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Autore: Lorenzo Cantoni
Forma dell’espressione e della comunicazione verbale umana che si realizza presso una comunità spazio-temporalmente definita (l. latina, italiana, russa, ecc.).
Si può distinguere dal linguaggio in quanto ne è una specificazione; inoltre, benché si possa parlare di linguaggio animale, il fenomeno della l. è esclusivamente umano. Va notato peraltro il fatto che in talune l. tale distinzione non venga marcata lessicalmente (ad esempio nelle l. germaniche: inglese language e tedesco Sprache).
La l. ha una realtà insieme psicologica e sociale, in grado di consentire l’espressione del pensiero e la sua comunicazione ad altre persone; poiché si realizza solo in concreti e singoli atti di parola i testi, orali o scritti essa può essere considerata come l’insieme strutturato (relativamente permanente) di elementi e di regole per il loro corretto uso, che consentono il processo di produzione e interpretazione di testi, cioè il doppio itinerario dal senso al testo e dal testo al senso; per questo si parla anche di codice linguistico (Linguistica).
Si possono dunque distinguere tre livelli (Coseriu, 1997): quello universale, della facoltà di parlare o del linguaggio; quello storico: delle singole l. o tradizioni storiche del parlare; e quello dei testi: dei concreti atti di parola.
La connessione tra la l. e la comunità storica che la parla è assai stretta ed è stata da più parti segnalata e in diversi modi approfondita. La vita sociale infatti non sarebbe possibile senza l’istituto linguistico; le società umane politicamente organizzate definiscono inoltre una l. ufficiale (o più d’una). I vari gruppi e comunità sociali tendono poi a riconoscersi in usi particolari del sistema linguistico: gerghi, registri, oppure, in corrispondenza di zone geografiche contigue, in dialetti. Se da un punto di vista strettamente linguistico e sincronico non è possibile indicare una differenza qualitativa tra l. e dialetti, essa può essere reperita al livello sociolinguistico: dialetti sono infatti perlopiù l. di minoranze che appartengono a un’organizzazione statuale che riconosce come ufficiale un’altra l., e che non siano l. ufficiale di alcun’altra organizzazione statuale (es.: dialetto piacentino, ma minoranza di l. tedesca). Piuttosto di frequente, inoltre, nei dialetti il codice orale è assai più sviluppato rispetto a quello scritto (talora non esistente), non presentando una consistente tradizione letteraria; un’altra nota caratteristica dei dialetti è spesso la loro derivazione storica dalla l. ufficiale, di cui costituiscono variazioni locali.
Casi particolari di derivazione linguistica sono costituiti dalle l. creole: l. derivate in ambito coloniale dalla semplificazione della l. dei coloni e dalla sua commistione con elementi linguistici delle popolazioni native (processo di pidginizzazione); se quello delle l. creole è certamente un caso particolare, bisogna peraltro osservare come i confini tra l. e l. siano sempre assai sfumati.
L’uomo non è dotato di un apparato unicamente orientato alla produzione/ricezione linguistica, a tal fine utilizza infatti gli organi del respiro, della masticazione e dell’udito. L’uso primario della sostanza fonica per la comunicazione verbale ne consente una grande versatilità: essa è estremamente economica dal punto di vista energetico, può essere agita contemporaneamente a quasi tutte le attività umane, non richiede il contatto visivo, consente la fruizione del messaggio da parte di più destinatari contemporaneamente, anche situati a distanza rispetto al mittente e fra di loro.
Un aspetto che caratterizza il sistema-l. rispetto agli altri sistemi semiologici è la cosiddetta doppia articolazione: la catena fonica del discorso/testo può essere segmentata in unità minime parzialmente significanti (prima articolazione: i monemi), e queste ultime a loro volta possono essere segmentate in unità minime prive di significato (seconda articolazione: i fonemi); perciò, a partire da un numero ridotto di fonemi (da quindici a cinquanta, con una media di circa trenta) è possibile produrre tutti i testi. L’esistenza di più l. è consentita poi dalla natura degli elementi linguistici, che sono non-motivati rispetto a ciò che servono a esprimere e comunicare.
Le lingue storico-naturali sono caratterizzate inoltre dalla totipotenza semiotica (l’espressione prende a prestito un termine proprio della genetica: sono totipotenti le cellule che contengono tutte le informazioni per riprodurre l’intero organismo a cui appartengono): esse infatti offrono strumenti per esprimere e comunicare qualunque pensiero, sono in grado di interpretare e tradurre (anche se non completamente) tutti gli altri codici semiologici, mentre non è valido l’inverso (es.: posso parlare/scrivere di un quadro, di una sinfonia, di un palazzo, ma non posso ugualmente rappresentare pittoricamente, musicalmente o architettonicamente ogni testo linguistico); le l. godono anche della riflessività: ogni l. consente che si parli di essa utilizzandola in modo autoreferenziale e metalinguistico.
Il rapporto fra l. e pensiero è stato, nel corso della storia, variamente analizzato, configurando interpretazioni che vanno da una completa identificazione a un’assoluta indipendenza. Da un lato è opportuno distinguere l’attività del pensiero da quella linguistica: ciò è necessario per render conto dell’esperienza frequente in chi parla di inadeguatezza di ciò che s’è detto rispetto a ciò che si pensava e si voleva dire; inoltre la capacità umana di tradurre lo stesso senso in più testi di una medesima l., o di l. diverse, indica una non identità tra pensiero e l. D’altra parte, in qualche modo il pensiero è ‘impregnato’ di elementi linguistici (il discorso interiore o endofasia), e la l. offre strumenti categoriali di approccio alla e di interpretazione della realtà che orientano ma non costringono l’esperienza e la comunicazione umane.
Un’eccessiva sovrapposizione fra l. e pensiero è stata proposta da Benjamin L. Whorf (1897-1941) benché all’interno di una teoria assai stimolante e originale nel cosiddetto "principio di relatività linguistica", principio noto anche come "ipotesi di Sapir-Whorf", secondo il quale "i fatti sono diversi per parlanti il cui retroterra linguistico dà luogo a diverse formulazioni di essi". Anche posizioni semiotiche di strutturalismo radicale hanno inteso ridurre colui che parla a semplice attualizzatore di un sistema di sensi linguisticamente precostituito, fino ad affermare che non sarebbe l’uomo a parlare, ma che questi sarebbe parlato dalla l.
Il fatto per cui il rapporto fra persona che parla e l. non è deterministico viene chiamato creatività linguistica; le sue note caratterizzanti sono state così indicate da Noam A. Chomsky: illimitatezza dell’ambito (capacità di produrre e interpretare enunciati nuovi, mai uditi in precedenza); indipendenza da stimoli interni e/o esterni a chi parla; coerenza e appropriatezza rispetto a nuove situazioni; non dipendenza da una funzione comunicativa pratica; possibilità di esprimere il pensiero libero.
La creatività linguistica si pone all’origine del cambio linguistico: ogni testo è, in qualche modo, creativo e innovativo; quando l’innovazione viene adottata continuativamente da più parlanti essa produce un mutamento nella struttura stessa del sistema linguistico.
Escluso a partire dalla fine del sec. XIX dal dibattito linguistico ufficiale, il tema dell’origine del linguaggio e delle l. (frequentemente connesso con quello sulla l. perfetta) è stato oggetto di numerose riflessioni, e ancor oggi è tema d’indagine a livello sia paletnologico (non si dà comunità umana stabile senza l.), sia psico-pedagogico (non si dà apprendimento linguistico senza comunicazione interumana, senza dialogo); a questo secondo livello la ricerca ha trovato uno stimolante supporto empirico nelle indagini sui cosiddetti ‘bambini selvaggi’, bambini abbandonati in tenera età e allevati da animali.
Differenti dall’indagine sull’origine del linguaggio e della l. sono sia quella sull’origine storica delle varie l., intesa a ricostruire famiglie e parentele linguistiche, sia quella intesa a individuare degli universali linguistici o a suddividere le l. in base a definite tipologie classificatorie.
(Oralità;Scienze del linguaggio verbale)
Si può distinguere dal linguaggio in quanto ne è una specificazione; inoltre, benché si possa parlare di linguaggio animale, il fenomeno della l. è esclusivamente umano. Va notato peraltro il fatto che in talune l. tale distinzione non venga marcata lessicalmente (ad esempio nelle l. germaniche: inglese language e tedesco Sprache).
La l. ha una realtà insieme psicologica e sociale, in grado di consentire l’espressione del pensiero e la sua comunicazione ad altre persone; poiché si realizza solo in concreti e singoli atti di parola i testi, orali o scritti essa può essere considerata come l’insieme strutturato (relativamente permanente) di elementi e di regole per il loro corretto uso, che consentono il processo di produzione e interpretazione di testi, cioè il doppio itinerario dal senso al testo e dal testo al senso; per questo si parla anche di codice linguistico (Linguistica).
Si possono dunque distinguere tre livelli (Coseriu, 1997): quello universale, della facoltà di parlare o del linguaggio; quello storico: delle singole l. o tradizioni storiche del parlare; e quello dei testi: dei concreti atti di parola.
La connessione tra la l. e la comunità storica che la parla è assai stretta ed è stata da più parti segnalata e in diversi modi approfondita. La vita sociale infatti non sarebbe possibile senza l’istituto linguistico; le società umane politicamente organizzate definiscono inoltre una l. ufficiale (o più d’una). I vari gruppi e comunità sociali tendono poi a riconoscersi in usi particolari del sistema linguistico: gerghi, registri, oppure, in corrispondenza di zone geografiche contigue, in dialetti. Se da un punto di vista strettamente linguistico e sincronico non è possibile indicare una differenza qualitativa tra l. e dialetti, essa può essere reperita al livello sociolinguistico: dialetti sono infatti perlopiù l. di minoranze che appartengono a un’organizzazione statuale che riconosce come ufficiale un’altra l., e che non siano l. ufficiale di alcun’altra organizzazione statuale (es.: dialetto piacentino, ma minoranza di l. tedesca). Piuttosto di frequente, inoltre, nei dialetti il codice orale è assai più sviluppato rispetto a quello scritto (talora non esistente), non presentando una consistente tradizione letteraria; un’altra nota caratteristica dei dialetti è spesso la loro derivazione storica dalla l. ufficiale, di cui costituiscono variazioni locali.
Casi particolari di derivazione linguistica sono costituiti dalle l. creole: l. derivate in ambito coloniale dalla semplificazione della l. dei coloni e dalla sua commistione con elementi linguistici delle popolazioni native (processo di pidginizzazione); se quello delle l. creole è certamente un caso particolare, bisogna peraltro osservare come i confini tra l. e l. siano sempre assai sfumati.
L’uomo non è dotato di un apparato unicamente orientato alla produzione/ricezione linguistica, a tal fine utilizza infatti gli organi del respiro, della masticazione e dell’udito. L’uso primario della sostanza fonica per la comunicazione verbale ne consente una grande versatilità: essa è estremamente economica dal punto di vista energetico, può essere agita contemporaneamente a quasi tutte le attività umane, non richiede il contatto visivo, consente la fruizione del messaggio da parte di più destinatari contemporaneamente, anche situati a distanza rispetto al mittente e fra di loro.
Un aspetto che caratterizza il sistema-l. rispetto agli altri sistemi semiologici è la cosiddetta doppia articolazione: la catena fonica del discorso/testo può essere segmentata in unità minime parzialmente significanti (prima articolazione: i monemi), e queste ultime a loro volta possono essere segmentate in unità minime prive di significato (seconda articolazione: i fonemi); perciò, a partire da un numero ridotto di fonemi (da quindici a cinquanta, con una media di circa trenta) è possibile produrre tutti i testi. L’esistenza di più l. è consentita poi dalla natura degli elementi linguistici, che sono non-motivati rispetto a ciò che servono a esprimere e comunicare.
Le lingue storico-naturali sono caratterizzate inoltre dalla totipotenza semiotica (l’espressione prende a prestito un termine proprio della genetica: sono totipotenti le cellule che contengono tutte le informazioni per riprodurre l’intero organismo a cui appartengono): esse infatti offrono strumenti per esprimere e comunicare qualunque pensiero, sono in grado di interpretare e tradurre (anche se non completamente) tutti gli altri codici semiologici, mentre non è valido l’inverso (es.: posso parlare/scrivere di un quadro, di una sinfonia, di un palazzo, ma non posso ugualmente rappresentare pittoricamente, musicalmente o architettonicamente ogni testo linguistico); le l. godono anche della riflessività: ogni l. consente che si parli di essa utilizzandola in modo autoreferenziale e metalinguistico.
Il rapporto fra l. e pensiero è stato, nel corso della storia, variamente analizzato, configurando interpretazioni che vanno da una completa identificazione a un’assoluta indipendenza. Da un lato è opportuno distinguere l’attività del pensiero da quella linguistica: ciò è necessario per render conto dell’esperienza frequente in chi parla di inadeguatezza di ciò che s’è detto rispetto a ciò che si pensava e si voleva dire; inoltre la capacità umana di tradurre lo stesso senso in più testi di una medesima l., o di l. diverse, indica una non identità tra pensiero e l. D’altra parte, in qualche modo il pensiero è ‘impregnato’ di elementi linguistici (il discorso interiore o endofasia), e la l. offre strumenti categoriali di approccio alla e di interpretazione della realtà che orientano ma non costringono l’esperienza e la comunicazione umane.
Un’eccessiva sovrapposizione fra l. e pensiero è stata proposta da Benjamin L. Whorf (1897-1941) benché all’interno di una teoria assai stimolante e originale nel cosiddetto "principio di relatività linguistica", principio noto anche come "ipotesi di Sapir-Whorf", secondo il quale "i fatti sono diversi per parlanti il cui retroterra linguistico dà luogo a diverse formulazioni di essi". Anche posizioni semiotiche di strutturalismo radicale hanno inteso ridurre colui che parla a semplice attualizzatore di un sistema di sensi linguisticamente precostituito, fino ad affermare che non sarebbe l’uomo a parlare, ma che questi sarebbe parlato dalla l.
Il fatto per cui il rapporto fra persona che parla e l. non è deterministico viene chiamato creatività linguistica; le sue note caratterizzanti sono state così indicate da Noam A. Chomsky: illimitatezza dell’ambito (capacità di produrre e interpretare enunciati nuovi, mai uditi in precedenza); indipendenza da stimoli interni e/o esterni a chi parla; coerenza e appropriatezza rispetto a nuove situazioni; non dipendenza da una funzione comunicativa pratica; possibilità di esprimere il pensiero libero.
La creatività linguistica si pone all’origine del cambio linguistico: ogni testo è, in qualche modo, creativo e innovativo; quando l’innovazione viene adottata continuativamente da più parlanti essa produce un mutamento nella struttura stessa del sistema linguistico.
Escluso a partire dalla fine del sec. XIX dal dibattito linguistico ufficiale, il tema dell’origine del linguaggio e delle l. (frequentemente connesso con quello sulla l. perfetta) è stato oggetto di numerose riflessioni, e ancor oggi è tema d’indagine a livello sia paletnologico (non si dà comunità umana stabile senza l.), sia psico-pedagogico (non si dà apprendimento linguistico senza comunicazione interumana, senza dialogo); a questo secondo livello la ricerca ha trovato uno stimolante supporto empirico nelle indagini sui cosiddetti ‘bambini selvaggi’, bambini abbandonati in tenera età e allevati da animali.
Differenti dall’indagine sull’origine del linguaggio e della l. sono sia quella sull’origine storica delle varie l., intesa a ricostruire famiglie e parentele linguistiche, sia quella intesa a individuare degli universali linguistici o a suddividere le l. in base a definite tipologie classificatorie.
(Oralità;Scienze del linguaggio verbale)
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Bibliografia
- ECO Umberto, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Roma 2006.
- SCHIFFRIN André, Il controllo della parola, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
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Note
Come citare questa voce
Cantoni Lorenzo , Lingua, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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