Economia dei media

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1. Premessa

Presa alla lettera, la dizione ‘economia dei media’ ammette due accezioni alquanto diverse, utilizzate nella ricerca. Se si pone l’accento sul termine ‘media’, la dizione designa quel complesso di studi che concerne i processi economici dei vari mezzi di comunicazione distinguendoli da altre aree di analisi attinenti allo stesso tema, come ad esempio le ricerche sugli effetti sociali o sul contenuto. Se invece si pone l’accento sul termine ‘economia’, la dizione designa un settore economico particolare e differente dagli altri, come ad esempio l’edilizia o il tessile.
Entrambe le definizioni, tuttavia, hanno un presupposto comune: l’idea che esista una qualche forma di unità – operativa, strutturale, organizzativa – nel funzionamento economico dei mezzi di comunicazione. Nella seconda accezione ora ricordata tale unità è postulata avere un’efficacia tale da costituire addirittura un autonomo settore industriale. Il presupposto dell’unità economica non è però privo di problemi. Il più importante è che l’evidenza empirica sembra chiaramente smentirlo. In un giornale, in un film o nell’interrogazione di una banca dati, le utilità vendute, le formule di valorizzazione e i metodi di commercializzazione sono a prima vista del tutto differenti. Non solo: se la maggior parte dei media trae i propri introiti attraverso il mercato, la radio e la televisione per lungo tempo e in molti Paesi hanno derivato le proprie risorse fuori dal mercato, mediante il canone che si può considerare un tipo di imposta.

2. I media nel processo economico

Non solo il senso comune guidato dall’evidenza ma anche molte teorie collocano giornali, libri, film, radio, televisione, registrazioni musicali in una stessa classe di oggetti per ragioni di ordine tecnologico (l’uso di mezzi per la produzione e la distribuzione capaci di portare in tempi brevi il medesimo contenuto a grandi numeri di persone distanti fra loro) e sociale (la capacità di influenzare in modo profondo e durevole la vita mentale delle popolazioni), ma non traggono da questa indicazione alcuna conseguenza relativa all’ambito economico: l’unità degli effetti tecnologici e sociali non si traduce in unità dei processi economici.
Se tuttavia si oltrepassa il dato fenomenico immediato, è possibile individuare un elemento costitutivo comune nei processi economici che regolano la riproduzione delle attività attinenti ai diversi mezzi di comunicazione. Tutti i media creano, elaborano e distribuiscono, sotto le più diverse forme, un unico tipo di bene: conoscenze, contenuti mentali. I media sono tutti produttori di conoscenza che divulgano su scala di massa. Sotto il profilo formale rientrano, senza eccezioni, nell’economia della conoscenza (o dell’informazione, come preferiscono dire alcuni studiosi creando però seri equivoci terminologici). In quanto bene oggetto di transazioni, la conoscenza esibisce caratteristiche del tutto particolari che la differenziano dalla massima parte degli altri beni (che hanno sempre un corpo materiale).
Due di queste caratteristiche appaiono molto rilevanti sotto il profilo economico. La prima caratteristica attiene al fatto che le conoscenze sono un elemento comune e costante della vita sociale che viene scambiato di continuo, attraverso i processi di comunicazione, in ogni occasione della vita sociale. Tutti gli individui, fin dai primi anni di vita, detengono l’abilità necessaria a sviluppare la comunicazione e con essa lo scambio delle conoscenze. Affinché vi sia regolazione economica è necessario che alcuni scambi peculiari siano differenziati da tutti gli altri, che avvengono spontaneamente.
La seconda caratteristica consiste nel fatto che i contenuti cognitivi, una volta manifestati pubblicamente attraverso quelle forme materiali che sono dotazione naturale della specie umana (parole, suoni, gesti), sono difficilmente assoggettabili a una appropriazione separata (che costituisce la base dello scambio economico): chiunque sia in grado di coglierli può farli propri e goderne liberamente. Il loro uso non è, a differenza di altri beni, privativo (se lo uso io non lo usi tu) e non genera logoramento.
Questa seconda caratteristica implica un’altra condizione preliminare per il formarsi di una economia della conoscenza: le sequenze cognitive devono essere non soltanto separate da quelle che si svolgono naturalmente, ma anche assumere una configurazione ben definita e circoscritta che consenta di applicare una qualche procedura di appropriazione. La più semplice configurazione circoscritta è la materializzazione come oggetto fisico, bene di consumo: il libro, il quadro, la statua. Ma è molto antica anche la delimitazione specializzata di un campo d’azione (il teatro, la lezione, il concerto) che può essere dotato di un filtro di accesso.

3. La conoscenza come bene di scambio

Le prime forme rudimentali di economia della conoscenza si basano soltanto sulla prima caratteristica (la separazione specializzata di una determinata sequenza cognitiva): oracoli, poemi recitati, arringhe, istruzione privata. Non esiste ancora una configurazione ben delimitata della conoscenza e neppure un definito scambio monetario. Con i libri e gli oggetti d’arte la materializzazione della conoscenza (seconda caratteristica) favorisce l’appropriazione esclusiva e si associa, in modo embrionale, alla transazione commerciale: Attico, l’editore di Cicerone, ha già un giro di affari di notevoli dimensioni. Per tutta l’epoca classica e anche nel primo millennio dopo Cristo (nel mondo occidentale), l’economia della conoscenza include soltanto scambi personali, diretti fra il produttore dell’opera (l’editore del libro, il pittore, lo scultore) o della prestazione cognitiva (il maestro, l’oratore) e il suo beneficiario: tutti gli oggetti che materializzano conoscenza, inclusi i vari esemplari di un libro (quasi sempre copiati da scribi diversi), sono pezzi unici, esattamente come l’arringa dell’oratore o la lezione del maestro.
L’editore-libraio vende i suoi testi in base al solo costo della produzione materiale (papiro o pergamena, costi relativi alla copiatura). Nell’antichità non esiste il diritto d’autore e lo scrittore non percepisce compenso per il lavoro letterario: come gli artisti, anche i letterati traggono guadagni dalla propria attività in modo indiretto, attraverso la protezione mecenatesca di un potente che riceve prestigio dalla divulgazione dell’opera (da qui deriva l’uso, molto frequente a Roma, della dedica).
La situazione muta radicalmente quando in Occidente si generalizza l’uso delle matrici che generano copie identiche. Ciò avviene in un primo tempo con le immagini, grazie alla xilografia, introdotta in Occidente dalla Cina, e più tardi con i testi scritti mediante la stampa a caratteri mobili messa a punto da Gutenberg.
Finisce l’epoca dei pezzi unici di produzione artigianale: la matrice permette di realizzare un gran numero di pezzi identici con un solo processo produttivo. I costi non sono tutti addossati al singolo pezzo, ma si ripartiscono tra le varie copie tirate: di conseguenza i prezzi scendono e le diffusioni possono aumentare. Le copie identiche costituiscono il reale atto di nascita dei media, ovvero dei mezzi di comunicazione ‘di massa’ che, utilizzando appropriati congegni meccanici, divulgano il medesimo contenuto a un pubblico ampio, dislocato anche a grande distanza dalla fonte di produzione. Con la stampa si formano insieme la prima produzione di serie della storia occidentale e una e.d.m. ormai distinta dalla più generale economia della conoscenza: quest’ultima include, come ramo ormai distinto, la produzione di pezzi unici che segue la logica tradizionale del lavoro su misura addebitando tutti i costi o al mecenate o a un compratore solitario.

4. Organizzazione industriale, diritto d’autore, vendita a flusso

Dal principio della produzione in serie dei testi derivano tre distinte conseguenze che, una volta giunte a maturazione nel giro di due secoli dalla piena diffusione della stampa, formano ancora oggi la trama di fondo dell’e.d.m. La prima conseguenza è il passaggio all’organizzazione industriale: l’editoria, sia pure ancora per lungo tempo in forma embrionale, assembla operai, congegni meccanici, tecniche di distribuzione per realizzare un numero di prodotti sempre più elevato che copre aree diffusionali crescenti. Ciò comporta un’organizzazione del lavoro, che si rende via via più strutturata, e tecniche di gestione complesse.
La seconda conseguenza è la nascita del diritto d’autore. Dopo una prima fase in cui la stampa si concentra sui testi antichi, gli editori – a partire all’incirca dal XVII secolo – cominciano a retribuire sistematicamente gli autori per la fornitura di novità: in un primo tempo con pagamenti a forfait e successivamente con royalties (l’antesignano fu nel 1667 Milton con il Paradiso Perduto). Nel 1709 il Parlamento inglese promulga il primo Copyright Act che sancisce il nuovo uso. L’esistenza di un solo luogo fisico da cui originano tutte le copie in distribuzione (la macchina per la stampa) favorisce l’applicazione dei controlli che tutelano il diritto degli autori (Diritto e comunicazione. B. Diritto d’autore).
La terza conseguenza è la formazione di quella che si può definire la vendita a flusso dei testi. Il libro, come i pezzi unici, richiede un’autonoma decisione d’acquisto: a ogni nuovo titolo la decisione d’acquisto va rinnovata. Quando il miglioramento delle tecniche di distribuzione consente di portare i testi al lettore con scadenze ravvicinate, la situazione si modifica: con i periodici e soprattutto con i quotidiani le decisioni d’acquisto diventano automatiche, si rinnovano a ogni numero quasi come un riflesso condizionato.

5. L’incontro con la pubblicità

Ciò non solo aumenta enormemente – a partire dal XVIII secolo – la circolazione dei testi scritti ma crea anche le condizioni per la nascita (e l’immediato successo) della pubblicità. La ripetizione automatica degli acquisti offre a chi, società o professionista, vuole informare sui prodotti o servizi l’opportunità di utilizzare il giornale per raggiungere in modo continuativo, su un arco di tempo più o meno lungo, i potenziali clienti. Il quotidiano, in quanto fornisce un accesso continuo e ripetibile alla mente di una determinata popolazione, raddoppia la propria funzione utile: veicola informazioni ai lettori e fornisce lettori (ovvero acquirenti in prospettiva) ai venditori di beni e servizi (Pubblicità 3. Pubblicità e media). Entrambe le funzioni vengono pagate dai rispettivi utilizzatori e così, per la prima volta, un prodotto si trova ad avere un doppio mercato e una doppia fonte di introiti. Fra il 1830 e il 1850 l’uso della pubblicità diviene generale: in Francia alcuni quotidiani dimezzano il prezzo di vendita per aumentare la diffusione e spuntare tariffe pubblicitarie più alte; negli Stati Uniti e in Francia nascono le prime società specializzate nel vendere gli spazi per la pubblicità su un vasto numero di giornali (e nel realizzare, per conto del cliente, gli annunci che poi li riempiono).

6. La svolta radiotelevisiva

Con l’avvento della pubblicità l’e.d.m. assume un assetto ormai ben definito. Dopo la metà del XVIII secolo c’è solo una svolta capace di modificare in profondità tale assetto: è l’utilizzo delle onde hertziane per diffondere verso punti lontani e dispersi contenuti originati da un’unica fonte (in un solo punto). Dal 1920 tale uso diviene abituale per il suono, con le trasmissioni radiofoniche, e dal secondo dopoguerra per l’immagine e il suono, con la televisione. L’innovazione consiste in una duplice eliminazione: i contenuti non sono materializzati in un oggetto e la distribuzione non avviene attraverso copie. I contenuti sono diffusi in tempo reale (il momento della trasmissione è quasi contemporaneo al momento della ricezione) via etere. Ciò non solo avvantaggia la comunicazione ma abbassa enormemente i costi di distribuzione e pone le premesse per il predominio radiotelevisivo nel sistema dei media. Tuttavia l’etere genera un serio problema economico: non ammette un’appropriazione esclusiva dei contenuti che possono essere colti da chiunque (purché possegga l’apparecchio adatto).
Nasce da questa impossibilità tecnica la peculiare forma economica della radiotelevisione: essa infatti si finanzia o soltanto attraverso la pubblicità (come negli Stati Uniti) o attraverso il canone, un tipo di pagamento che prescinde dalla scelta del consumatore e dalla quantità dei suoi consumi ma si applica come un’imposta relativa al possesso dell’apparecchio ricevente. A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, questa anomalia economica comincia a ridursi: l’evoluzione tecnologica (Tv via cavo, decodificatori di segnali diffusi via etere in forma criptata) consente di selezionare gli utenti che scelgono una determinata trasmissione e di commisurare, quindi, anche nella televisione, il pagamento al consumo effettivo. In questo modo nei media l’economia di mercato trova due differenti modalità per esprimersi, entrambe molto potenti: la vendita di copie (libri, cassette, giornali, CD e, in forma mediata, anche film che vendono l’accesso all’uso della copia) e la vendita di servizi su rete. Questi ultimi – che sono spesso più rapidi, economici e comodi – conoscono oggi un’enorme espansione sia nella gamma dell’offerta sia nella quantità dei consumi.

7. La rivoluzione digitale

Tale espansione è provocata soprattutto dalla rivoluzione digitale che alla tecnologia analogica finora usata per elaborare e trasmettere informazioni sostituisce protocolli numerici di crescente efficacia (grazie anche a metodi sempre più potenti di compressione dei dati). La grande diffusione delle reti digitali, che ormai collegano terminali dalle più diverse prestazioni (personal computer, televisori, telefoni mobili di terza generazione, games station), produce tre conseguenze di grande portata per l’e.d.m.: aumenta non solo la quantità delle vendite ma anche la varietà tipologica dei prodotti (dai games ai molteplici servizi diffusi via Internet, sono sempre più numerose le innovative combinazioni di contenuto cognitivo che trovano un pubblico su larga scala); diminuiscono i costi di distribuzione per molti media (per ora musica e news, in un prossimo futuro per libri e film) che su rete possono trasferirsi come nuda informazione e non devono più subire, per il trasporto e la vendita, costosi processi di materializzazione; conosce crescenti difficoltà il diritto d’autore che nel caso dei contenuti diffusi in rete non trova più, come facile punto di applicazione, la copia fisica.

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Note

Come citare questa voce
Pilati Antonio , Economia dei media, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (04/12/2024).
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