Qualità

  • Testo
  • Bibliografia14
  • Voci correlate
Il binomio qualità/quantità costituisce l’oggetto di un’opposizione tradizionale in filosofia. I due concetti sono in realtà profondamente connessi l’uno con l’altro. Nella conoscenza scientifica tendente a rendere intelligibili i fenomeni, si sono affermate due linee principali di ricerca: quella pitagorico-platonica, che riconduce la diversità qualitativa del mondo alla diversità qualitativa originaria degli enti matematici (quantità numeriche), e quella fechneriana, che cerca di rappresentare q. ‘soggettivamente’ definite mediante quantità ‘oggettivamente’ determinate. La riduzione della q. alla quantità incontra il vincolo indotto dalle ‘categorie dello spirito umano’.
Con buona approssimazione la q. si può comunque definire come una certa modalità soggettiva che tocca la percezione di un oggetto o di un processo esterno.
In economia, il binomio q./quantità interessa elettivamente il ‘prodotto’. Dal punto di vista pratico, il problema è se e quando la ‘produzione di massa’ significhi un abbassamento di q., mentre dal punto di vista teorico ci si chiede se la nozione di q. possa essere definita senza ricorrere a quella di quantità. Se nell’uso corrente q. è ciò che identifica, distingue, diversifica una cosa dall’altra, vuol dire che i termini ‘identità’, ‘distinzione’ e ‘diversità’ evocano valori positivi; così diventa più chiaro il significato di ‘prodotto di q.’. La moderna tecnologia ha affinato una nozione di q. che consentisse un ‘sistema di misurazione’ dell’idoneità del prodotto allo scopo per cui è realizzato: l’affermazione sul mercato e la soddisfazione del consumatore. La q., ancorata a caratteristiche soggettivamente predefinite, si connette dunque con la quantità senza essere riducibile a essa.
Non è stato, però, il solo progresso tecnologico a promuovere l’introduzione dei ‘requisiti di q.’. Oltre ai produttori, sono interessati alla fissazione di regole anche i consumatori e questi possono avere punti di vista radicalmente differenti dai primi. Diremo di più: l’insieme dei requisiti considerati essenziali per la q. del prodotto è mutato proprio a partire dai consumatori, via via che essi diventavano più numerosi provenendo da strati sociali diversi dai precedenti. Inoltre la dinamica della domanda, con differenziazione di gusti e mode, ha stimolato l’offerta di nuovi prodotti.
Storicamente il problema della q. è emerso nei passaggi dal lavoro manuale, artigianale, alla piccola industria e, poi, alla produzione di massa. A ogni passaggio diventava cruciale la dialettica tra vecchio e nuovo, l’opposizione tra due affermazioni di riferimento: "i prodotti nuovi sono sempre i migliori" vs. "oggi i prodotti non sono più come quelli di una volta". La pubblicità commerciale sbandiera generalmente la prima.

1. La q. televisiva

Consideriamo il caso oggi più dibattuto di applicazione del criterio di q. alla comunicazione: la ‘q. televisiva’. Le ascendenze filosofiche ed economiche consentono di metterla a fuoco. La definizione soggettiva della q. e la sua misurabilità mediante quantità si ripropongono con tutti i limiti di conciliazione di cui si è già detto. La produzione di massa trova il suo corrispettivo nella comunicazione di massa; la q. del prodotto nella q. della comunicazione, intesa come sistema, emittente o singolo messaggio. La q. televisiva diventa la q. differenziale del sistema televisivo, di una rete, di un palinsesto o di un programma.
Anche nell’analisi/valutazione risalta la dialettica tra q. e quantità. In campo c’è un soggetto che percepisce un oggetto misurabile con unità differenziali. E come nella storia economica sono stati i consumatori a mutare, fase dopo fase, i requisiti considerati essenziali per la q., così nella q. della comunicazione e nella q. televisiva diventa nodale la ‘q. percepita’ dall’utente.
A partire dagli anni Sessanta la ricerca sulla q. in televisione ha avuto origini e motivazioni diverse. In Giappone è nata in seguito alle critiche al rating come unico criterio di valutazione dei programmi. In altri Paesi (Gran Bretagna, Canada) è stata dettata dalla legge. In altri ancora, l’improvviso affiancarsi delle emittenti commerciali alla Tv pubblica ha aperto un dibattito sul rapporto tra audience e q. Così è avvenuto in Italia, dove la Rai, prima autonomamente, poi sospinta dal contratto di servizio (che richiede di privilegiare certi generi), ha inteso superare il mero confronto quantitativo sull’ascolto.
Un principio è generalmente condiviso: la q. in televisione non si valuta in base a elementi fissi, bensì al "rapporto tra alcune caratteristiche, da una parte, e standard fondati su norme e valori di una data società, dall’altra" (Rosengren, 1991). Norme e valori sono di volta in volta inquadrati in teorie: autoritaria, della libera espressione, della responsabilità sociale, partecipativa, ecc. Ma l’analisi della q. televisiva chiama in gioco le relazioni che per il contenuto si istituiscono con soggetti o oggetti ‘concreti’ del processo comunicativo: contenuto/realtà, contenuto/telespettatore, contenuto/esperti, contenuto/emittente. I criteri della q. televisiva sono stati studiati, tra gli altri, da Lasagni e Richeri (1996), al cui lavoro sostanzialmente ci riferiamo per le citazioni degli autori di studi che seguono. Detti criteri trovano un fondamentale termine di riferimento nella serie Quality Assessment of Broadcast Programming, ricerca internazionale promossa e coordinata dal Broadcasting Culture Research Institute della NHK e pubblicata in annualità della rivista Studies of Broadcasting (1991, 1992, 1993, 1994).

2. La diversità come fattore di q.

Ai quattro fattori di Rosengren sembra di dover premettere, quasi motore di ricerca, la ‘diversità’. Misurare la diversificazione di sistemi televisivi o palinsesti (es. numero di reti, ore di trasmissione, ecc.) significa reinserire la quantità nella q. cercando di oggettivare un criterio che nasce da esigenze soggettive. Blumler (1986, 1991, 1992) distingue sette ‘dimensioni’ della diversità: contenuti, generi, palinsesti (verticale e orizzontale), stile, risorse, pubblico di riferimento, q. (secondo obiettivi). Dominick e Pearce (1976), partendo da indici di ‘concentrazione’ (quanti programmi per ciascuna categoria) e di ‘omogeneità’ (quanto le reti si rassomigliano nella programmazione), hanno verificato il declino della diversificazione televisiva USA nel ventennio 1953-1974 in coincidenza con accordi di cartello tra i network; conferme vengono da Litman (1979) che nel successivo biennio 1975-76, caratterizzato dal rilancio del mercato, ha individuato una maggiore diversificazione dei programmi. Gli inglesi Wober e Kilpatrik (1988) traggono da una loro ricerca su Channel 4 il risultato che "l’introduzione di un nuovo canale non accresce automaticamente la possibilità di scelta tra diversi programmi", poiché con l’aumento delle ore di offerta si moltiplicano anche le ‘sovrapposizioni’. Ancora Litman (1979, 1992), approfondendo il rapporto tra domanda e offerta, verifica come i nuovi scenari multirete (Tv via etere, cavo, satellite, pay, on demand, ecc.) impongano di spostare l’attenzione dalla "quantità massima di programmi disponibile" alla "quantità effettiva, ottimale, che l’utente può consumare".

3. La q. descrittiva, relazione tra contenuto e realtà

L’analisi del contenuto è la metodologia più utilizzata per arrivare a giudizi sulla q. televisiva (Content analysis). Vale per i programmi di fiction, ad esempio nell’indagare i messaggi meno evidenti, i modi di rappresentazione delle donne, dei ceti sociali, delle minoranze. Vale soprattutto per i programmi informativi, cui si richiede di rappresentare più direttamente la realtà. Questa, nonostante le apparenze, è un concetto di difficile definizione: la sua ‘conoscenza obiettiva’ è praticamente irraggiungibile, ci si deve accontentare di un ‘grado di conoscenza intersoggettivamente valido’. Particolare attenzione alla ‘capacità descrittiva’ è posta dalle televisioni con forti tradizioni di servizio pubblico; così è stato per la Rai dopo riforma (1975), allorché un’apposita struttura, la VQPT-Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi, fu deputata all’analisi dei programmi. Per Rosengren (1991) la relazione tra informazione e realtà è indagabile attraverso due tipi di dati: provenienti dall’interno delle comunicazioni (intra media data) o dall’esterno (extra media data, es. gli standard rispetto ai quali analizzare le capacità descrittive). In questa prospettiva Hvitfeld mette in relazione tre ordini di fenomeni: i fatti (pre media data), le notizie presentate (intra media data), le notizie percepite e ricordate dal pubblico (post media data). Una bassa q. descrittiva del mezzo si traduce in diminuzione della q. dal punto di vista del fruitore. La maggior parte delle ricerche dimostra che i gruppi sociali più deboli (bambini, anziani, operai, ecc.) tendono a essere sotto-rappresentati, confermando come una politica di programmazione soddisfacente dovrebbe fondarsi sul concetto di diversità.

4. La q. dal punto di vista del telespettatore

I giudizi espressi dagli utenti sono sempre stati ampiamente indagati. Non tutte le ricerche riguardano però la q. televisiva: la maggior parte si limita alla preferenza del pubblico per questo o quel programma. Un notevole sforzo teorico e metodologico è stato fatto da S. Ishikawa (1963-1970), il quale indica tre caratteri ottimali di una ricerca sulla q. dal punto di vista del telespettatore: fornire informazioni utili come criteri-guida per la produzione di programmi; fondarsi sui pareri degli utenti; essere di facile applicazione. È quasi impossibile soddisfarle tutte insieme, per cui si cerca di privilegiarne una o due. Nei sette anni della ricerca, tra i pochi criteri rimasti invariati risalta la ‘soddisfazione del telespettatore’: punto di partenza per capire i meccanismi psicologici attraverso cui si può giungere a un giudizio, si misura con i parametri di appeal points (elementi di richiamo, effetti che il produttore pensa di ottenere con un programma) e composing factors (elementi costitutivi, items come livello tecnico, scelta degli interpreti, efficacia nei ruoli, ecc., definiti integrando le intenzioni dei produttori e le percezioni degli utenti). A conclusione del suo percorso, Ishikawa (1991) sottolinea le difficoltà e i limiti delle ricerche sulla q. in base al giudizio dei telespettatori, la cui misurazione coinvolge complessi metodi di indirizzo psicologico. Ritorna il leit motiv: finché le opinioni verranno espresse numericamente, sarà impossibile evitare la confusione tra interpretazioni qualitative e quantitative. Per quanto concerne il rapporto tra q. e ‘gradimento’ Gunter e Wober (1992) hanno accertato la non correlazione tra le rispettive scale di valori.

5. La q. dal punto di vista degli esperti

Gli addetti ai lavori, professionisti o esperti, hanno una posizione privilegiata e particolare competenza per valutare la q. nella programmazione televisiva. Albers (1992) ne ha sondato negli USA quattro categorie: autori di testi dedicati alla formazione dei producers, giurie di premi e concorsi per programmi, critici televisivi, producers. Tra gli autori di testi si riscontra una scarsa attenzione alla q., tranne una serie di elementi utili come parametri tecnici. La seconda categoria, quella delle giurie, ha consentito invece di raccogliere dagli schemi di selezione e classificazione alcuni criteri di misurazione, raggruppabili in tre tipologie: contenuti (originalità, autorevolezza, proprietà, ecc.), forma (ripresa, suono, luci, regia), interazione forma/contenuto (creatività, artisticità, presentazione, ecc.). Quanto ai critici televisivi, che i programmisti tengono in particolare considerazione oltre all’audience, non analizzano profondamente i contenuti, non giudicano l’arte televisiva, in breve non sono una fonte di valutazione scientifica. Infine, i producers risultano una categoria assai variegata sia professionalmente sia come approccio alla q. I loro giudizi possono dare preziose indicazioni a livello soggettivo.

6. La q. dal punto di vista dell’emittente

Ogni broadcaster concepisce nel proprio ambito, più o meno chiaramente, un’idea sul livello di q. che deve sottendere ai propri programmi. Essa dipende da diversi fattori e soprattutto dalla natura pubblica o privata dell’impresa. La maggior parte delle emittenti non ha esplicitato parametri di q. né come obiettivi né come intenzioni. Al di là di denominatori comuni, un termine di paragone può derivare da casi esemplari. Il tema è stato affrontato palesemente dai più importanti servizi pubblici del mondo. La BBC ha inquadrato l’obiettivo ‘programmi di alta q.’ nel ruolo che si è prefissa (1992) per la nuova era televisiva, svolgendo in proposito un’indagine a tre facce: attese e bisogni dei telespettatori nei suoi confronti, previsioni di offerta da parte di altri broadcasters, elementi creativi da introdurre nei programmi per corrispondere meglio alla mission istituzionale. In definitiva la strategia per l’alta q. deve svilupparsi in quattro direzioni: a) informare il dibattito nazionale, b) esprimere la cultura e l’entertainment britannico, c) creare opportunità per l’educazione, d) far comunicare la Gran Bretagna con l’estero.
La televisione pubblica giapponese, NHK, ha indicato (1992) tre criteri per migliorare la q. della sua programmazione: ‘familiarità’ (assumere il punto di vista del grande pubblico), ‘profondità’ (produrre programmi che lascino un’impronta di simpatia), ‘diversità’ (offrire varietà di canali, più generi all’interno di un palinsesto, informazione originale e autentica). La rilevanza particolare della ‘diversità’ è sottolineata da Ishikawa e Muramatsu, secondo i quali ogni fruitore del servizio televisivo dovrebbe avere: a) ugual diritto a programmi rispondenti ai propri gusti e interessi (generali e segmentati), b) ampio ventaglio di opzioni tra cui scegliere, c) opportunità di venire in contatto con altri individui dalla personalità e dai punti di vista differenti.

7. Il triangolo della q. e l’Indice di Qualità e Soddisfazione (IQS)

In Italia la problematica e la ricerca sulla q. televisiva ha avuto impulso negli anni Novanta, per iniziativa della Rai. Si ricordano i contributi di Sartori (1993), Lasagni e Richeri (1996), Bossi (1998). Per superare lo iato tra le teorie sulla q. del prodotto industriale e quelle sulla q. televisiva Bossi propone come punto di partenza il ‘triangolo della q.’, insieme delle componenti in interrelazione: ‘q. attesa’(da parte del pubblico), ‘q. erogata’(stabilita in base a standard, programmata e verificata dall’emittente), ‘q. percepita’ (interiorizzata ed espressa dagli utenti). Sulle prime due è vasto il panorama delle ricerche di mercato e di content analysis; a coprire la lacuna sulla terza sono subentrate le rilevazioni IQS che la Rai ha condotto a partire dal 1997. Metodologie innovative pongono il servizio pubblico italiano all’avanguardia nella ricerca sulla q. televisiva. Nell’analisi ‘q.’ e ‘soddisfazione’ sono la risultante di una serie di percezioni che abbracciano caratteristiche del prodotto e reazioni psicologiche del destinatario. Le une e le altre si connotano diversamente secondo il ‘genere’: un programma sarà considerato di q. soprattutto se giudicato chiaro e obiettivo, mentre un altro dovrà essere in primo luogo divertente e interessante. L’indicatore riguarda sia la q. percepita overall, relativa alla trasmissione nel complesso, sia attributi singoli, ciascuno dei quali concorre, con un suo peso, a determinarlo. La misurazione del giudizio su questi avviene mediante una scala di valori a sette posizioni, dal polo negativo al polo positivo. Un’analisi di correlazione tra giudizio overall e giudizi sui singoli fattori evidenzia l’importanza relativa di ciascuno, consentendo di gerarchizzarli genere per genere. A sua volta il confronto tra indicatori di ‘q.’ e di ‘importanza’ chiarisce punti di forza e di debolezza dei singoli generi.
Operativamente l’analisi si avvale di uno strumento interattivo (I-Kit) collegato al televisore delle famiglie campione che, utilizzando pagine di Televideo, trasmette in sovrimpressione le domande di un questionario riferito al programma che si sta seguendo e trasferisce le risposte, via telefono, al Centro di elaborazione. L’interazione con I-Kit avviene mediante telecomando che posiziona tasti-freccia sulla risposta desiderata. Le risultanze dell’IQS, concernenti la q. percepita, vengono a integrare un sistema informativo che comprende, inoltre, elementi di analisi della q. attesa, della q. erogata e dati di ascolto.

Bibliografia

  • ALBERS R., Quality in television from the perspective on the professional program maker in «Studies on Broadcasting», 28 (1992).
  • ALBERS R. - BUSSELLE R. - LAROSE R. - LITMAN B., Production, technological, economic and audience factors in assessing quality in Public Service Television in «Studies of Broadcasting», 27 (1991), pp.133-190.
  • ARGANTE E. - PADOVANI G. - TRIANI G. (ed.), La buona TV, Lupetti, Milano 1999.
  • BLUMLER Jay G. - NOSSITER Thomas J.. (eds), Broadcasting finance in transition. A comparative handbook, Oxford University Press, Oxford/New York 1991.
  • BOSSI V., La qualità televisiva. 1, 2, o IQS in «Problemi dell'informazione», 23 (1998) 3, pp.388-399.
  • DOMINICK J. R. - PEARCE M. C., Trends in network primetime programming in «Journal of Communication», 26 (1976) 1.
  • GUNTER Barrie - WOBER Mallory, Reactive viewer. Review of research on audience reaction measurement. Independent Television Commission research monographs series, John Libbey, London 1992.
  • HILLVE P. - MAJANEN P. - ROSENGREN K.E, Quality in programming: commercial and public service diversity in «European Journal of Communication», 12 (1998) 3, pp.291-318.
  • ISHIKAWA S., Quality assessment of television, Luton University Press, Luton 1996.
  • LASAGNI Cristina M., Televisione e qualità. La ricerca internazionale, il dibattito in Italia, RAI-ERI, Roma 1996.
  • LITMAN B. R., The television networks. Competition and program diversity in «Journal of Broadcasting», 23 (1979), pp.393-409.
  • LITMAN B. R., Economics aspects of program quality: the case for diversity in «Studies of Broadcasting», 28 (1992) 3, pp.9-26.
  • Rosengren K. E. (ed.), Media effects and beyond. Culture, socialization and lifestyle, Routledge, London 1994.
  • SARTORI Carlo, La qualità televisiva, Bompiani, Milano 1993.

Documenti

Non ci sono documenti per questa voce

Note

Come citare questa voce
Gagliardi Carlo , Qualità, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (29/03/2024).
CC-BY-NC-SA Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
1023