d) In quarto luogo, una buona teoria deve essere semplice. Deve essere sempre possibile spiegare la maggior parte dei dati attraverso la spiegazione più semplice. Secondo la cosiddetta regola della parsimonia, se di uno stesso fenomeno vengono offerte due spiegazioni plausibili, è la versione più semplice che deve essere accettata.
e) Infine, una buona teoria non può essere solo ‘teorica’, ovvero non può essere meramente astratta e senza alcuna relazione con la realtà. Essa deve sempre offrire degli spunti pratici con cui cercare di risolvere i problemi reali della vita quotidiana.
a) Marx e i mass media. Il pensiero marxista non ha informato una teoria unitaria sulla comunicazione, ma piuttosto un esempio di ‘teoria critica’, fondata su dati e nozioni provenienti da altre prospettive. È una macro-teoria, in quanto prende in considerazione la società intera e non il singolo individuo. Gli studi sulla comunicazione di massa di ispirazione marxista derivano dal marxismo classico la convinzione che le relazioni di produzione determinano la cultura. L’economia (le relazioni di produzione, appunto) costituisce l’infrastruttura o base della società, mentre ambiti come l’educazione, la religione e la cultura ne formano la sovrastruttura. Poiché i mass media sono un perfetto esempio di impresa capitalista, per la loro analisi si possono applicare i principi marxisti. Chi controlla le relazioni di produzione nei media ha anche il potere di influire sui messaggi che da questi provengono (secondo la nozione centrale del rapporto base/sovrastruttura). I media dunque diffondono l’ideologia dominante, impediscono l’accesso ai dissidenti e fanno tutto quanto è in loro potere per preservare lo status quo. La teoria derivata da questa posizione che oggi ha più rilevanza è quella dell’economia critico-politica (Economia politica dei media).
Sono state elaborate numerose varianti della tradizionale posizione marxista. Per esempio, Louis Althusser (1918-1990) sostiene che le classi dominanti usano ‘gli apparati ideologici di Stato’ (tra cui i mass media) al posto degli ‘apparati repressivi di Stato’ (per esempio la polizia) in modo da permettere allo Stato capitalista di operare senza ricorrere alla violenza diretta. Secondo Antonio Gramsci (1891-1937) è attraverso un’ideologia e una cultura internamente coerenti e pervasive che le classi dominanti riescono a mantenere il loro potere (concetto di egemonia). Herbert Marcuse (1898-1979), esponente della Scuola di Francoforte, suggerisce ancora un’altra spiegazione. Secondo lui le classi dominanti, spingendo al consumo di massa, impongono un sistema sociale al tempo stesso desiderabile e repressivo. Il risultato è la creazione di una ‘società unidimensionale’ stimolata dai media a soddisfare ‘falsi bisogni’.
Come si può resistere a media così potenti? Usandoli come strumenti della rivoluzione, hanno sostenuto i teorici marxisti. Questa soluzione oggi non è più né realistica né auspicabile. Per cui sono stati suggeriti altri modi, primo fra tutti quello di rivelare i fini propagandistici dei media e di sostenere lo sviluppo di media alternativi con cui controbilanciare lo strapotere delle élites dominanti.
b) La diffusione delle innovazioni. Come si diffonde l’informazione all’interno di una certa area geografica? In che modo una nuova tecnologia (per esempio il computer) viene a essere adottata da vaste sezioni della popolazione? Il processo di diffusione è stato esaminato da diversi studiosi, a partire da quelli operanti nel campo dello sviluppo internazionale e dell’agricoltura. Le conoscenze acquisite attraverso centinaia di studi e ricerche condotti in tutto il mondo sono state sistematizzate da Everett M. Rogers nel libro The diffusion of innovations (1971) e sono applicate in diversi campi quali il marketing, la comunicazione per lo sviluppo, la sociologia e l’agricoltura (Comunicazione e sviluppo; Emittente comunitaria; Unesco).
Si tratta di un esempio di teoria funzionale che considera la società come un organismo dotato di funzioni ed esigenze proprie, e gli individui come masse e non come unità singole. Così, per esempio, l’impatto di una innovazione come il computer viene studiato all’interno della società nel suo complesso.
Per diffusione si intende il processo attraverso cui un’innovazione è comunicata nel tempo tramite certi canali ai membri di un sistema sociale. Si possono dunque distinguere quattro elementi nella diffusione di un’innovazione: l’innovazione stessa, i canali di comunicazione, il tempo e il sistema sociale. L’innovazione può essere costituita da qualunque cosa un’idea, un fenomeno, un oggetto che sia percepita come nuova da un individuo o dalle altre unità che l’hanno adottata. Perché un’innovazione possa essere adottata da un’intera società, deve possedere alcune importanti caratteristiche: offrire dei vantaggi relativi, essere compatibile, semplice, sperimentabile e osservabile. La comunicazione è il processo attraverso cui i partecipanti creano e condividono reciprocamente informazioni in modo da raggiungere una comprensione comune. La diffusione richiede uno speciale tipo di comunicazione. È stato provato che, mentre i canali della comunicazione di massa forniscono informazioni su una data innovazione, è attraverso la comunicazione interpersonale che gli individui vengono portati ad adottarla. La dimensione temporale è un altro importante elemento nell’analisi della diffusione. Infine, non va dimenticato che la diffusione dipende anche dalle conseguenze (positive o negative) che l’adozione dell’innovazione può causare tra i membri di un dato sistema sociale.
c) L’interazionismo simbolico. L’esponente più rappresentativo di questa teoria è George Herbert Mead (1863-1931) che però non ha mai utilizzato il termine interazionismo simbolico. L’espressione in effetti è stata coniata da uno dei suoi discepoli più importanti, Herbert Blumer (1900-1987). Le idee di base di questa teoria provengono da un gruppo di studiosi tra cui John Dewey (1859-1952), Charles Cooley (1864-1929), W. I. Thomas (1863-1947) e naturalmente George Herbert Mead, tutti operanti all’Università di Chicago nei primi decenni del sec. XX. L’assunto fondamentale di questa teoria è che i significati sono delle convenzioni cui si giunge a seguito delle interazioni sociali, e che gli esseri umani sono esseri simbolici costantemente impegnati nella creazione di tali significati. Jerome Manis e Bernard Meltzer (1978) hanno riassunto i sette principi teorici e metodologici fondamentali di questa posizione:
1) la comprensione umana si verifica solo quando assegniamo un dato significato alle esperienze;
2) questo significato non è il prodotto di uno sforzo individuale, ma nasce dall’interazione sociale;
3) gli individui che interagiscono costantemente tra di loro formano una società;
4) gli esseri umani sono agenti in grado di decidere come deve essere il loro comportamento;
5) senza una conversazione interiore con se stessi, non esiste coscienza o intelletto;
6) gli esseri umani costruiscono il loro comportamento nel corso della sua stessa esecuzione;
7) per capire il comportamento umano, occorre studiare i significati che gli individui vi attribuiscono.
Secondo Mead l’individuo e la società sono inseparabili e interdipendenti. La società nasce perché gli individui condividono con altri individui certi simboli che diventano, quindi, elemento di coesione. Nonostante questa condivisione di simboli, ogni individuo deve essere studiato in sé e per sé perché si possa arrivare a capire i significati che assegna alle sue stesse esperienze. Questo approccio ha favorito, soprattutto nei primi anni, una lunga serie di ricerche su diversi casi di studio.
Con il passare del tempo, si sono sviluppate due scuole di pensiero molto diverse l’una dall’altra non solo nel metodo di indagine, ma anche negli assunti teorici: la Scuola di Chicago e la Scuola dell’Iowa. Il rappresentante più importante della prima è Herbert Blumer, il quale sostiene che non è assolutamente possibile adottare la stessa metodologia per studiare le cose e gli esseri umani. Poiché questi ultimi sono esseri creativi, liberi di rielaborare le esperienze a loro modo, è necessario entrare nel loro mondo e familiarizzare con loro nel corso dello studio. Di conseguenza non è possibile usare una metodologia di indagine di tipo quantitativo e positivistico. L’osservazione partecipante è considerata come il metodo migliore cui si aggiungono le storie di vita vissuta, i diari, le lettere, le interviste non strutturate.
Manford Kuhn è invece il rappresentante più importante della Scuola dell’Iowa. Kuhn sostiene che, sebene il comportamento umano sia un processo, è possibile rendere operativi i concetti interazionistici in modo da poterli studiare usando metodi quantitativi e positivistici.
Da quanto detto, è evidente che l’interazionismo simbolico appartiene alle categorie delle teorie interazionali e convenzionali.
Gli studiosi che hanno esaminato i diversi aspetti del comportamento comunicativo sono giunti alla formulazione di varie teorie della comunicazione. (Scienze della comunicazione)
Nel corso di ottant’anni i ricercatori in questo campo hanno analizzato molteplici fenomeni di comunicazione, dagli effetti negativi della propaganda negli anni Venti alle attuali ripercussioni di Internet a livello globale. La teoria fondamentale della comunicazione raccoglie l’insieme delle teorie attraverso cui è possibile giungere a una migliore comprensione del processo di comunicazione.
1. Come vengono costruite le teorie?
La formulazione di una teoria richiede un’indagine dell’esperienza o del fenomeno condotta in maniera sistematica e rigorosa, così da favorirne la conoscenza e la comprensione. Per esempio, se uno studioso volesse sviluppare una teoria degli effetti (Effetti dei media) della violenza televisiva (Violenza nei media) sugli adolescenti, dovrebbe intraprendere uno studio sistematico e rigoroso dell’esperienza che i ragazzi fanno della violenza televisiva. Dopo un’analisi critica dei dati raccolti e un attento confronto dei suoi risultati con le conclusioni cui sono giunte altre teorie, egli potrebbe dare una spiegazione sistematica di come la violenza in televisione influisce sugli adolescenti. Sebbene nella costruzione di una teoria si possano applicare svariate metodologie di osservazione e analisi dei dati (Metodologia della ricerca), in genere si seguono tre tappe fondamentali comuni: la formulazione delle domande, l’osservazione del fenomeno e l’elaborazione delle risposte.a) La formulazione delle domande. Per costruire una teoria valida si devono fare anzitutto domande significative e interessanti. Per esempio, ci si potrebbe chiedere se gli individui che trascorrono molto tempo su Internet abbiano difficoltà a interagire con gli altri. Ciò potrebbe portare alla formulazione di un’ulteriore domanda a proposito della relazione esistente tra certe capacità di interazione sociale e il coinvolgimento nel mondo dei computer. Si possono fare diversi tipi di domande: domande di definizione (che cosa si intende per ‘individuo socialmente incapace’?), di fatto (quante ore al giorno trascorre mediamente un utente di computer davanti allo schermo del suo PC?), o di valore (quali effetti negativi produce Internet sulla socializzazione dei giovani?).
b) L’osservazione del fenomeno. Per trovare le risposte alle domande formulate, occorre ritornare alla realtà. Nell’esempio del rapporto tra uso del computer e capacità di interazione sociale, il ricercatore dovrà ‘osservare’ sia i giovani che usano il computer sia quelli che non lo usano e poi confrontare le rispettive capacità di interazione sociale. Questa tappa della costruzione di una teoria comporta necessariamente una qualche forma di misurazione. Si possono impiegare svariati metodi di osservazione e non ha alcuna importanza quale di essi si decida di usare. Ciò che conta è l’osservazione condotta in maniera sistematica e rigorosa. Il metodo di osservazione più comunemente usato, soprattutto nel campo della comunicazione, è quello della somministrazione di un questionario.
c) L’elaborazione delle risposte. Quando si analizza un fenomeno sociale, ci si può trovare dinanzi a numerose (e spesso confuse) risposte. Pertanto è imperativo l’esame di tali risposte in maniera che il fenomeno sia definito, descritto e spiegato adeguatamente. Questo processo di elaborazione delle risposte comporta la formulazione di un giudizio. Così, nell’esempio del rapporto tra uso del computer e capacità di interazione sociale, si potrebbe scoprire che non è tanto l’incapacità di interazione sociale quanto la mancanza di opportunità di interazione che porta un giovane a usare il computer come forma alternativa di socializzazione. Tuttavia, quando si lavora a una teoria, occorre ricordare sempre che ogni nuova formulazione deve tener conto di quanto è già stato detto sul fenomeno preso in esame. A volte, la nuova spiegazione o teoria potrebbe deviare radicalmente dalle altre teorie, nel qual caso lo studioso è tenuto a giustificare la sua posizione. Insomma, una teoria si sviluppa a piccoli, difficili passi. Spesso l’evoluzione di una teoria fa due passi avanti e uno indietro. In particolare nel campo delle scienze sociali, le teorie non sono scolpite nella roccia, ma vengono costantemente messe in discussione, revisionate e rielaborate. È questo che fa delle scienze sociali un campo di studio in continuo mutamento.
2. Tipi di ricerca
Per giungere a un’adeguata comprensione delle teorie della comunicazione, bisogna fare distinzione fra tre diversi tipi di ricerca, che a loro volta producono tre fondamentali aree di sapere: le scienze naturali e fisiche, le scienze umanistiche e le scienze sociali. Ciascun tipo di ricerca ha un proprio fondamento filosofico, un proprio approccio metodologico e un proprio criterio di veridicità.a) L’indagine scientifica è alla ricerca dell’obiettività, il che non implica necessariamente una sospensione dei valori. Il suo presupposto è che il mondo naturale esiste a prescindere dallo studioso e lo scopo della ricerca è quello di osservarlo attentamente e di farne delle descrizioni accurate. Il criterio di veridicità è costituito dal consenso raggiunto tra i vari ricercatori a proposito di un fenomeno. Questo tipo di approccio è particolarmente adatto allo studio della natura, ragione per cui è di solito adottato dalle scienze naturali e fisiche.
b) L’approccio umanistico è interessato più alla soggettività che all’oggettività; di conseguenza celebra le diversità piuttosto che le affinità. A differenza dell’approccio scientifico e della sua tendenza al distacco investigativo, la ricerca umanistica non presuppone il distacco dello studioso dall’oggetto preso in esame. La questione dell’esistenza autonoma del mondo empirico non è di alcun interesse per gli studiosi umanistici, impegnati soprattutto nel campo della critica letteraria.
c) Le scienze sociali sono un caso speciale, in quanto occupano una posizione intermedia tra l’approccio scientifico e quello umanistico; pur adottando la metodologia della ricerca scientifica, ricorrono all’approccio interpretativo tipico degli studi umanistici per raggiungere una migliore comprensione dei dati raccolti. Inoltre, pur conducendo l’osservazione in maniera molto accurata e pur insistendo sull’importanza del criterio di veridicità, i ricercatori sociali sanno bene che il loro oggetto di studio è piuttosto speciale, in quanto costituito non da fenomeni naturali ma da creature attive, gli esseri umani. Le scienze sociali costituiscono, dunque, una sorta di approccio integrato a metà strada tra le discipline umanistiche e quelle scientifiche. Lo studio della comunicazione appartiene a questa terza categoria, in quanto cerca di capire come gli esseri umani creano, si scambiano e interpretano messaggi.
Nel mondo accademico la comunicazione è studiata da varie discipline nei dipartimenti più diversi: giornalismo; retorica; cultural studies; comunicazione (interpersonale, organizzativa, politica, internazionale, interculturale e di massa); nuove tecnologie; pubblicità; relazioni pubbliche. Sono molte le teorie della comunicazione sviluppate all’interno di queste discipline. Qui ci occuperemo solo delle teorie della comunicazione di massa.
Secondo McQuail data la definizione di teoria come qualsiasi insieme di idee attraverso cui si può arrivare a capire un fenomeno, guidare l’azione o prevedere un effetto possiamo distinguere quattro grandi tipologie di teoria della comunicazione di massa: scientifico-sociale, normativa, operazionale, del quotidiano (McQuail, 2000). Nello studio della comunicazione, l’interesse si concentra sulle teorie scientifico-sociali.
3. Tipi di teorie della comunicazione
Gli studiosi hanno individuato tre modi fondamentali di creazione del sapere e, di conseguenza, tre modi di elaborazione di una teoria. Nelle discipline scientifiche, il nuovo sapere si raggiunge attraverso la scoperta. Compito dello scienziato è svelare fatti e dati già esistenti mantenendo il massimo dell’obiettività e del distacco. Nelle altre discipline, il sapere si raggiunge invece attraverso l’interpretazione, ovvero attraverso una transazione tra colui che conosce e l’oggetto conosciuto. In questo caso la tradizionale nozione di validità non è più considerata di alcuna utilità in quanto i dati e le osservazioni che creano nuovo sapere derivano dai significati e dalle interpretazioni attribuite all’osservatore. Infine, anche la teoria critica può portare a nuovo sapere. In questo caso non si tratta di ‘scoprire’ dati già esistenti o di ‘interpretare’ certi fenomeni, ma di dare un giudizio su come le cose dovrebbero essere. Attraverso il processo di critica viene suggerito il modo in cui cambiare o migliorare il presente. Secondo questa prospettiva i dati su cui si fonda il sapere sono i giudizi soggettivi.A partire dal modo in cui è creato il nuovo sapere, possiamo raggruppare le diverse teorie della comunicazione secondo cinque grandi classi:
a) Le teorie strutturali e funzionali. Questi due gruppi di teorie sostengono che il nuovo sapere si raggiunge attraverso la scoperta. Le teorie strutturali, che hanno origine dallo strutturalismo di Ferdinand de Saussure (1857-1913), sono radicate nella linguistica; esse si concentrano sull’organizzazione del linguaggio. Basandosi su modelli di tipo biologico, in particolare sull’organicismo sociologico di Herbert Spencer (1820-1903), il funzionalismo è stato ‘regolato’ da Emile Durkheim (1859-1917), considerando i sistemi sociali come organismi aventi particolari esigenze che vanno soddisfatte tramite certe azioni. La comunicazione è appunto uno dei processi su cui i sistemi sociali si reggono. Entrambi questi gruppi di teorie affermano che le generalizzazioni sulle ‘strutture’ rimangono invariate. Dato che attribuiscono notevole importanza alle conseguenze di tipo non intenzionale, queste teorie tradiscono una certa tendenza a sminuire la soggettività, tanto da essere state definite antiumanistiche. Secondo gli strutturalisti e i funzionalisti il linguaggio non è altro che uno strumento grazie a cui è possibile scoprire la realtà, e la verità sta nella corrispondenza tra ciò che si sa e ciò che esiste nel mondo reale.
b) Le teorie behavioriste e cognitive. Anche questo insieme di teorie appartiene alla prospettiva del ‘conoscere attraverso la scoperta’. Tuttavia, si differenzia dalle teorie strutturali e funzionali sia per la sua storia sia per l’oggetto di studio. Infatti, mentre le teorie strutturali e funzionali hanno origine dalla linguistica e dalla sociologia, le teorie behavioriste (Comportamentismo) e cognitive (Cognitivismo) derivano dalla psicologia e dalle altre scienze comportamentali. Inoltre, mentre per le prime ciò che conta sono le strutture culturali e sociali, per le seconde l’interesse centrale risiede nell’individuo, anche se colto nelle manifestazioni oggettive piuttosto che attraverso l’introspezione. Ampiamente influenzate dalla nozione behaviorista dello stimolo-risposta, queste teorie si incaricano infatti di studiare i complessi processi messi in atto dall’individuo: in tal caso la comunicazione è un fatto personale legato ai comportamenti, ai processi di pensiero e al funzionamento bio-neurale. Secondo queste teorie è necessario identificare le variabili cognitive più importanti che agiscono nel corso di un determinato fenomeno e stabilire le varie relazioni significative che corrono tra di esse. Occorre inoltre esaminare i diversi modi in cui le variabili dell’informazione e del processo cognitivo causano certi atti comportamentali.
c) Le teorie interazionali e convenzionali. A differenza dei due gruppi di teorie appena visti, questa categoria fa dell’interpretazione la propria via alla conoscenza. Essa sostiene che la vita sociale è un processo di interazione da cui risultano anche la struttura e la funzione sociale. Tra tutte le interazioni umane la comunicazione rappresenta la forza preminente della vita sociale in quanto costituisce il collante che tiene insieme la società. Queste teorie hanno come oggetto di indagine i ‘significati’, che però non sono ritenuti obiettivi ma convenzionali, in quanto elaborati attraverso la comunicazione.
d) Le teorie interpretative. Molto vicino alla filosofia di base delle teorie interazionali e convenzionali, questo gruppo di teorie descrive il funzionamento del processo di comprensione. Il suo obiettivo è quello di scoprire i modi in cui gli individui comprendono le loro esperienze o i testi. A differenza dei primi due gruppi, le teorie interpretative celebrano il soggettivismo, in quanto affermano che il mondo dei significati si crea attraverso il linguaggio. Nell’ambito di queste teorie distinguiamo due sotto-categorie: la fenomenologia e l’ ermeneutica.
e) Le teorie critiche. In netto contrasto con il funzionalismo e lo strutturalismo, le teorie critiche condividono, con le teorie interpretative, interazionali e convenzionali, l’interesse per la cultura, l’interpretazione e il linguaggio. Pur traendo spunto da teorie precedenti, questo gruppo ne fa al tempo stesso una critica, a partire dal punto di vista della qualità della comunicazione e della vita umana. Molte delle teorie critiche sono basate sul marxismo o comunque ne sono influenzate. Tra le più conosciute e significative ricordiamo la teoria critica della società (Scuola di Francoforte), i cultural studies e il femminismo.
4. Che cosa rende ‘buona’ una teoria
Una teoria per essere ‘buona’ deve rispondere ad alcuni importanti criteri: riuscire a essere esplicativa, a fare previsioni e a essere sperimentabile, semplice e utile da un punto di vista pratico.a) In primo luogo, una buona teoria deve essere in grado di portare chiarezza in una situazione di confusione. Deve aiutare a sintetizzare i dati, a favorire la concentrazione dell’attenzione su ciò che è più importante e a sorvolare su ciò che è irrilevante. Non deve limitarsi a descrivere una situazione, ma deve anche spiegare il perché di un certo evento o comportamento.
b) In secondo luogo, una buona teoria deve riuscire a prevedere il verificarsi di un dato comportamento e a studiare il ricorrere dei fenomeni osservabili. Occorre però ricordare sempre che, essendo il comportamento umano altamente imprevedibile, nelle scienze sociali il termine prevedibilitá esprime la capacità di una teoria di fare una stima delle probabilità piuttosto che una previsione esatta e assoluta di un evento o di un comportamento.
c) In terzo luogo, una buona teoria scientifica, come dice anche Karl Popper (1902-1994), se vuole portare alla verità deve poter essere smentita. In caso contrario, la teoria non può essere testata e quindi non se ne può dimostrare la veridicità.
d) In quarto luogo, una buona teoria deve essere semplice. Deve essere sempre possibile spiegare la maggior parte dei dati attraverso la spiegazione più semplice. Secondo la cosiddetta regola della parsimonia, se di uno stesso fenomeno vengono offerte due spiegazioni plausibili, è la versione più semplice che deve essere accettata.
e) Infine, una buona teoria non può essere solo ‘teorica’, ovvero non può essere meramente astratta e senza alcuna relazione con la realtà. Essa deve sempre offrire degli spunti pratici con cui cercare di risolvere i problemi reali della vita quotidiana.
5. Alcuni esempi di teorie
In ottant’anni di ricerca gli studiosi hanno prodotto numerose teorie sui diversi aspetti della comunicazione. Non potendo darne qui una descrizione dettagliata, ci limiteremo a fornire qualche esempio, giusto per dare un’idea più precisa di quanto detto nel precedente paragrafo. Rimandiamo il lettore alla consultazione di altre voci di questo Dizionario per avere un quadro più completo: Agenda setting; Communication research; Comunicazione; Content analysis; Cultivation theory; Cultural studies; Effetti dei media; Scienze della comunicazione; Spirale del silenzio; Teoria dell’informazione; Teorie psicologiche della comunicazione; Two-step flow of communication; Violenza nei media, ecc.a) Marx e i mass media. Il pensiero marxista non ha informato una teoria unitaria sulla comunicazione, ma piuttosto un esempio di ‘teoria critica’, fondata su dati e nozioni provenienti da altre prospettive. È una macro-teoria, in quanto prende in considerazione la società intera e non il singolo individuo. Gli studi sulla comunicazione di massa di ispirazione marxista derivano dal marxismo classico la convinzione che le relazioni di produzione determinano la cultura. L’economia (le relazioni di produzione, appunto) costituisce l’infrastruttura o base della società, mentre ambiti come l’educazione, la religione e la cultura ne formano la sovrastruttura. Poiché i mass media sono un perfetto esempio di impresa capitalista, per la loro analisi si possono applicare i principi marxisti. Chi controlla le relazioni di produzione nei media ha anche il potere di influire sui messaggi che da questi provengono (secondo la nozione centrale del rapporto base/sovrastruttura). I media dunque diffondono l’ideologia dominante, impediscono l’accesso ai dissidenti e fanno tutto quanto è in loro potere per preservare lo status quo. La teoria derivata da questa posizione che oggi ha più rilevanza è quella dell’economia critico-politica (Economia politica dei media).
Sono state elaborate numerose varianti della tradizionale posizione marxista. Per esempio, Louis Althusser (1918-1990) sostiene che le classi dominanti usano ‘gli apparati ideologici di Stato’ (tra cui i mass media) al posto degli ‘apparati repressivi di Stato’ (per esempio la polizia) in modo da permettere allo Stato capitalista di operare senza ricorrere alla violenza diretta. Secondo Antonio Gramsci (1891-1937) è attraverso un’ideologia e una cultura internamente coerenti e pervasive che le classi dominanti riescono a mantenere il loro potere (concetto di egemonia). Herbert Marcuse (1898-1979), esponente della Scuola di Francoforte, suggerisce ancora un’altra spiegazione. Secondo lui le classi dominanti, spingendo al consumo di massa, impongono un sistema sociale al tempo stesso desiderabile e repressivo. Il risultato è la creazione di una ‘società unidimensionale’ stimolata dai media a soddisfare ‘falsi bisogni’.
Come si può resistere a media così potenti? Usandoli come strumenti della rivoluzione, hanno sostenuto i teorici marxisti. Questa soluzione oggi non è più né realistica né auspicabile. Per cui sono stati suggeriti altri modi, primo fra tutti quello di rivelare i fini propagandistici dei media e di sostenere lo sviluppo di media alternativi con cui controbilanciare lo strapotere delle élites dominanti.
b) La diffusione delle innovazioni. Come si diffonde l’informazione all’interno di una certa area geografica? In che modo una nuova tecnologia (per esempio il computer) viene a essere adottata da vaste sezioni della popolazione? Il processo di diffusione è stato esaminato da diversi studiosi, a partire da quelli operanti nel campo dello sviluppo internazionale e dell’agricoltura. Le conoscenze acquisite attraverso centinaia di studi e ricerche condotti in tutto il mondo sono state sistematizzate da Everett M. Rogers nel libro The diffusion of innovations (1971) e sono applicate in diversi campi quali il marketing, la comunicazione per lo sviluppo, la sociologia e l’agricoltura (Comunicazione e sviluppo; Emittente comunitaria; Unesco).
Si tratta di un esempio di teoria funzionale che considera la società come un organismo dotato di funzioni ed esigenze proprie, e gli individui come masse e non come unità singole. Così, per esempio, l’impatto di una innovazione come il computer viene studiato all’interno della società nel suo complesso.
Per diffusione si intende il processo attraverso cui un’innovazione è comunicata nel tempo tramite certi canali ai membri di un sistema sociale. Si possono dunque distinguere quattro elementi nella diffusione di un’innovazione: l’innovazione stessa, i canali di comunicazione, il tempo e il sistema sociale. L’innovazione può essere costituita da qualunque cosa un’idea, un fenomeno, un oggetto che sia percepita come nuova da un individuo o dalle altre unità che l’hanno adottata. Perché un’innovazione possa essere adottata da un’intera società, deve possedere alcune importanti caratteristiche: offrire dei vantaggi relativi, essere compatibile, semplice, sperimentabile e osservabile. La comunicazione è il processo attraverso cui i partecipanti creano e condividono reciprocamente informazioni in modo da raggiungere una comprensione comune. La diffusione richiede uno speciale tipo di comunicazione. È stato provato che, mentre i canali della comunicazione di massa forniscono informazioni su una data innovazione, è attraverso la comunicazione interpersonale che gli individui vengono portati ad adottarla. La dimensione temporale è un altro importante elemento nell’analisi della diffusione. Infine, non va dimenticato che la diffusione dipende anche dalle conseguenze (positive o negative) che l’adozione dell’innovazione può causare tra i membri di un dato sistema sociale.
c) L’interazionismo simbolico. L’esponente più rappresentativo di questa teoria è George Herbert Mead (1863-1931) che però non ha mai utilizzato il termine interazionismo simbolico. L’espressione in effetti è stata coniata da uno dei suoi discepoli più importanti, Herbert Blumer (1900-1987). Le idee di base di questa teoria provengono da un gruppo di studiosi tra cui John Dewey (1859-1952), Charles Cooley (1864-1929), W. I. Thomas (1863-1947) e naturalmente George Herbert Mead, tutti operanti all’Università di Chicago nei primi decenni del sec. XX. L’assunto fondamentale di questa teoria è che i significati sono delle convenzioni cui si giunge a seguito delle interazioni sociali, e che gli esseri umani sono esseri simbolici costantemente impegnati nella creazione di tali significati. Jerome Manis e Bernard Meltzer (1978) hanno riassunto i sette principi teorici e metodologici fondamentali di questa posizione:
1) la comprensione umana si verifica solo quando assegniamo un dato significato alle esperienze;
2) questo significato non è il prodotto di uno sforzo individuale, ma nasce dall’interazione sociale;
3) gli individui che interagiscono costantemente tra di loro formano una società;
4) gli esseri umani sono agenti in grado di decidere come deve essere il loro comportamento;
5) senza una conversazione interiore con se stessi, non esiste coscienza o intelletto;
6) gli esseri umani costruiscono il loro comportamento nel corso della sua stessa esecuzione;
7) per capire il comportamento umano, occorre studiare i significati che gli individui vi attribuiscono.
Secondo Mead l’individuo e la società sono inseparabili e interdipendenti. La società nasce perché gli individui condividono con altri individui certi simboli che diventano, quindi, elemento di coesione. Nonostante questa condivisione di simboli, ogni individuo deve essere studiato in sé e per sé perché si possa arrivare a capire i significati che assegna alle sue stesse esperienze. Questo approccio ha favorito, soprattutto nei primi anni, una lunga serie di ricerche su diversi casi di studio.
Con il passare del tempo, si sono sviluppate due scuole di pensiero molto diverse l’una dall’altra non solo nel metodo di indagine, ma anche negli assunti teorici: la Scuola di Chicago e la Scuola dell’Iowa. Il rappresentante più importante della prima è Herbert Blumer, il quale sostiene che non è assolutamente possibile adottare la stessa metodologia per studiare le cose e gli esseri umani. Poiché questi ultimi sono esseri creativi, liberi di rielaborare le esperienze a loro modo, è necessario entrare nel loro mondo e familiarizzare con loro nel corso dello studio. Di conseguenza non è possibile usare una metodologia di indagine di tipo quantitativo e positivistico. L’osservazione partecipante è considerata come il metodo migliore cui si aggiungono le storie di vita vissuta, i diari, le lettere, le interviste non strutturate.
Manford Kuhn è invece il rappresentante più importante della Scuola dell’Iowa. Kuhn sostiene che, sebene il comportamento umano sia un processo, è possibile rendere operativi i concetti interazionistici in modo da poterli studiare usando metodi quantitativi e positivistici.
Da quanto detto, è evidente che l’interazionismo simbolico appartiene alle categorie delle teorie interazionali e convenzionali.
6. Conclusione
Abbiamo già ricordato che, secondo Popper, una teoria può essere considerata vera solo se può essere sperimentata e smentita da altri studiosi. Le teorie della comunicazione sono sottoposte a un continuo processo di verifica e revisione, un processo che non fa che renderle sempre più precise. Proprio per questa costante esigenza di revisione, si sarebbe portati a considerare le teorie delle scienze sociali come non ‘vere’. Il fatto è che ogni tentativo di teoria rivela solo un tassello del puzzle. Ci vogliono molti studiosi per mettere insieme tutti i tasselli. Le teorie della comunicazione, come pure quelle delle altre scienze sociali, non pretendono di afferrare la ‘realtà’ nella sua totalità, ma di aiutarci a riflettere su di essa. Il lettore deve sempre ricordare che le teorie sono solo mappe della realtà: anche se imperfette, sono indispensabili per evitare di perdersi.Video
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Come citare questa voce
Berchmans M. Britto , Teorie sociali della comunicazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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