RAI
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Autore: Adriano Zanacchi
La Rai Radiotelevisione Italiana è la società concessionaria in Italia del servizio pubblico radiotelevisivo. È subentrata nel 1944 all’EIAR (dapprima con la sigla Radio Audizioni Italia, poi dal 1954 con quella attuale), a sua volta erede nel 1928 dell’URI (Unione Radiofonica Italiana) che nata nel 1924 aveva tenuto a battesimo il servizio radiofonico. (Sull’attività e sulle vicende recenti della Rai, si vedano le voci Politica e informazione. 4. Il caso radiotelevisivo in Italia e Radiodramma).
La Rai gestisce tre reti televisive, tre reti radiofoniche, televideo, un’offerta satellitare di più canali telematici, Rai News 24, servizi aggiuntivi regolati da convenzioni ad hoc con lo Stato (come le trasmissioni per l’estero e le trasmissioni nelle lingue delle minoranze per le zone di confine). Altre attività sono in parte affidate a società controllate (come Fonit-Cetra, Rai Trade, Sipra, Rai Sat, Rai Way, Rai Corporation, Rai Net, Rai Cinema). La creazione di nuove società unita alla sperimentazione di nuove tecnologie e a una politica delle alleanze è oggi lo strumento chiave per una presenza rilevante della Rai anche nelle offerte connesse con la convergenza del broadcasting, delle telecomunicazioni e dell’informatica.
Giuridicamente la Rai si configura come società per azioni di interesse nazionale ai sensi dell’art. 2461 del Codice Civile. È a totale partecipazione pubblica (le sue azioni possono appartenere solo allo Stato, a enti pubblici e a società a totale partecipazione pubblica). Un referendum del 1995 ha tuttavia aperto la strada a una privatizzazione (ingresso di capitale privato), ferma restando la natura pubblica del servizio esercitato.
L’attività della Rai è regolata dalla legge 14.4.1975, n. 103, integrata da successive disposizioni; ma non è poi stata organicamente definita in rapporto alla introduzione del sistema radiotelevisivo misto, pubblico-privato, affermatosi di fatto e poi disciplinato dalla legge 6.8.1990, n. 223 (cosiddetta "Legge Mammì"). La legge 25.6.1993, n. 206, che ha modificato i criteri di nomina, le competenze e le funzioni dei vertici aziendali, ha peraltro espressamente previsto l’emanazione, entro due anni dalla sua entrata in vigore, di una "nuova disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo, nel quadro di una ridefinizione del sistema radiotelevisivo e dell’editoria nel suo complesso". Ma questa disciplina non è stata ancora stabilita mentre sta per uscire questo Dizionario. La legge del 1975, chiamata comunemente "legge di riforma della Rai", aveva inteso aprire la gestione del servizio pubblico alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali del Paese, col passaggio del suo controllo dal Governo (in pratica, i partiti della maggioranza) al Parlamento, attraverso la Commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In realtà, concepita inizialmente come ‘apertura democratica’ in grado di riprodurre i rapporti di forza tra partiti del governo e principale partito di opposizione (allora il PCI), la ‘riforma’ non è riuscita a eliminare, nella pratica, il fenomeno della lottizzazione, cioè della spartizione degli incarichi in base a ‘quote’ di appartenenza politica anziché al criterio della competenza.
La concessione del servizio pubblico in esclusiva alla Rai è stata fissata fin dall’inizio tramite convenzione con lo Stato, periodicamente rinnovata. L’ultima convenzione, di durata ventennale, è stata sottoscritta dalla Rai e dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (oggi ‘delle Comunicazioni’) il 15 marzo 1994 e approvata con DPR il 28 marzo 1994. Sulla base di quest’ultima convenzione è stato introdotto un ‘contratto di servizio’ di durata triennale (il primo data dal 1997). Nel 1976 la Corte Costituzionale aveva creato le premesse per il superamento del monopolio radiotelevisivo (espresso nel servizio pubblico), legittimando parallelamente l’emittenza privata sul piano locale. Iniziava per la Rai un periodo (non ancora concluso) di crescenti difficoltà, aggravato progressivamente dal ritardo del legislatore nel disciplinare l’emittenza privata, non solo locale ma, successivamente, anche nazionale, sviluppatasi tra legalità e illegalità. La Rai, tenuta a seguire principi e criteri gestionali di un’emittente pubblica, non poteva fare a meno in ragione della concorrenza di adottare in pratica anche le regole del mercato, seguendo una linea di programmazione sensibile agli obiettivi della raccolta pubblicitaria. Con conseguente appiattimento qualitativo delle trasmissioni. Ciò contribuiva ad alimentare le premesse per l’affermazione di una logica mercantile dell’intero sistema radiotelevisivo, divenuto ufficialmente ‘misto’ con la legge del 1990: un sistema che consente a un unico soggetto il controllo di tre reti nazionali, presupposto di una inevitabile conflittualità tra l’emittenza pubblica e quella privata commerciale, quest’ultima dominata di fatto dal Gruppo Mediaset (Fininvest) che detiene, appunto, tre reti televisive nazionali (quante, di fatto, era riuscito ad acquisire al momento dell’emanazione della legge).
La Rai ha enunciato ripetutamente, in documenti ufficiali del suo Consiglio di amministrazione, i principi generali che debbono ispirare il servizio radiotelevisivo pubblico, dettando linee editoriali fondate sull’imparzialità e sul ‘pluralismo’ informativo (si ricordano qui, in particolare, la "Carta dei doveri e degli obblighi degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo" del dicembre 1999, e le delibere dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione parlamentare di vigilanza, a cui fanno riferimento quelle del Consiglio di amministrazione). Intesa l’informazione in senso lato e onnicomprensivo, così da includervi qualsiasi messaggio suscettibile di incidere sull’ opinione pubblica, le linee editoriali della Rai hanno perciò come riferimento non solo l’informazione in senso giornalistico, ma anche la programmazione culturale e di intrattenimento, in pratica tutti i generi radiotelevisivi. La Rai riconosce che il principio del pluralismo costituisce il valore fondamentale e più esteso nell’ambito della disciplina costituzionale della manifestazione del pensiero, configurandosi come ‘denominatore comune’ nel campo dei mezzi di informazione e della comunicazione di massa. Accanto al rispetto e alla promozione dei valori riconosciuti dalla Costituzione, il servizio radiotelevisivo pubblico si ritiene doverosamente tenuto a "garantire una programmazione e un’informazione equilibrate, imparziali, complete e obiettive, aperte al maggior numero possibile di opinioni, tendenze, correnti di pensiero politiche, sociali, culturali e religiose presenti nella società". Per questo ogni operatore della Rai si sente impegnato a rappresentare la realtà in tutti i suoi aspetti e a dar conto delle sue varie interpretazioni con il massimo di correttezza, nel rispetto delle condizioni psicologiche e delle esigenze morali dei radioascoltatori e dei telespettatori.
La costante ispirazione a tali principi, valori e criteri operativi e la capacità di tradurli in trasmissioni interessanti, efficaci e di buon gusto, dovrebbe costituire l’essenza della ‘qualità’ della programmazione del servizio pubblico. Ma quanto queste enunciazioni di pluralismo, di imparzialità, di rispetto si traducano realmente nelle trasmissioni diffuse dalla Rai non è facile da verificare, sia pure con l’ausilio di monitoraggi affidati a istituti specializzati (peraltro circoscritti in genere all’area dell’informazione politica) e di una ‘Consulta Qualità’ composta di esperti autorevoli, ma priva di reali poteri di intervento. Si deve però osservare, in sintesi, che la programmazione della Rai riflette la sua sostanziale posizione nell’attuale configurazione del sistema radiotelevisivo misto: posizione che peraltro si conferma ‘maggioritaria’ in termini di audience. Le vicende della Rai, d’altra parte, hanno anticipato sia pure nel modo più accentuato e confuso che una concorrenza senza regole ha determinato la crisi del servizio radiotelevisivo pubblico che ormai si sta manifestando in tutti i Paesi europei, per quanto le performance di audience e i riconoscimenti internazionali mantengano la Rai all’avanguardia.
A fondamento del servizio pubblico sono state invocate motivazioni di natura tecnica in gran parte oggi superate (limitazioni delle frequenze), ma soprattutto apprezzabili e persistenti motivazioni di ordine culturale e politico. Si tratta di vedere se l’interesse della collettività possa essere perseguito attraverso un’emittenza pubblica schiacciata, da un lato, dalla fortissima e spregiudicata concorrenza dell’emittenza commerciale e, dall’altro, dalla stessa incapacità dei pubblici poteri di garantire l’attuazione di principi e di modalità gestionali che ne giustifichino l’esistenza.
Il sistema radiotelevisivo che oggi nel suo insieme si configura, appare dominato da prevalenti finalità di controllo politico e di profitto economico, a tutto svantaggio della qualità dei programmi e, in generale, degli interessi generali; e ciò in evidente contrasto con il suo carattere pubblico complessivo, qualunque sia la natura dell’emittente, derivante dal regime di concessione del suo esercizio stabilito dalla legge in ragione della natura particolare dei mezzi radiotelevisivi, più volte richiamata dalla stessa Corte Costituzionale, in primo luogo della loro pervasività e della loro penetrazione nell’ambito domestico. (Radio. B. Storia; Televisione. A. Storia)
La Rai gestisce tre reti televisive, tre reti radiofoniche, televideo, un’offerta satellitare di più canali telematici, Rai News 24, servizi aggiuntivi regolati da convenzioni ad hoc con lo Stato (come le trasmissioni per l’estero e le trasmissioni nelle lingue delle minoranze per le zone di confine). Altre attività sono in parte affidate a società controllate (come Fonit-Cetra, Rai Trade, Sipra, Rai Sat, Rai Way, Rai Corporation, Rai Net, Rai Cinema). La creazione di nuove società unita alla sperimentazione di nuove tecnologie e a una politica delle alleanze è oggi lo strumento chiave per una presenza rilevante della Rai anche nelle offerte connesse con la convergenza del broadcasting, delle telecomunicazioni e dell’informatica.
Giuridicamente la Rai si configura come società per azioni di interesse nazionale ai sensi dell’art. 2461 del Codice Civile. È a totale partecipazione pubblica (le sue azioni possono appartenere solo allo Stato, a enti pubblici e a società a totale partecipazione pubblica). Un referendum del 1995 ha tuttavia aperto la strada a una privatizzazione (ingresso di capitale privato), ferma restando la natura pubblica del servizio esercitato.
L’attività della Rai è regolata dalla legge 14.4.1975, n. 103, integrata da successive disposizioni; ma non è poi stata organicamente definita in rapporto alla introduzione del sistema radiotelevisivo misto, pubblico-privato, affermatosi di fatto e poi disciplinato dalla legge 6.8.1990, n. 223 (cosiddetta "Legge Mammì"). La legge 25.6.1993, n. 206, che ha modificato i criteri di nomina, le competenze e le funzioni dei vertici aziendali, ha peraltro espressamente previsto l’emanazione, entro due anni dalla sua entrata in vigore, di una "nuova disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo, nel quadro di una ridefinizione del sistema radiotelevisivo e dell’editoria nel suo complesso". Ma questa disciplina non è stata ancora stabilita mentre sta per uscire questo Dizionario. La legge del 1975, chiamata comunemente "legge di riforma della Rai", aveva inteso aprire la gestione del servizio pubblico alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali del Paese, col passaggio del suo controllo dal Governo (in pratica, i partiti della maggioranza) al Parlamento, attraverso la Commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In realtà, concepita inizialmente come ‘apertura democratica’ in grado di riprodurre i rapporti di forza tra partiti del governo e principale partito di opposizione (allora il PCI), la ‘riforma’ non è riuscita a eliminare, nella pratica, il fenomeno della lottizzazione, cioè della spartizione degli incarichi in base a ‘quote’ di appartenenza politica anziché al criterio della competenza.
La concessione del servizio pubblico in esclusiva alla Rai è stata fissata fin dall’inizio tramite convenzione con lo Stato, periodicamente rinnovata. L’ultima convenzione, di durata ventennale, è stata sottoscritta dalla Rai e dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (oggi ‘delle Comunicazioni’) il 15 marzo 1994 e approvata con DPR il 28 marzo 1994. Sulla base di quest’ultima convenzione è stato introdotto un ‘contratto di servizio’ di durata triennale (il primo data dal 1997). Nel 1976 la Corte Costituzionale aveva creato le premesse per il superamento del monopolio radiotelevisivo (espresso nel servizio pubblico), legittimando parallelamente l’emittenza privata sul piano locale. Iniziava per la Rai un periodo (non ancora concluso) di crescenti difficoltà, aggravato progressivamente dal ritardo del legislatore nel disciplinare l’emittenza privata, non solo locale ma, successivamente, anche nazionale, sviluppatasi tra legalità e illegalità. La Rai, tenuta a seguire principi e criteri gestionali di un’emittente pubblica, non poteva fare a meno in ragione della concorrenza di adottare in pratica anche le regole del mercato, seguendo una linea di programmazione sensibile agli obiettivi della raccolta pubblicitaria. Con conseguente appiattimento qualitativo delle trasmissioni. Ciò contribuiva ad alimentare le premesse per l’affermazione di una logica mercantile dell’intero sistema radiotelevisivo, divenuto ufficialmente ‘misto’ con la legge del 1990: un sistema che consente a un unico soggetto il controllo di tre reti nazionali, presupposto di una inevitabile conflittualità tra l’emittenza pubblica e quella privata commerciale, quest’ultima dominata di fatto dal Gruppo Mediaset (Fininvest) che detiene, appunto, tre reti televisive nazionali (quante, di fatto, era riuscito ad acquisire al momento dell’emanazione della legge).
La Rai ha enunciato ripetutamente, in documenti ufficiali del suo Consiglio di amministrazione, i principi generali che debbono ispirare il servizio radiotelevisivo pubblico, dettando linee editoriali fondate sull’imparzialità e sul ‘pluralismo’ informativo (si ricordano qui, in particolare, la "Carta dei doveri e degli obblighi degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo" del dicembre 1999, e le delibere dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione parlamentare di vigilanza, a cui fanno riferimento quelle del Consiglio di amministrazione). Intesa l’informazione in senso lato e onnicomprensivo, così da includervi qualsiasi messaggio suscettibile di incidere sull’ opinione pubblica, le linee editoriali della Rai hanno perciò come riferimento non solo l’informazione in senso giornalistico, ma anche la programmazione culturale e di intrattenimento, in pratica tutti i generi radiotelevisivi. La Rai riconosce che il principio del pluralismo costituisce il valore fondamentale e più esteso nell’ambito della disciplina costituzionale della manifestazione del pensiero, configurandosi come ‘denominatore comune’ nel campo dei mezzi di informazione e della comunicazione di massa. Accanto al rispetto e alla promozione dei valori riconosciuti dalla Costituzione, il servizio radiotelevisivo pubblico si ritiene doverosamente tenuto a "garantire una programmazione e un’informazione equilibrate, imparziali, complete e obiettive, aperte al maggior numero possibile di opinioni, tendenze, correnti di pensiero politiche, sociali, culturali e religiose presenti nella società". Per questo ogni operatore della Rai si sente impegnato a rappresentare la realtà in tutti i suoi aspetti e a dar conto delle sue varie interpretazioni con il massimo di correttezza, nel rispetto delle condizioni psicologiche e delle esigenze morali dei radioascoltatori e dei telespettatori.
La costante ispirazione a tali principi, valori e criteri operativi e la capacità di tradurli in trasmissioni interessanti, efficaci e di buon gusto, dovrebbe costituire l’essenza della ‘qualità’ della programmazione del servizio pubblico. Ma quanto queste enunciazioni di pluralismo, di imparzialità, di rispetto si traducano realmente nelle trasmissioni diffuse dalla Rai non è facile da verificare, sia pure con l’ausilio di monitoraggi affidati a istituti specializzati (peraltro circoscritti in genere all’area dell’informazione politica) e di una ‘Consulta Qualità’ composta di esperti autorevoli, ma priva di reali poteri di intervento. Si deve però osservare, in sintesi, che la programmazione della Rai riflette la sua sostanziale posizione nell’attuale configurazione del sistema radiotelevisivo misto: posizione che peraltro si conferma ‘maggioritaria’ in termini di audience. Le vicende della Rai, d’altra parte, hanno anticipato sia pure nel modo più accentuato e confuso che una concorrenza senza regole ha determinato la crisi del servizio radiotelevisivo pubblico che ormai si sta manifestando in tutti i Paesi europei, per quanto le performance di audience e i riconoscimenti internazionali mantengano la Rai all’avanguardia.
A fondamento del servizio pubblico sono state invocate motivazioni di natura tecnica in gran parte oggi superate (limitazioni delle frequenze), ma soprattutto apprezzabili e persistenti motivazioni di ordine culturale e politico. Si tratta di vedere se l’interesse della collettività possa essere perseguito attraverso un’emittenza pubblica schiacciata, da un lato, dalla fortissima e spregiudicata concorrenza dell’emittenza commerciale e, dall’altro, dalla stessa incapacità dei pubblici poteri di garantire l’attuazione di principi e di modalità gestionali che ne giustifichino l’esistenza.
Il sistema radiotelevisivo che oggi nel suo insieme si configura, appare dominato da prevalenti finalità di controllo politico e di profitto economico, a tutto svantaggio della qualità dei programmi e, in generale, degli interessi generali; e ciò in evidente contrasto con il suo carattere pubblico complessivo, qualunque sia la natura dell’emittente, derivante dal regime di concessione del suo esercizio stabilito dalla legge in ragione della natura particolare dei mezzi radiotelevisivi, più volte richiamata dalla stessa Corte Costituzionale, in primo luogo della loro pervasività e della loro penetrazione nell’ambito domestico. (Radio. B. Storia; Televisione. A. Storia)
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Bibliografia
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- IOPPOLO D. - PILATI A., Il supermercato delle immagini. Scenari della televisione europea nell'epoca digitale, Sperling & Kupfer, Milano 1999.
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- MONTELEONE Franco, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia 2003.
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Come citare questa voce
Zanacchi Adriano , RAI, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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