Public speaking
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- Bibliografia1
- Voci correlate
Autore: Piero Trupia
Si traduce sia con ‘parlare in pubblico’ sia con ‘parlare a un pubblico’. Le due espressioni non sono sinonime: si può parlare in pubblico senza parlare a un pubblico, vale a dire senza considerare il pubblico presente né un locutario né, tanto meno, un interlocutore (Convocazione). Esempio di parlare in pubblico e non a un pubblico è quello del cattedratico che espone la sua lezione, ‘parlando come un libro stampato’, ma ignorando i presenti; non rivolgendosi a loro; non verificando, anche con la semplice osservazione dell’espressione dei volti, se il messaggio è passato, prima di procedere oltre.
Il valore ottimale del p.s. si ha quando si parla a un pubblico con le tecniche appropriate per rendere il parlare efficace, piacevole, convocativo.
Parlare a un pubblico richiede una volontà di farlo e una capacità per realizzarlo.
La capacità può essere naturale, ma non va confusa con l’eloquenza o con la facondia. Essa si avvale di precise tecniche performative, cioè di creazione e di messa in scena di un evento. Il p.s. rientra infatti nelle arti della rappresentazione o teatrali.
La principale tecnica del p.s. è quella della sceneggiatura che consiste nell’individuare:
le formule testuali di presentazione dei diversi contenuti e messaggi del discorso; in pratica un testo scritto del quale impadronirsi, restando inteso che non si dovrà leggerlo, ma presentarlo a braccio;
le note di regia, che individuano i registri della presentazione del messaggio (distaccato, coinvolgente, trascinante, ironico...) e gli stili (emotivo, valutativo, modalizzante (Discorso);
la connotazione discorsiva, che può essere oracolare, nel senso che rivela o pretende di rivelare una verità (come avviene con il discorso ideologico), informativa, veridittiva, asseverativa ecc.
Vi è inoltre una parte eminentemente fisica del p.s. che comprende:
l’emissione del fiato che richiede il possesso delle tecniche di respirazione e, in particolare, il controllo del diaframma;
l’impostazione della voce che deve essere piena e non ‘ingolata’, come quando si attiva prevalentemente la parte superiore dei polmoni e non tutta la cassa toracica, sotto la spinta del diaframma;
la postura che richiede una posizione in equilibrio di tutto il corpo, in tutte le sue membra e parti, sia in piedi che seduti, a evitare contrazioni muscolari e tic che sono sia conseguenza del nervosismo e dell’ansia dell’oratore sia moltiplicatori di essi;
la dizione, che non significa ‘recitazione’ (il public speaker non è né un oratore, né un ‘fine dicitore’). Per ‘dizione’ s’intende qui: chiarezza della pronuncia, articolazione dei suoni (sillabici, fonematici); resa della punteggiatura, ecc. Un buon public speaker fa sentire se un termine che pronuncia andrebbe sottolineato o tra virgolette nel testo scritto.
Un efficace p.s. richiede una precisa, accurata progettazione dei contenuti e preparazione nel modo di presentarli. Si raggiunge infatti il massimo della naturalezza con il massimo della padronanza di ruolo che riguarda sia i contenuti sia i propri mezzi fisici sia la propria emotività.
La presentazione orale si può avvalere soltanto di un recepimento rapido e la cui intensità è condizionata dall’interesse suscitato, dalla fluidità del dire, dalla sensazione da parte del pubblico di una concondizione di agio dell’oratore.
Il testo che si vuol presentare dovrà essere:
tematizzato, cioè contenere tutte le informazioni definitorie e tutti i risvolti rilevanti di carattere storico, contestuale ecc.;
strutturato in periodi brevi, di non più di tre proposizioni, le quali abbiano sempre la forma predicativa soggetto-predicato, evitando gli incisi e le deviazioni tematiche;
esemplificativo, con richiamo di casi e occorrenze concrete e reali di ciò che si afferma.
aneddotico, con la presentazione di fatti e avvenimenti reali attinenti che avvalorino le affermazioni;
a struttura chiusa, con annuncio nell’esordio di ciò che si sosterrà e sintesi, alla fine, di ciò che si è detto;
completo e categorizzato rispetto alle parti del discorso e quindi con precisa individuazione del ‘tema’, ciò di cui si parlerà; del rèma, che è lo sviluppo e commento del/sul tema; del focus per mettere in luce la o le tesi o il ‘messaggio’.
L’efficace public speaker deve dare l’impressione di dialogare con il pubblico, come se le sue considerazioni fossero una risposta a domande che riceva al momento. Di importanza capitale a tale proposito sarà il gioco della pause (come in musica anche le pause ‘suonano’) e il gioco dello sguardo, con il quale ‘aggancia’ questo o quell’ascoltatore o, nel caso di pubblici oltre i 100 individui, questa o quella sezione del pubblico.
Discende da quanto detto che il public speaker dovrà evitare di leggere un testo predisposto. Per quanto un oratore-lettore possa essere esperto nelle pause e negli sguardi, egli non potrà fugare la sensazione di aver mancato un’occasione: quella di un’interazione reale con il pubblico, in quanto la lettura del testo predisposto potrebbe essere fatta da ciascuno dei presenti a casa propria. Il public speaker si avvarrà di un appunto, possibilmente di una sola pagina, con i titoli degli argomenti da trattare: non più di dieci per non più di 40 minuti, più un tempo adeguato per domande e risposte.
A questo proposito va ricordato che un buon public speaker ammette domande, ma gradisce anche osservazioni, delle quali mostrerà di tener conto, palesando, quanto meno, la volontà di verificare o riformulare le proprie affermazioni. Una conferenza o conversazione con un pubblico non è peròun atto giudiziario. Anche il più acceso dibattito non ha come obiettivo la pronuncia di un verdetto, il conseguimento di un punto di arrivo, la conquista di una verità. Alla conclusione dell’incontro ognuno dei presenti potrà rimanere della sua idea; si sarà però arricchito delle osservazioni degli altri che, se libere e genuine e non di maniera, o polemiche, saranno state un prezioso stimolo per riflettere.
Il valore ottimale del p.s. si ha quando si parla a un pubblico con le tecniche appropriate per rendere il parlare efficace, piacevole, convocativo.
Parlare a un pubblico richiede una volontà di farlo e una capacità per realizzarlo.
La capacità può essere naturale, ma non va confusa con l’eloquenza o con la facondia. Essa si avvale di precise tecniche performative, cioè di creazione e di messa in scena di un evento. Il p.s. rientra infatti nelle arti della rappresentazione o teatrali.
La principale tecnica del p.s. è quella della sceneggiatura che consiste nell’individuare:
le formule testuali di presentazione dei diversi contenuti e messaggi del discorso; in pratica un testo scritto del quale impadronirsi, restando inteso che non si dovrà leggerlo, ma presentarlo a braccio;
le note di regia, che individuano i registri della presentazione del messaggio (distaccato, coinvolgente, trascinante, ironico...) e gli stili (emotivo, valutativo, modalizzante (Discorso);
la connotazione discorsiva, che può essere oracolare, nel senso che rivela o pretende di rivelare una verità (come avviene con il discorso ideologico), informativa, veridittiva, asseverativa ecc.
Vi è inoltre una parte eminentemente fisica del p.s. che comprende:
l’emissione del fiato che richiede il possesso delle tecniche di respirazione e, in particolare, il controllo del diaframma;
l’impostazione della voce che deve essere piena e non ‘ingolata’, come quando si attiva prevalentemente la parte superiore dei polmoni e non tutta la cassa toracica, sotto la spinta del diaframma;
la postura che richiede una posizione in equilibrio di tutto il corpo, in tutte le sue membra e parti, sia in piedi che seduti, a evitare contrazioni muscolari e tic che sono sia conseguenza del nervosismo e dell’ansia dell’oratore sia moltiplicatori di essi;
la dizione, che non significa ‘recitazione’ (il public speaker non è né un oratore, né un ‘fine dicitore’). Per ‘dizione’ s’intende qui: chiarezza della pronuncia, articolazione dei suoni (sillabici, fonematici); resa della punteggiatura, ecc. Un buon public speaker fa sentire se un termine che pronuncia andrebbe sottolineato o tra virgolette nel testo scritto.
Un efficace p.s. richiede una precisa, accurata progettazione dei contenuti e preparazione nel modo di presentarli. Si raggiunge infatti il massimo della naturalezza con il massimo della padronanza di ruolo che riguarda sia i contenuti sia i propri mezzi fisici sia la propria emotività.
La presentazione orale si può avvalere soltanto di un recepimento rapido e la cui intensità è condizionata dall’interesse suscitato, dalla fluidità del dire, dalla sensazione da parte del pubblico di una concondizione di agio dell’oratore.
Il testo che si vuol presentare dovrà essere:
tematizzato, cioè contenere tutte le informazioni definitorie e tutti i risvolti rilevanti di carattere storico, contestuale ecc.;
strutturato in periodi brevi, di non più di tre proposizioni, le quali abbiano sempre la forma predicativa soggetto-predicato, evitando gli incisi e le deviazioni tematiche;
esemplificativo, con richiamo di casi e occorrenze concrete e reali di ciò che si afferma.
aneddotico, con la presentazione di fatti e avvenimenti reali attinenti che avvalorino le affermazioni;
a struttura chiusa, con annuncio nell’esordio di ciò che si sosterrà e sintesi, alla fine, di ciò che si è detto;
completo e categorizzato rispetto alle parti del discorso e quindi con precisa individuazione del ‘tema’, ciò di cui si parlerà; del rèma, che è lo sviluppo e commento del/sul tema; del focus per mettere in luce la o le tesi o il ‘messaggio’.
L’efficace public speaker deve dare l’impressione di dialogare con il pubblico, come se le sue considerazioni fossero una risposta a domande che riceva al momento. Di importanza capitale a tale proposito sarà il gioco della pause (come in musica anche le pause ‘suonano’) e il gioco dello sguardo, con il quale ‘aggancia’ questo o quell’ascoltatore o, nel caso di pubblici oltre i 100 individui, questa o quella sezione del pubblico.
Discende da quanto detto che il public speaker dovrà evitare di leggere un testo predisposto. Per quanto un oratore-lettore possa essere esperto nelle pause e negli sguardi, egli non potrà fugare la sensazione di aver mancato un’occasione: quella di un’interazione reale con il pubblico, in quanto la lettura del testo predisposto potrebbe essere fatta da ciascuno dei presenti a casa propria. Il public speaker si avvarrà di un appunto, possibilmente di una sola pagina, con i titoli degli argomenti da trattare: non più di dieci per non più di 40 minuti, più un tempo adeguato per domande e risposte.
A questo proposito va ricordato che un buon public speaker ammette domande, ma gradisce anche osservazioni, delle quali mostrerà di tener conto, palesando, quanto meno, la volontà di verificare o riformulare le proprie affermazioni. Una conferenza o conversazione con un pubblico non è peròun atto giudiziario. Anche il più acceso dibattito non ha come obiettivo la pronuncia di un verdetto, il conseguimento di un punto di arrivo, la conquista di una verità. Alla conclusione dell’incontro ognuno dei presenti potrà rimanere della sua idea; si sarà però arricchito delle osservazioni degli altri che, se libere e genuine e non di maniera, o polemiche, saranno state un prezioso stimolo per riflettere.
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Bibliografia
- CAMPBELL John, Come tenere un discorso, Franco Angeli, Milano 1994.
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Come citare questa voce
Trupia Piero , Public speaking, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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