Antitrust

  • Testo
  • Bibliografia4
  • Voci correlate

1. Premessa

La nozione di a. presuppone il riferimento ad alcuni concetti di carattere economico-commerciale, essendo relativa al funzionamento del mercato come sede delle relazioni economiche. È peraltro evidente, sotto la più specifica prospettiva della comunicazione sociale, come tale nozione rivesta valenze del tutto particolari, legate alla specificità propria dell’informazione considerata nel suo aspetto di ‘bene’ oggetto di produzione e commercio.
Il ‘mercato’, come luogo di scambi economici, pur nella sostanziale libertà di principio, richiede una regolamentazione che contemperi le esigenze di garanzia della libertà di iniziativa economica e di tutela del consumatore (sancite dalla Costituzione italiana all’art. 41), assicurando la presenza di una pluralità di operatori economici e la libertà di scelta del consumatore. Per questo, gli ordinamenti contemporanei prevedono una serie di misure intese a evitare la formazione di monopoli (i quali sono ammessi in misura limitata in mano pubblica e per certificate esigenze di utilità generale) e a limitare le situazioni di oligopolio, ossia di presenza di un limitato numero di operatori economici, con contestuale formazione di posizioni dominanti, in grado di interferire sia con il libero gioco delle forze sul mercato, sia con l’esercizio della scelta economica da parte dei consumatori.
L’applicazione di tali nozioni tipicamente economiche all’attività di comunicazione sociale è evidentemente del tutto peculiare, in quanto tale attività costituisce in primo luogo realizzazione della libertà di espressione, esigenza inalienabile dell’individuo, tutelata costituzionalmente in quanto specificazione della più generale categoria della ‘manifestazione del pensiero’. D’altra parte, lo stesso fenomeno è suscettibile di considerazione economica, in quanto produttivo di un bene oggetto di consumo e di sfruttamento commerciale. La realtà contemporanea, lo sviluppo tecnologico e l’amplificazione del sistema delle comunicazioni mostrano come sia diventata primaria l’esigenza di un intervento di regolazione anche in tale ambito: l’impresa di informazione, operante all’interno di un ‘mercato’ tutt’affatto particolare, richiede infatti l’intervento di garanzia della concorrenza e dei suoi particolari consumatori-utenti, titolari di un diritto all’informazione costituzionalmente riconosciuto.

2. Trasparenza e pluralismo dell’impresa di informazione

L’impresa di informazione costituisce un soggetto il cui comportamento è valutabile secondo parametri economico-finanziari tipici di ogni operatore sui diversi mercati; ma è anche definita una impresa di tendenza, ossia un’attività economica avente per oggetto una funzione socialmente rilevante, in quanto incidente sulla formazione della pubblica opinione. La disciplina di tale attività non può conseguentemente limitarsi alla sola tutela della libertà di concorrenza e alla disciplina delle forze di mercato.

2.1. La tutela del diritto di e alla informazione.
L’efficienza dell’impresa, valutata secondo gli standard economico-finanziari, non può in questo caso far premio sulla circostanza di fatto che nell’impresa operano soggetti titolari di un diritto costituzionalmente sancito (il diritto di informazione) e che i consumatori del prodotto dell’impresa stessa sono essi stessi titolari di un diritto alla informazione, anch’esso di rango costituzionale (Diritto e comunicazione).
Per quanto riguarda i primi, essi risultano tutelati da un particolare ordinamento professionale, che si riflette sulla contrattazione collettiva e produce una serie di garanzie connesse allo svolgimento di una attività non soltanto intellettuale, ma che si concretizza sostanzialmente nell’esercizio professionale costante della libertà di espressione.
Con riferimento agli utenti-fruitori dell’informazione, essi risultano titolari di un diritto all’informazione corretta, imparziale, obiettiva; e non soltanto con riferimento alle modalità di presentazione della notizia, alla necessaria riconoscibilità del commento, alla separazione della informazione dall’opinione. Per rendere effettivo il diritto all’informazione, si rendono necessarie misure che assicurino la possibilità di una scelta fra una molteplicità di fonti di informazione, in un mercato della comunicazione sociale in cui tali fonti siano agevolmente identificabili quanto alla loro appartenenza.

2.2. La trasparenza dell’impresa di comunicazione.
L’esigenza di un’identificabilità degli organi di informazione e della riconoscibilità di una determinata impresa editoriale nella sua qualità di operatore economico, rappresenta la prima, fondamentale esigenza nella costruzione di un mercato della comunicazione: essa viene generalmente qualificata come ‘trasparenza’ del mercato.
Già l’art. 21 della Costituzione, al quinto comma, dispone che la legge possa prevedere gli strumenti per rendere noti i finanziamenti della stampa periodica: la rilevanza della trasparenza finanziaria della stampa era presente anche ai costituenti, data la peculiarità dell’attività della impresa di informazione e la possibilità concreta di movimenti finanziari occulti a fini di orientamento della pubblica opinione.
Il principio della trasparenza finanziaria, pur se sancito già agli albori della Repubblica italiana, ha trovato attuazione soltanto con la legge per l’editoria, n. 416 del 5 agosto 1981, che ha disposto il principio di pubblicità dei bilanci delle imprese editoriali e delle concessionarie di pubblicità operanti in prevalenza sul mercato della comunicazione di massa. Il medesimo meccanismo è stato riprodotto nelle due leggi sul sistema radiotelevisivo (legge 6 agosto 1990, n. 223, meglio nota come "legge Mammì" dal nome del ministro proponente; legge 31 luglio 1997, n. 249, istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Attualmente, più che con riferimento ai documenti finanziari in sé, il principio si applica a una serie di indicatori economici che le imprese operanti sul mercato delle comunicazioni sociali sono tenute a comunicare all’Autorità di settore.
La trasparenza del mercato della comunicazione, inoltre, deve attenere anche agli assetti proprietari dell’impresa: in sostanza, la trasparenza si concretizza nella predisposizione di misure che consentano l’informazione sulla proprietà dei mezzi di informazione e sui flussi finanziari a essa attinenti. L’ordinamento italiano ha risposto a tali esigenze mediante l’istituzione di un Registro nazionale della stampa, che nel 1981 ha dato attuazione all’esigenza sollecitata dalla norma costituzionale citata attraverso l’obbligo di comunicazione dei documenti finanziari attinenti alla gestione dell’impresa, come si è visto, nonché degli assetti proprietari aggiornati dei vari organi di comunicazione. Al primo Registro ha fatto seguito, nel 1990, l’istituzione del Registro nazionale delle imprese radiotelevisive, che ha esteso i medesimi obblighi di comunicazione ai soggetti titolari di imprese operanti nel settore della comunicazione audiovisiva (titolari di concessione per radiodiffusione sonora o televisiva, concessionarie di pubblicità, società di produzione o distribuzione di programmi). I due Registri sono stati unificati, dalla citata legge n. 249/97, nel Registro degli operatori di comunicazione.

2.3. Pluralismo e concorrenza nell’informazione.
Il secondo presupposto, legato alla necessità di garantire una scelta fra una molteplicità di fonti di informazione, è costituito dalla previsione di misure di salvaguardia della concorrenza sul mercato dell’informazione. In tale ambito si marca la differenza, infatti, con l’a. in generale.
La disciplina generale della libertà di concorrenza, infatti, ammette l’acquisizione di posizione dominante da parte di un operatore economico purché questo non metta in opera pratiche lesive della libertà di concorrenza. La logica conseguenza di tale ammissibilità, in linea di principio, è rappresentata dall’impossibilità di determinare, preventivamente e secondo criteri prestabiliti in via permanente, la sussistenza o meno di pratiche anticoncorrenziali e l’acquisizione di posizioni dominanti, ossia tali da assicurare a chi le detiene un potere di influenza sul mercato. Ne consegue una incisività delle funzioni dell’autorità di regolazione, chiamata a vigilare sulla regolarità delle pratiche economiche e a deliberare i casi in cui l’acquisizione di una posizione dominante porti con sé una lesione delle libertà di concorrenza e di scelta da parte dei consumatori.
Tale funzione dell’Autorità marca, peraltro, la differenza rispetto alla disciplina anticoncentrazione nelle comunicazioni di massa, in quanto in tale ipotesi non si reprime l’abuso anticoncorrenziale, ma la posizione dominante e la concentrazione in sé. I beni tutelati, infatti, nella garanzia del sistema dell’informazione, non sono limitati alla libertà di iniziativa economica e di concorrenza e alla tutela del consumatore; essi ricomprendono, altresì, il pluralismo delle fonti di informazione, il quale, afferendo all’esercizio del diritto di e alla informazione, tutelato dall’art. 21 Cost. quale diritto della personalità individuale, è considerato prevalente rispetto agli altri interessi, pur se di rango costituzionale.
La garanzia della concorrenza nel settore della comunicazione, pertanto, non è limitata alla prevenzione delle situazioni abusive, ma richiede che le concentrazioni di potere informativo che configurino una posizione dominante siano vietate di per sé, in quanto lesive del pluralismo informativo, come interesse degli operatori delle comunicazioni sociali (titolari del diritto di informare), dei destinatari dell’informazione stessa (portatori di un diritto a essere informati) e dello Stato (interessato alla corretta formazione della pubblica opinione).

3. Le singole discipline anticoncentrazione nei media

La nozione di pluralismo comporta, dunque, una limitazione dei fenomeni di concentrazione dei mezzi di comunicazione di massa in regime, per quanto possibile, di libera concorrenza e di mercato. Pur nella complessa definizione della concorrenzialità e dello stesso mercato della comunicazione, i legislatori contemporanei hanno individuato alcune soglie massime per ogni singolo mezzo di comunicazione. A presidio delle normative anticoncentrazione è stata preposta un’autorità appositamente costituita, il Garante per la radiodiffusione e l’editoria, oggi sostituito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

3.1. Editoria.
Con riferimento all’editoria a stampa, il legislatore italiano (nella già citata legge n. 416 del 1981, poi successivamente emendata a più riprese) ha anzitutto operato una significativa, quanto volontaria, omissione, riferendo la normativa esclusivamente al campo della stampa quotidiana e delle imprese concessionarie di pubblicità. In tale contesto, ai fini di prevenire la costituzione di oligopoli, la soglia di definizione della posizione dominante è stabilita dal legislatore in tre percentuali riferite alla tiratura annua: il 20% della tiratura nazionale, il 50 % delle tirature interregionali (nord-est, nord-ovest, centro, sud e isole), il 50% del numero di testate regionali (cfr. art. 4 legge 416/1981, sostituito dall’art. 3, legge 25 febbraio 1987, n. 67).

3.2. Radiotelevisione.
Con riferimento al sistema radiotelevisivo, la legge n. 249/97 ha modificato l’intero impianto della disciplina a., come previsto dalla legge Mammì, introducendo due categorie di limiti. La prima è rappresentata dal numero massimo di concessioni o autorizzazioni per reti o programmi radiofonici o televisivi rilasciabili allo stesso soggetto, che è fissato nel 20% del totale delle reti o programmi radiofonici o televisivi come determinato dal piano di assegnazione delle relative frequenze. La seconda categoria, invece, è riferita alle risorse del sistema delle comunicazioni, considerate nei diversi settori di attività in cui è ripartito il mercato (radio, Tv, via cavo e via satellite, pubblicità): uno stesso soggetto, o soggetti collegati, nell’esercizio di una delle attività del sistema non può concentrare risorse superiori al 30% del totale delle risorse complessive del relativo settore. Per quanto invece riguarda le concentrazioni multimediali, ossia intervenute tra media di diverso genere (elettronici e a stampa), i soggetti non possono raccogliere proventi superiori al 20% del totale delle risorse derivanti da pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, canone del servizio pubblico, ricavi di pay-Tv, vendite e abbonamenti di quotidiani e periodici, mercato dell’editoria elettronica destinata al consumo delle famiglie.

Bibliografia

  • Antitrust e mass media in AIDA, Annali Italiani del Diritto d'Autore, della Cultura e dello Spettacolo, Giuffrè, Milano 1995 (pubblicazione annuale, dal 1992).
  • BOGNETTI Giovanni, Costituzione, televisione e leggi antitrust, Giuffrè, Milano 1996.
  • GENTILI Aurelio, Le concentrazioni nella stampa quotidiana, Maggioli, Rimini 1985.
  • SALVATORE Vincenzo, Concorrenza televisiva e diritto comunitario, CEDAM, Padova 1993.

Documenti

Non ci sono documenti per questa voce

Note

Come citare questa voce
Votano Giulio , Antitrust, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
CC-BY-NC-SA Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
58