Antropologia culturale

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Edward Burnett Tylor (Londra, 1832 - Wellington, 1917), antropologo britannico considerato tra i fondatori dell’antropologia culturale.

1. Definizione e settori di studio

Il termine antropologia, derivato dal greco anthropos e logos (discorso sull’uomo), definisce oggi un vasto raggruppamento di studi sull’uomo, articolato al proprio interno in diversi ambiti disciplinari e settori di studio tra cui possiamo individuare l’a.c. come il settore delle scienze umane e sociali che ha come oggetto di studio i prodotti intellettuali e manuali dell’uomo come membro di una società.
Un esempio degli ambiti disciplinari è costituito da: antropologia criminale, antropologia fisica, antropologia filosofica (con anche antropologia teologica e antropologia biblica), a. c. (con antropologia sociale, etnologia, etnografia, storia della tradizioni popolari, demologia, folklore). I diversi confini tra questi ambiti disciplinari dell’antropologia sono costituiti dai diversi aspetti d’interesse e tagli di studio dell’oggetto ‘uomo’ e, con ciò, anche dalla diversità di metodi perseguiti.
All’interno dello specifico ambito dell’a.c., poi, si individuano settori di studio quali: antropologia biologica, antropologia dell’arte, antropologia cognitiva, antropologia del corpo, antropologia critica, antropologia del diritto, antropologia delle donne, antropologia economica, antropologia dell’educazione, antropologia della famiglia e della parentela, antropologia del gioco, antropologia dell’industria, antropologia linguistica, antropologia medica, antropologia politica, antropologia psicologica, antropologia della religione, antropologia del simbolismo, antropologia dello sviluppo, antropologia urbana, antropologia visiva, ecc. In particolare i confini interni dell’a.c. si distinguono più per le diverse competenze e articolazioni di studio che per altro, fino al punto che oggi in Italia tutti questi diversi settori dell’a.c. costituiscono un raggruppamento consistente e autonomo dell’antropologia, chiamato globalmente ‘discipline demo-etno-antropologiche’, ‘studi antropologici’ o, comunemente, ‘antropologia’.

2. Il concetto di cultura

Convenzionalmente la data di fondazione dell’a.c. come scienza è posta nel 1871, anno di pubblicazione dell’opera di E. B. Tylor, Primitive Culture, con la definizione sistematica e di comune riferimento per gli studiosi successivi del concetto di cultura. Tale data ‘spartiacque’ del periodo moderno dell’a.c. deriva dall’individuazione dei caratteri di una scienza in "sistema d’indagine dotato di oggetto, teoria e metodo". Come dice Tylor: "Cultura o civiltà, considerata nel suo più ampio significato etnografico, è quell’insieme complesso che comprende il sapere, le credenze, l’arte, i principi morali, le leggi, le usanze e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisite dall’uomo quale membro di una società".

2.1. Definizione.
Per ‘dinamica della cultura’ intendiamo tutti i processi di nascita, crescita, trasformazione e circolazione dei fatti culturali; la vita di una cultura che, appunto, non rimane mai ‘ferma’.

2.2. Dislivelli di cultura.
Chiamiamo ‘dislivelli di cultura’ la distanza culturale che in genere separa due culture e possiamo allora parlare anche di:
a) dislivelli esterni alla nostra società, quando ci riferiamo alla distanza tra la nostra cultura (osservante, dell’antropologo) e quella delle società extra-occidentali (osservate, oggetto di studio dell’antropologia);
b) dislivelli interni a una società quando ci riferiamo alla distanza culturale esistente tra diverse condizioni sociali all’interno di una società. Queste condizioni sono gli strati sociali subalterni e periferici di contro a quelli egemonici, le classi, i ceti, i gruppi sociali.
La formazione storica dei dislivelli interni di una cultura è in relazione a:
a) le difficoltà materiali della comunicazione;
b) la discriminazione culturale dei ceti egemonici nei confronti dei ceti subalterni;
c) la resistenza dei ceti periferici e subalterni alle imposizioni ‘civilizzatrici’ dei ceti egemonici (acculturazione forzata).

2.3. Il concetto di connotazione.
Nell’ambito dell’a.c. si chiama connotazione il rapporto di solidarietà, pertinenza tra un fatto culturale e un gruppo sociale: quando uno o più fenomeni vanno insieme con il gruppo sociale che ne è il portatore, quando si trovano sistematicamente legati, quando se c’è l’uno allora c’è sempre anche l’altro. Ma non è detto che un elemento culturale sia sempre nato nello strato sociale che ne risulta il portatore. Infatti, i fatti culturali subiscono:
a) una trasmissione nel tempo o tradizione;
b) una propagazione nello spazio o diffusione;
c) uno spostamento nella dimensione sociale. Questi tre processi di dinamica culturale possono trovarsi separati o anche collegati tra loro.
La trasmissione nel tempo è il passaggio da una generazione all’altra della cultura, all’interno di un gruppo omogeneo da un punto di vista socio culturale. Questo processo di eredità sociale viene detto tradizione e l’operazione con cui gli individui delle nuove generazioni vengono integrati nella cultura del loro gruppo si chiama inculturazione.
La propagazione nello spazio è la diffusione di un elemento culturale da una cultura all’altra e anche l’allargamento di una cultura nel suo complesso nello spazio, a volte anche a discapito delle altre culture precedentemente esistenti nel territorio. Questa diffusione avviene cioè in genere come processo di acculturazione e pone alcuni problemi sulle modalità e priorità di nascita dei fatti culturali.
Lo spostamento nella dimensione sociale: quando le concezioni e i comportamenti nati in un gruppo o strato sociale si allargano ad altri gruppi o strati che li adottano (trasformandoli più o meno) e che li conservano anche quando a volte sono stati abbandonati dallo strato di origine. Questo fenomeno si chiama circolazione sociale dei fatti culturali. In particolare, lo spostamento o circolazione può avvenire come: a) discesa (dall’alto) quando il processo avviene dai ceti dotati di più potere e/o prestigio; b) ascesa (dal basso) quando il processo avviene in direzione inversa. Inoltre, dato che chiamiamo folklore la cultura degli strati sociali subalterni, quando un fatto culturale all’origine si verifica in uno strato sociale dominante (antecedente extra-folklorico) e passa poi per discesa a uno strato sociale subalterno, quest’ultimo se ne appropria e lo caratterizza come proprio (folklorizzazione).

3. Presupposti storico-culturali e scuole dell’antropologia

I presupposti storico-culturali che hanno consentito la nascita dell’Antropologia possono riassumersi in: 1) affermazione o espansione di nuovi settori disciplinari moderni, come l’antropologia fisica, l’archeologia, la linguistica, la geografia; 2) scoperte rilevanti in queste nuove scienze riguardo la nascita dell’uomo, il passato preistorico e storico dell’uomo occidentale, i grandi e ricchi spazi africani; 3) predominio nei diversi studi e settori scientifici del tema delle ‘origini’; 4) allargamento degli interessi scientifici oltre le civiltà del Mediterraneo.
Scuole e teorie classiche in antropologia sono: l’evoluzionismo, il diffusionismo, il funzionalismo, lo strutturalismo. Alla base delle differenze interne tra queste ci sono questioni di metodo, di concezione dei caratteri dell’oggetto di studio e di concetti esplicativi delle dinamiche storico-sociali.

3.1. Evoluzionismo.
Si chiamano evoluzionistici quegli indirizzi che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, assumono come punto centrale per l’analisi della formazione della dimensione naturale e culturale della realtà la teoria dell’evoluzione, formulata per la prima volta in termini sistematici da H. Spencer e culturali da Darwin, rispettivamente in riferimento alla società umana e al regno della natura.
Al di là delle differenze teoriche all’interno dei diversi autori e settori di studio, il concetto di evoluzione viene inteso nel significato di sviluppo di un elemento da forme iniziali e semplici ad altre successive e complesse. Inoltre, il concetto di evoluzione intende lo sviluppo di un elemento realizzato attraverso processi naturali di differenziazione della funzione e complessità della struttura, in modo da riconoscere vari stadi di sviluppo dell’elemento stesso.
Il principale tema d’indagine degli indirizzi evoluzionistici è costituito dall’origine delle istituzioni e più in genere dei fatti culturali e dalla loro classificazione secondo l’arco storico da forme semplici a forme complesse. In particolare l’attenzione è rivolta alle istituzioni matrimoniali e parentali (J. Bachofen, J. F. MacLennan, H. Maine, L. Morgan, E. Westermarck), alla magia e religione (M. Müller, E. Tylor, J. Frazer), ai testi e costumi della tradizione popolare europea (M. Müller).

3.2. Diffusionismo.
Si dicono diffusionistici gli indirizzi teorico-metodologici che intendono spiegare i fenomeni di produzione culturale soprattutto in termini di propagazione nello spazio, da una cultura a un’altra. Iniziate verso la fine dell’Ottocento, le varie correnti diffusionistiche raggiungono il loro massimo sviluppo durante i primi trent’anni del Novecento, con esiti piuttosto diversi in Europa e negli Stati Uniti. Il diffusionismo presenta ovunque una dichiarata volontà di opporsi decisamente alle tesi evoluzionistiche di sviluppo univoco della cultura e alla relativa teoria degli stadi fissi.
Partendo dal presupposto di una fondamentale rarità del fenomeno di invenzione in tutte le società umane, il verificarsi di fatti culturali simili o identici, negli stessi o in diversi periodi storici e in luoghi anche distanti fra loro, viene attribuito dagli indirizzi diffusionistici a fenomeni di contatto e propagazione e spiegato con la teoria monogenetica: la diffusione, cioè, dei fatti culturali esistenti parte sempre da un numero molto limitato di punti di origine, al limite, da un punto solo. I diffusionisti si propongono di ripercorrere le aree e i tempi di diffusione dei fenomeni osservati e di pervenire così all’individuazione dei loro centri e forme di origine.
Tra i principali esponenti di questo indirizzo si possono annoverare: 1) la cosiddetta scuola ‘storico-culturale’ di Vienna; 2) il metodo storico-geografico utilizzato soprattutto per lo studio diffusionistico di fiabe, proverbi e indovinelli di tradizione orale, di cui tende a tracciare tutti gli itinerari possibili di migrazione e a stabilire, mediante la comparazione delle varianti, quale e dove sia stato il testo originario o archetipo ( J. e K. Krohn, A. Aarne, von Sydow, L. Bodker, A. Krappe, S. Thompson, A. Taylor); 3) la geografia folklorica di R. Menendez Pidal che, attraverso l’esame delle relazioni intercorrenti fra le aree di diffusione delle versioni e delle varianti, risale a precise indicazioni sulla storia dei singoli testi; 4) la linguistica, che resta il campo che meglio è riuscito a elaborare precisi modelli interpretativi dei fenomeni di diffusione spaziale (in particolare l’italiano M. Bartoli).

3.3. Funzionalismo.
Gli indirizzi funzionalistici segnano, a partire dagli anni Venti, una svolta significativa nel campo delle scienze umane e sociali per l’acquisizione del taglio di analisi sincronica dei fatti socioculturali e per il conseguente abbandono della prospettiva storica o diacronica, tipica questa degli altri e precedenti indirizzi di studio dello stesso periodo.
Gli indirizzi funzionalistici nel loro complesso infatti sono rivolti allo studio non della storia dei singoli fatti, elementi, istituzioni sociali, ecc., ma delle relazioni in un determinato tempo e contesto tra fatti, elementi, istituzioni sociali, compresenti e simultanei (analisi sincronica), presupponendo una loro non casualità, cioè una loro ‘sistematicità’ e un rapporto di interdipendenza, di ‘funzionalità’ tra essi.
Alla base dell’elaborazione teorica di questi indirizzi sono i concetti di sistema e funzione: la scuola anglosassone (B. Malinowski, A. R. Radcliffe-Brown) intende il primo in analogia con i sistemi biologici e ne interpreta le manifestazioni in conformità con le scienze naturali e pensa il secondo come il ruolo svolto dai singoli elementi per il funzionamento del sistema; il Circolo Linguistico di Praga (N. Trubeckoj, P. Bogatirev, R. Jakobson), invece, riconosce al sistema carattere simbolico e intende la società come rete di rapporti comunicazionali, interpretandone le manifestazioni in analogia con le scienze linguistiche e semiologiche, e pensa la nozione di funzione in senso matematico quale rapporto costante tra elementi variabili.
Il versante etno-antropologico del funzionalismo è caratterizzato dall’esperienza del rapporto diretto con l’oggetto di studio attraverso la ricerca diretta sul campo: questo carattere distintivo, oltre a un distacco dalle impostazioni precedenti degli ‘antropologi da tavolino’, segna anche una nuova e diversa collocazione delle discipline etno-antropologiche nel contesto politico del rapporto dell’Occidente con i Paesi colonizzati. La coincidenza tra l’oggetto degli studi (le ‘popolazioni primitive’) e l’oggetto del dominio economico e politico da parte dell’Occidente (i popoli sottomessi e colonizzati) caratterizza ulteriormente il rapporto tra formulazioni teoriche degli studi, prassi di ricerca e finalizzazione della scienza: nasce così l’antropologia ‘applicata’ al governo delle popolazioni colonizzate.

3.4. Strutturalismo.
Nel complesso lo strutturalismo ritiene compito delle scienze dell’uomo condurre un’analisi delle ‘strutture’, cioè dei rapporti di reciproca interazione e determinazione degli oggetti appartenenti ai vari ambiti della ricerca, al fine di creare dei modelli di interpretazione del reale.
Con il termine ‘struttura’ si intende un insieme di elementi isolabili all’interno di un sistema, perché interrelati e ordinati e, quindi, differenziati da quelli di altre strutture in modo che quelli ‘nella’ struttura siano diversi da quelli ‘fuori’ della struttura. Infatti il valore di ciascun elemento della struttura è determinato dai rapporti che esso ha con gli altri elementi appartenenti alla stessa organizzazione strutturale. Inoltre il rapporto tra struttura e sistema è da precisare in questi termini generali: per sistema si intende un insieme più ampio e con caratteristiche di ordine molto più generiche di quelle della struttura; in sostanza il sistema sta alla struttura in rapporto di inclusione e la struttura può intendersi come una realizzazione settoriale del sistema.
Le idee forza dello strutturalismo si trovano nella riflessione teorica di L. Althusser, di C. Lévi-Strauss, di M. Foucault: la polemica con lo storicismo, l’illusione che la semiotizzazione dell’oggetto si convalidi nel rigore delle sue operazioni logiche, il disconoscimento di ogni funzione teoretica e pratica del soggetto, il rifiuto di ogni giudizio di valore, di ogni proposizione etica o estetica non immediatamente riducibile a enunciati logici.
Allo strutturalismo si possono anche ricondurre le riflessioni di Saussure sul carattere strutturato della lingua, le tesi del Circolo di Praga che a Saussure si rifà in continuità di problematiche, le ricerche di V. Propp sulla morfologia.
Negli anni Quaranta anche il settore etno-antropologico degli studi sociali si inserisce in questa problematica con M. Mauss. Questi, elaborando i concetti di "fatto sociale totale" e di "scambio", afferma che i vari fenomeni sociali non hanno tanto interesse in sé, per il loro contenuto, ma perché riconducibili a sistemi di scambio sempre e indipendentemente dall’oggetto dello stesso scambio. In questi termini, se lo scambio costituisce il "fatto sociale totale", i fatti sociali sono analizzabili per i caratteri formali comuni all’interno di una stessa cultura o, comparativamente, fra culture diverse. Si tratta cioè di spiegare i fatti socio-culturali nei loro rapporti costanti e come simboli nella comunicazione sociale, utilizzando in sostanza il concetto logico-matematico di funzione.
Un richiamo esplicito alla linguistica strutturale (Linguistica) è attuato dall’etnologo culturale Lévi-Strauss in questo stesso periodo. Con il concetto di ‘struttura’ Lévi-Strauss indica i rapporti interni, stabili, caratteristici di un oggetto e pensati secondo il principio di priorità logica del tutto sulle singole parti, in modo che nessun elemento della struttura può essere compreso al di fuori della posizione occupata nella configurazione totale e in modo che la stessa configurazione totale può persistere invariata nel tempo nonostante le modificazioni degli elementi al suo interno, elementi anzi generati da essa stessa. In questo quadro l’analisi deve avere come primo obiettivo la ricerca del sistema soggiacente al processo dato all’esperienza: là dove l’esperienza comune riconosce avvenimenti e cose, l’analisi strutturale descrive relazioni considerate primarie rispetto ai termini stessi costitutivi dei fenomeni, termini che appaiono solo come intersecazione di relazioni.
Con questo procedimento d’analisi Lévi-Strauss introduce il concetto di ‘modello’, astrazione di primo grado, accanto alla struttura: astrazione di secondo grado, ciò che i modelli hanno in comune, l’ordine comune ai vari ordini. "Il principio fondamentale è che il concetto di struttura sociale non si riferisce alla realtà empirica, ma ai modelli costruiti in base a essa. Le relazioni sociali sono la materia prima impiegata per la costruzione dei modelli che rendono manifesta la struttura sociale".
Ma per Lévi-Strauss le strutture sociali, oltre a essere le condizioni costitutive di una data società, sono anche le condizioni dell’intelligibilità della stessa società. Sono cioè le strutture a determinare la possibilità e le modalità della loro stessa conoscenza da parte dell’etnologo, in quanto rette da strutture psichiche inconsce, dallo "spirito umano": in questo d’altronde risiede per Lévi-Strauss la garanzia di oggettività in quanto l’inconscio "senza farci uscire da noi stessi, ci pone in coincidenza con forme di attività che sono, insieme, nostre e altrui, condizioni di tutte le vite mentali di tutti gli uomini di tutti i tempi".

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Come citare questa voce
Squillacciotti Massimo , Antropologia culturale, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/12/2024).
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