Organizzazione e comunicazione
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Autore: Ivan Maffeis
Osservando il binomio comunicazione e organizzazione si può facilmente constatare come il primo termine sia venuto assumendo un ruolo e uno spazio sempre più preponderante nell’evoluzione e nella definizione dell’organizzazione stessa. Fino a un recente passato, il rapporto tra i due termini rivestiva una realtà marginale: per le aziende, ad esempio, tra gli aspetti decisivi c’erano i contatti con i fornitori, le reti di distribuzione, la puntualità nelle consegne, il prezzo..., ma la comunicazione non appariva un elemento così indispensabile per l’affermazione di un determinato servizio. Oggi, ogni persona che opera con una qualsiasi responsabilità all’interno del mondo del lavoro sa o, perlomeno, dovrebbe sapere che tra i suoi compiti essenziali c’è proprio quello di comunicare. Questa, ormai, è una funzione che determina il successo o il fallimento di un prodotto, di un’iniziativa, di una stessa organizzazione; non appare esagerato, quindi, affermare come essa costituisca uno snodo decisivo, l’ambito nel quale viene a giocarsi il confronto, ciò che contribuisce a conferire contenuto al tanto conclamato concetto di qualità. La qualità, infatti, non si risolve in un aspetto aggiuntivo del prodotto, quasi fosse un suo corollario. Essa rappresenta, piuttosto, una dimensione destinata a coinvolgere l’intero processo produttivo e domanda, innanzitutto per una piena soddisfazione del destinatario del servizio la valorizzazione delle risorse umane interne all’organizzazione.
Quest’ultima, del resto, comunica non semplicemente quando decide di uscire all’esterno con una determinata immagine di sé, ma con tutto ciò che è: con le sue relazioni interne, con la qualità, quindi, dei rapporti tra gli operatori, con la messa in comune di obiettivi e strategie, con la scelta di investire nella formazione del proprio personale... A questo livello, la comunicazione viene a costituire un nuovo sistema manageriale, un approccio sostanziale che coinvolge tutti i settori, canalizzandoli verso la realizzazione delle strategie dell’organizzazione.
Per prendere atto di che cosa questa visione comporti, è opportuno recuperare quantomeno per sommi capi l’evoluzione del metodo organizzativo e dei modelli relazionali.
La consapevolezza di come tra gli elementi costitutivi di un’organizzazione vi sia proprio la comunicazione comincia a diffondersi a partire dalla fine degli anni Trenta: "Si può affermare che un’organizzazione esiste scrive C. Barnard nel 1938 quando vi siano persone in grado di comunicare le une con le altre, disposte a dare un contributo individuale, con l’intenzione di conseguire un fine comune". La comunicazione, specifica ancora l’allora Presidente della Rockefeller Foundation, svolge una funzione indispensabile proprio nella diffusione del fine determinante dell’organizzazione, "tant’è vero che l’assenza di un’appropriata tecnica di comunicazione potrebbe venire a eliminare la possibilità di adottare scopi comuni come base per l’organizzazione. Insomma, le tecniche di comunicazione stabiliscono la forma e l’economia interna di ogni organizzazione formale".
Certamente, questa visione non è stata fatta propria da quelle aziende che si muovono secondo una prospettiva puramente tecnologica, tipica dell’organizzazione scientifica del lavoro. Il modello tayloristico che connota gran parte della società industriale arriva a scomporre il servizio fino a considerare il fattore uomo in funzione dello strumento: è la creazione della catena di montaggio, della specializzazione dei compiti e della produzione seriale, dove importante è la rapidità del processo, determinata spesso dall’operaio più veloce. La comunicazione, in una simile concezione, si risolve in un flusso informativo unidirezionale che discende dall’alto della scala gerarchica e serve esclusivamente per mantenere l’ordine e pianificare le risorse.
L’approccio al quale si è accennato sopra si sviluppa, invece, a partire da una visione della persona quale soggetto sociale da cui l’organizzazione non può in alcun modo prescindere nella realizzazione dei propri obiettivi. Grazie anche alle ricerche sperimentali condotte da un gruppo di studiosi dell’Università di Harvard, coordinato da Elton Mayo, si sviluppa una diffusa sensibilità per il contesto nel quale i dipendenti si trovano a operare. È la nascita del movimento delle Human relations, punto di partenza di tutta una serie di studi sulla motivazione che, negli anni Cinquanta, trovano in A. Maslow il loro principale rappresentante.
Gli anni Sessanta, con lo sviluppo degli studi psicologici, introducono, accanto alla necessità di leggere i bisogni, quella di prendere in considerazione la visione del mondo e della natura umana, quale componente fondamentale nel determinare la qualità del lavoro. Per esemplificare, è diversa la resa di chi giudica l’impegno lavorativo come implicitamente sgradevole, da quella di chi lo considera come una dimensione naturale della vita, che può risultare addirittura piacevole se sono garantite determinate condizioni. Mentre nel primo caso si troverà motivo per un’opzione manageriale direttiva e una funzione di controllo del dipendente, nel secondo si investirà su un diverso tipo di comunicazione, che favorisca l’autocontrollo e la creatività.
Gli anni Ottanta segnano il passaggio a un’organizzazione maggiormente flessibile, nella quale diventano vincenti la partecipazione e la cooperazione. In questo modello è posta grande attenzione alle comunicazioni che provengono dal basso, nonché alle cosiddette comunicazioni informali; a loro volta, quelle provenienti dall’alto, più che essere direttive, sono finalizzate al coinvolgimento dei dipendenti e, quindi, tendono a divenire orizzontali.
In una società come l’attuale, sempre più terziarizzata, emergono valori come l’affidabilità, per la sempre maggiore responsabilità riconosciuta alle persone, la soggettività, che porta a prodotti creati non più semplicemente per la massa, l’affettività, quale condizione perché la persona sia valorizzata, la destrutturazione spazio-temporale, per cui si lavora a casa mantenendosi collegati in rete, e non da ultimo la qualità della vita, dimensione prima ignorata e ora ritenuta imprescindibile.
Tale cambiamento ha provocato, a livello gestionale, una crisi diffusa dei metodi tradizionali e la domanda di un nuovo rapporto tra comunicazione e organizzazione.
Quest’ultima, più che come sistema chiuso, viene interpretata quale insieme complesso di parti interdipendenti, che interagiscono fra loro e che, per conseguire i loro obiettivi, sono chiamate a partecipare a un processo di adattamento continuo, all’interno di un ambiente in costante evoluzione. La propensione innovativa, favorita dalla tecnologia, ha dimensioni tali in termini di trasformazione del modo stesso di vivere, che il problema fondamentale per l’individuo diventa non tanto l’integrazione a una specifica innovazione, quanto l’elasticità, ovvero il suo più generale equilibrio in un dinamismo sistematico e solitamente stressante.
Decisivi diventano, da un punto di vista strutturale, il setting (o clima) e lo stile manageriale, chiamato a confrontarsi continuamente con le persone alle quali si rivolge, per percepirne le aspettative e aiutarle, a loro volta, a cogliere le possibilità offerte dall’ambiente. A seconda della maturità dei collaboratori, il comportamento da direttivo sa farsi di relazione, passando dalla semplice prescrizione alla persuasione, dal coinvolgimento alla delega.
La comunicazione assume, così, un ruolo sempre più centrale, tanto all’interno dei sottosistemi che compongono l’organizzazione dove essa favorisce l’entrata di nuovi valori, la loro identificazione e interiorizzazione, fino ad accompagnare il processo di ristrutturazione quanto nei rapporti con l’esterno, in un dinamismo di reciproca influenza.
La sua funzione si avvicina, quindi, più a un’azione di armonizzazione che non a un bisogno di controllo: ascoltare, informare, dialogare, promuovere una corporate culture, coinvolgere, valorizzare... diventano presupposti generali, alla cui validità sono oggi legate le condizioni per il cambiamento e il miglioramento di qualunque struttura organizzativa.
Quest’ultima, del resto, comunica non semplicemente quando decide di uscire all’esterno con una determinata immagine di sé, ma con tutto ciò che è: con le sue relazioni interne, con la qualità, quindi, dei rapporti tra gli operatori, con la messa in comune di obiettivi e strategie, con la scelta di investire nella formazione del proprio personale... A questo livello, la comunicazione viene a costituire un nuovo sistema manageriale, un approccio sostanziale che coinvolge tutti i settori, canalizzandoli verso la realizzazione delle strategie dell’organizzazione.
Per prendere atto di che cosa questa visione comporti, è opportuno recuperare quantomeno per sommi capi l’evoluzione del metodo organizzativo e dei modelli relazionali.
La consapevolezza di come tra gli elementi costitutivi di un’organizzazione vi sia proprio la comunicazione comincia a diffondersi a partire dalla fine degli anni Trenta: "Si può affermare che un’organizzazione esiste scrive C. Barnard nel 1938 quando vi siano persone in grado di comunicare le une con le altre, disposte a dare un contributo individuale, con l’intenzione di conseguire un fine comune". La comunicazione, specifica ancora l’allora Presidente della Rockefeller Foundation, svolge una funzione indispensabile proprio nella diffusione del fine determinante dell’organizzazione, "tant’è vero che l’assenza di un’appropriata tecnica di comunicazione potrebbe venire a eliminare la possibilità di adottare scopi comuni come base per l’organizzazione. Insomma, le tecniche di comunicazione stabiliscono la forma e l’economia interna di ogni organizzazione formale".
Certamente, questa visione non è stata fatta propria da quelle aziende che si muovono secondo una prospettiva puramente tecnologica, tipica dell’organizzazione scientifica del lavoro. Il modello tayloristico che connota gran parte della società industriale arriva a scomporre il servizio fino a considerare il fattore uomo in funzione dello strumento: è la creazione della catena di montaggio, della specializzazione dei compiti e della produzione seriale, dove importante è la rapidità del processo, determinata spesso dall’operaio più veloce. La comunicazione, in una simile concezione, si risolve in un flusso informativo unidirezionale che discende dall’alto della scala gerarchica e serve esclusivamente per mantenere l’ordine e pianificare le risorse.
L’approccio al quale si è accennato sopra si sviluppa, invece, a partire da una visione della persona quale soggetto sociale da cui l’organizzazione non può in alcun modo prescindere nella realizzazione dei propri obiettivi. Grazie anche alle ricerche sperimentali condotte da un gruppo di studiosi dell’Università di Harvard, coordinato da Elton Mayo, si sviluppa una diffusa sensibilità per il contesto nel quale i dipendenti si trovano a operare. È la nascita del movimento delle Human relations, punto di partenza di tutta una serie di studi sulla motivazione che, negli anni Cinquanta, trovano in A. Maslow il loro principale rappresentante.
Gli anni Sessanta, con lo sviluppo degli studi psicologici, introducono, accanto alla necessità di leggere i bisogni, quella di prendere in considerazione la visione del mondo e della natura umana, quale componente fondamentale nel determinare la qualità del lavoro. Per esemplificare, è diversa la resa di chi giudica l’impegno lavorativo come implicitamente sgradevole, da quella di chi lo considera come una dimensione naturale della vita, che può risultare addirittura piacevole se sono garantite determinate condizioni. Mentre nel primo caso si troverà motivo per un’opzione manageriale direttiva e una funzione di controllo del dipendente, nel secondo si investirà su un diverso tipo di comunicazione, che favorisca l’autocontrollo e la creatività.
Gli anni Ottanta segnano il passaggio a un’organizzazione maggiormente flessibile, nella quale diventano vincenti la partecipazione e la cooperazione. In questo modello è posta grande attenzione alle comunicazioni che provengono dal basso, nonché alle cosiddette comunicazioni informali; a loro volta, quelle provenienti dall’alto, più che essere direttive, sono finalizzate al coinvolgimento dei dipendenti e, quindi, tendono a divenire orizzontali.
In una società come l’attuale, sempre più terziarizzata, emergono valori come l’affidabilità, per la sempre maggiore responsabilità riconosciuta alle persone, la soggettività, che porta a prodotti creati non più semplicemente per la massa, l’affettività, quale condizione perché la persona sia valorizzata, la destrutturazione spazio-temporale, per cui si lavora a casa mantenendosi collegati in rete, e non da ultimo la qualità della vita, dimensione prima ignorata e ora ritenuta imprescindibile.
Tale cambiamento ha provocato, a livello gestionale, una crisi diffusa dei metodi tradizionali e la domanda di un nuovo rapporto tra comunicazione e organizzazione.
Quest’ultima, più che come sistema chiuso, viene interpretata quale insieme complesso di parti interdipendenti, che interagiscono fra loro e che, per conseguire i loro obiettivi, sono chiamate a partecipare a un processo di adattamento continuo, all’interno di un ambiente in costante evoluzione. La propensione innovativa, favorita dalla tecnologia, ha dimensioni tali in termini di trasformazione del modo stesso di vivere, che il problema fondamentale per l’individuo diventa non tanto l’integrazione a una specifica innovazione, quanto l’elasticità, ovvero il suo più generale equilibrio in un dinamismo sistematico e solitamente stressante.
Decisivi diventano, da un punto di vista strutturale, il setting (o clima) e lo stile manageriale, chiamato a confrontarsi continuamente con le persone alle quali si rivolge, per percepirne le aspettative e aiutarle, a loro volta, a cogliere le possibilità offerte dall’ambiente. A seconda della maturità dei collaboratori, il comportamento da direttivo sa farsi di relazione, passando dalla semplice prescrizione alla persuasione, dal coinvolgimento alla delega.
La comunicazione assume, così, un ruolo sempre più centrale, tanto all’interno dei sottosistemi che compongono l’organizzazione dove essa favorisce l’entrata di nuovi valori, la loro identificazione e interiorizzazione, fino ad accompagnare il processo di ristrutturazione quanto nei rapporti con l’esterno, in un dinamismo di reciproca influenza.
La sua funzione si avvicina, quindi, più a un’azione di armonizzazione che non a un bisogno di controllo: ascoltare, informare, dialogare, promuovere una corporate culture, coinvolgere, valorizzare... diventano presupposti generali, alla cui validità sono oggi legate le condizioni per il cambiamento e il miglioramento di qualunque struttura organizzativa.
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Come citare questa voce
Maffeis Ivan , Organizzazione e comunicazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/12/2024).
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