Elettricità, energia elettrica

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Pila di Volta

1. Definizione di e. come energia elettrica

Il concetto di energia, fondamentale nella scienza moderna, è difficile da definire, non solo perché rinvia a dimensioni del reale a volte non percepite dai nostri sensi, ma anche perché parla di realtà che non sembrano avere alcun rapporto tra loro: energia gravitazionale, chimica, termica, cinetica e potenziale, elettrica, elettromagnetica, nucleare, ecc. La definizione scolastica è questa: la capacità di compiere un lavoro (dove il termine lavoro è a sua volta un’espressione tecnica: una forza compie lavoro quando, applicata a un oggetto, lo sposta nella direzione della sua azione).
L’energia elettrica è una scoperta relativamente recente (si può dire che gli studi specifici sono cominciati poco prima del 1800). Questo ritardo ha ragioni plausibili. Infatti l’e. – che oggi sappiamo essere onnipresente in natura – non è direttamente visibile; inoltre i suoi effetti si riscontrano in fenomeni talmente diversi da rendere impensabile un collegamento tra loro: da sempre si conoscono fenomeni curiosi e innocui come la bacchetta di ambra che attira un pezzetto di materiale leggero come un coriandolo di carta (elektron è ambra, in greco), oppure forme così spettacolari e temibili (i fulmini) da essere considerate per millenni interventi misteriosi della collera divina.
Soltanto alla fine del 1800 – dopo cent’anni di ricerche e insieme di utilizzazione dell’energia elettrica – si è incominciato a capire il profondo legame tra l’e. e la struttura atomica della materia. Ogni atomo è costituito da un parte centrale, pesante – chiamata nucleo – e da una o più particelle molto più piccole – gli elettroni – che gli ruotano attorno. Tra elettroni – a carica negativa – e nucleo – a carica positiva – c’è una forza di attrazione che vincola gli elettroni a ruotare su orbite prestabilite. Per tutta una serie di cause, nella struttura degli atomi di un determinato corpo si possono verificare dei cambiamenti (aumento del numero degli elettroni, loro riduzione, passaggio di elettroni da un’orbita a un’altra, modifica dell’orientamento dell’orbita di rotazione...) e ciò dà luogo a un gruppo di effetti, uno dei quali è la corrente elettrica, definita appunto come flusso di elettroni o elettroni in movimento. Si parla di corrente continua quando – in un circuito – avviene un flusso continuo di elettroni da un punto verso un altro; la corrente è detta invece alternata, se il flusso di elettroni cambia direzione in modo regolare, determinando una sorta di oscillazione (in Europa il sistema industriale ha scelto 50 volte al secondo, in USA 60 volte). Quanto più grande è la quantità di elettroni in gioco e quanto più forte la differenza di stato elettrico tra i due estremi del circuito (in termini di concentrazione di elettroni), tanto più grande è l’energia elettrica disponibile (= forza in grado di compiere un lavoro).
A differenza delle antiche forme di energia conosciute e sfruttate dall’uomo (la forza animale, il movimento dell’acqua, il vento, il calore), l’e. non è legata a un determinato luogo, né a utilizzazioni predefinite. Può essere prodotta in impianti piccoli o grandissimi, con poco personale, nei luoghi più convenienti (o più vicino all’utilizzatore o più vicino alle fonti energetiche); consente modalità di rifornimento quanto mai duttili, che funzionano come un sistema a rete, simile a quello che distribuisce l’acqua (si parla infatti di elettrodotti, come di acquedotti); si sposta a una velocità prossima ai 300.000 km al secondo; sono disponibili altresì piccoli generatori anche tascabili, come le batterie – in grado di fornire energia là dove occorre, al di fuori di ogni circuito, in piena indipendenza (vari tipi di batteria, celle a combustione).

2. Importanza dell’energia elettrica

Nella nostra civiltà quella elettrica è l’energia più immediatamente e universalmente utilizzata. Essa ha una grande flessibilità, sia in fase di produzione che in fase di utilizzazione; è per questa ragione che tutte le altre forme di energia – dove è possibile – vengono convertite in energia elettrica prima di fornire un servizio (è quanto fanno le centrali nucleari, quelle termiche, le centrali idroelettriche). Senza energia elettrica quasi tutte le attività sarebbero totalmente bloccate: nel mondo produttivo come nei sistemi di comunicazione, in ambito scientifico come in quello domestico; ne fossimo privati, il nostro sistema di vita dovrebbe cambiare radicalmente abitudini e comportamenti.
La verità di questa affermazione trova una spietata verifica tutte le volte che in una grande città c’è un black-out elettrico. L’ambiente cittadino – che in qualunque ora del giorno e della notte appare pieno di vita e di energia – senza energia elettrica si trasforma in poche ore in un luogo più ostile e invivibile di un deserto: dove non arriva la luce del sole, buio totale; immobili metropolitane e ascensori; bloccata l’industria; spenti i sistemi di condizionamento, inutilizzabili le cucine, i frigoriferi; fermi i computer e le macchine di ufficio; e, in particolare, interrotte tutte le forme di comunicazione (radio, televisione, telefonia).

3. Uno sguardo retrospettivo

Prima della rivoluzione industriale (secolo XIX) non si parlava di energia elettrica ma di ‘elettricità’ e di ‘magnetismo’, indicando però con tali termini dei fenomeni statici di attrazione e repulsione di cariche elettriche positive o negative. Nel mondo antico e. e magnetismo erano visti come qualcosa di misterioso, non spiegabile con le categorie di pensiero di allora. Nel mondo classico e nella Grecia antica si conoscevano delle sostanze che hanno la capacità di attirarsi. Più tardi vengono descritte le proprietà di una pietra che attira o respinge il ferro. Solo dopo l’anno 1000 si incontrano le prime osservazioni abbastanza sistematiche dei fenomeni che hanno attinenza con l’e. Nel 1200 e nei quattro secoli successivi si cerca di affrontare in modo più rigoroso i fenomeni magnetici, in particolare quelli inerenti all’uso della bussola nella navigazione (rotazione e inclinazione dell’ago magnetico). Ma è solo negli ultimi decenni del 1700 che si progettano ricerche metodiche sulle proprietà elettriche e magnetiche dei corpi e si fanno esperienze per osservare il diverso comportamento delle sostanze di fronte allo spostamento di cariche elettriche. Nel secolo successivo, con un’accelerazione sempre crescente, si susseguono studi e ricerche che portano a scoperte interessanti sull’elettrostatica, sulla distinzione tra conduttori e isolanti, sul movimento delle cariche, sul fenomeno dell’induzione magnetica, sulle onde elettromagnetiche.
Se si volesse determinare una data che segni l’inizio di una epoca nuova, dovremmo scegliere il 1800, anno in cui Alessandro Volta rende pubblici i risultati dei suoi lavori e presenta il primo generatore di corrente continua, la sua pila, appunto. È lecito affermare infatti – senza con questo sminuire in alcun modo le scoperte successive – che la pila di Volta ha determinato l’inizio di una vera e propria rivoluzione tecnologica, perché da quel momento gli scienziati hanno avuto a disposizione una fonte di energia elettrica controllabile e hanno potuto affrontare il problema da nuove prospettive, determinando quel costante susseguirsi di scoperte che hanno caratterizzato l’Ottocento. Si tratta di scoperte quasi sempre legate a singoli personaggi, qualche volta privi di una vera formazione accademica, sempre però geniali, i quali – gli uni all’insaputa degli altri – conducevano studi ed esperienze assai simili: A. Coulomb, A. Volta, C. Oersted, A. Ampère, G. S. Ohm, M. Faraday, J. C. Maxwell, W. Weber, H. Hertz (tutti personaggi il cui nome è rimasto poi legato a un fenomeno o a una grandezza elettrica particolare).
Nel secolo successivo la ricerca in questo campo avrà caratteri meno romantici, perché diverrà prerogativa dei laboratori delle università e delle industrie, condotta da intere équipe piuttosto che da singole persone. Tutti i fenomeni elettrici verranno compresi all’interno di una teoria complessiva sulla natura della materia.

4. E. e comunicazione

La progressiva capacità dell’uomo di sfruttare l’energia elettrica in forme tra loro assai diversificate ha determinato una serie di cambiamenti in tutti i settori della vita civile. Qui di seguito esaminiamo alcune di queste forme, non con l’intento di approfondire ogni singolo argomento, quanto invece per documentare la pervasività e la radicalità dei cambiamenti determinati dall’e. a livello comunicativo. L’argomento meriterebbe uno studio approfondito (in buona misura ancora da fare), tanto più interessante perché consentirebbe una più attenta verifica delle tesi che vedono nell’innovazione tecnologica la causa di ogni cambio culturale. Qui dobbiamo accontentarci di indicare i settori dove si è saputa utilizzare in modo creativo l’energia elettrica per ottenere dei risultati intravisti e perseguiti con decisione. Seguiremo – per quanto possibile – l’ordine cronologico.

4.1. E. come canale di comunicazione:
da alcuni km al giorno a quasi 300.000 km al secondo. Gli esseri umani comunicano tra loro con facilità, ma soltanto all’interno di uno spazio piuttosto ristretto. Solo sfruttando opportunamente il canale acustico e quello visivo le dimensioni di questo habitat possono essere allargate: di qui l’uso del tam-tam e di altri strumenti sonori, l’impiego di segnali luminosi, dal fuoco di notte ai segnali con il fumo o gli specchi di giorno. A parte il fatto che i codici utilizzabili con questi sistemi sono sempre piuttosto poveri (non passano messaggi complessi o discorsi teorici), in termini di spazio non si riesce ad andare molto lontano. Per farlo non c’è mai stata altra soluzione che affidare il messaggio a un messaggero, perché letteralmente lo portasse a destinazione, depositato nella sua memoria, oppure inciso/disegnato/scritto su un supporto, per ovvie ragioni leggero: un osso o un bastoncino inciso, un pane di argilla, un oggetto di metallo, un pezzo di pelle, un rotolo di papiro. In questo modo il comunicare implicava necessariamente lo spostamento, il viaggio: la comunicazione su grandi distanze ha sempre comportato altrettanto grandi spostamenti. È documentato dalla storia; ne fanno fede anche i vocabolari di tutte le lingue europee, che attestano l’esistenza – in passato – di uno stretto legame tra l’idea di comunicazione e il viaggiare, il trasportare; chiamano vie di comunicazione i percorsi seguiti da messaggeri e mercanti (questi ultimi erano spesso e l’uno e l’altro).
La velocità massima raggiungibile dipendeva dalla velocità e dalla resistenza allo sforzo del ‘vettore’, come anche dalla sicurezza e dalle condizioni delle strade. Già gli imperi mesopotamici avevano provveduto a coordinare delle vere e proprie staffette sulle grandi direttrici dei loro imperi; i romani andarono oltre costruendo e difendendo un perfetto sistema viario. Da allora fino a metà del 1800, in termini di velocità, le cose non sono cambiate. La stessa proposta avanzata dall’abate Chappe, durante la Rivoluzione francese, di un sistema di torri a pale segnaletiche razionalizzava e organizzava un tipo di segnali già esistenti, non introduceva una reale novità.
Con l’adozione della corrente elettrica come mezzo di comunicazione (questo è il telegrafo) la novità è totale, sia perché non è più necessario alcun spostamento per consegnare il messaggio al destinatario (l’emittente fornisce direttamente il messaggio al ricevente), sia per l’accelerazione incredibile che il procedimento subisce. Poiché la corrente in un cavo metallico si muove a una velocità prossima ai 300.000 km al secondo, l’apertura e la chiusura di un circuito determinano l’effetto voluto a qualsiasi distanza, in un tempo impercettibilmente breve. Disponendo dunque dell’interfaccia opportuna, un messaggio può essere scritto o espresso qui e contemporaneamente riprodotto ‘tale e quale’ in un posto lontano a volontà, purché i due punti siano collegati con una linea elettrica.
Che tutto questo potesse diventare realtà lo intuirono in molti nella prima metà dell’Ottocento. Fu un pittore americano, Samuel Morse, a fornire con il suo telegrafo una soluzione nello stesso tempo semplice dal punto di vista tecnico e assai elegante dal punto di vista del codice utilizzato, il Codice Morse appunto (Teoria dell’informazione). Consentiva letteralmente di scrivere da lontano: una elettrocalamita – strumento già messo a punto nel 1820, conosciuto da Morse durante un viaggio in Europa – grazie alla corrente elettrica poteva essere pilotata a distanza, in modo da abbassare o alzare un pennino che lasciava così delle tracce su una striscia di carta che scorreva. Il primo collegamento venne realizzato tra Baltimora e Washington nel 1844 (le prime parole trasmesse furono il versetto di un salmo: Quali meraviglie ha fatto il Signore!). Interessante è poi notare che per un certo periodo il telegrafo venne usato per giocare a scacchi a distanza; qualcosa di analogo capita oggi con molti utilizzatori del computer, che hanno il loro primo contatto con la macchina per un qualche gioco. Quasi immediata, e poi sempre più capillare, la diffusione in USA, in Gran Bretagna, in Europa. La spinta veniva soprattutto dall’ambiente economico e da parte dell’industria, dai governi e dai militari per gestire il commercio e il mercato e per avere il controllo sul territorio. Nel 1851 Londra è collegata a Parigi; nel 1861 viene stabilito il collegamento tra l’Inghilterra e l’India; nel 1886 entra in esercizio il primo servizio telegrafico transatlantico Europa-USA.
La ricerca relativa a un miglior sfruttamento delle potenzialità dell’energia elettrica per comunicare è continuata nei decenni successivi, riuscendo a mettere a punto strumenti in grado di trasmettere messaggi assai più complessi e più immediatamente fruibili di quelli consentiti dal telegrafo. Per ragione di sintesi limitiamoci a citare alcune date (lo faremo anche nei punti successivi), non tanto per compiere un excursus completo, quanto invece per fornire alcuni elementi concreti a dimostrazione della rapidità dello sviluppo.
1860 - Ph. Reis, un insegnante tedesco, trasmette per la prima volta dei suoni via cavo e chiama la sua invenzione ‘telefono’.
1871 - A. Meucci presenta la richiesta di brevetto per il suo telefono (ma non ha i soldi per pagare le relative pratiche). 1876 - A. G.Bell in USA ed E. Gray in Inghilterra brevettano il telefono. Immediata la sua diffusione a livello di centri di potere ed economici; con l’abbassarsi dei costi e il miglioramento dei collegamenti la diffusione avviene su grande scala (verso la fine del secolo).
1913 - E. Belin inventa un facsimile portatile (il belinografo), macchina in grado di trasmettere fotografie attraverso la rete telefonica. Venne immediatamente adottato dai fotogiornalisti che operavano sui fronti della prima guerra mondiale.

4.2. E. come illuminazione.
Per noi è quasi impossibile immaginare la vita della gente prima che arrivasse l’illuminazione elettrica. Per quasi tutta la sua esistenza l’umanità ha dovuto rallentare – fino a fermarle – tutte le sue attività nel periodo in cui non disponeva della luce del sole. Con la corrente elettrica la situazione è totalmente cambiata, non solo nelle città, ma anche nelle abitazioni più lontane dai centri urbani: il buio non è più un limite, la notte è più sicura, la vita sociale – come anche il lavoro – può distribuire i suoi ritmi su tutte le 24 ore della giornata.
Verso la fine dell’Ottocento, quando l’e. cominciò a diffondersi, non era l’unica sorgente di luce disponibile (le città avevano un sistema di illuminazione a gas); ben presto però essa si rivelò la più valida per quanto riguarda la distribuzione, il controllo, l’intensità, la facilità d’uso.
È la dimensione comunicativa quella che nella vita umana ha guadagnato di più con la disponibilità della luce elettrica: non solo nella vita quotidiana, ma in tutte le occasioni in cui si celebrano dei riti, siano essi religiosi o no; ne hanno guadagnato tutte le arti dello spettacolo, che dispongono di una forma particolarmente espressiva; ora è possibile fotografare, filmare, riprendere con la telecamera ovunque si voglia.
Anche in questo caso alcune date sono dei riferimenti utili per capire quanto è avvenuto in poco più di cento anni. 1809 - H. Davy ottiene una luce intensissima dalla scarica elettrica tra due carboncini quasi a contatto tra loro e collegati ai poli di una potente batteria. Settanta anni più tardi i fari ad arco voltaico entrano in uso per l’illuminazione pubblica e per i fari marittimi.
1879 - Edison mette a punto il prototipo delle lampadine che usiamo oggi. Un filamento di carbone veniva reso incandescente dal passaggio della corrente, senza che bruciasse immediatamente perché posto nel vuoto, all’interno di un bulbo di vetro sigillato. Le prime lampadine duravano solo 40 ore, prima che il filamento si consumasse del tutto; ma già nel 1880 lo stesso Edison riuscì a produrre un filamento che durava 1200 ore. La luce emessa (16 candele) era di tonalità giallognola: per ottenere una luce più bianca, si doveva aumentare la corrente, ma il filamento bruciava prima. Grande merito di Edison fu anche la messa a punto dell’intero sistema di gestione e di controllo della corrente elettrica destinata all’illuminazione, a partire dalle stesse centrali di produzione. Nel 1882 egli portò a termine sia l’impianto della città di Londra (inaugurazione nel mese di gennaio), sia quello di New York (4 settembre), con la centrale elettrica di Pearl Street (quattro generatori a vapore che producevano ciascuno 85 kw di corrente continua a 110 volt): 5000 lampade si accesero in città e nelle 225 abitazioni collegate.
In Italia il primo impianto per l’illuminazione pubblica e privata fu fatto a Milano già nel 1883. Venne adottato il sistema Edison a corrente continua, con una modesta dinamo mossa a vapore che riusciva a distribuire l’energia in un raggio di 500 metri. A Roma l’illuminazione elettrica iniziò nel 1886, con un circuito alimentato a corrente alternata; nello stesso anno fecero altrettanto Vienna, Venezia, Genova.
1906 - La General Electric Company introduce le lampade con il filamento a tungsteno: durano di più e producono una luce più bianca. Diventeranno ancora più durevoli e più sicure quando le ampolle di vetro saranno riempite di gas inerti (1913), in modo tale che la loro pressione riduca l’evaporazione del tungsteno e renda meno fragile l’ampolla di vetro.
1930 - In questo decennio compare la lampade a fluorescenza: la scarica avviene nel vapore di mercurio, che eccita il materiale fluorescente di cui è rivestito l’interno del tubo, determinando bassi consumi e alta luminosità.

4.3. E. come fonte di energia cinetica.
L’e. ha dato e dà un apporto significativo alla comunicazione anche nella forma di energia cinetica. L’e. è una fonte privilegiata di movimento e sono moltissime le applicazioni dove ha sostituito o prolunga l’energia dell’uomo, spesso potenziandola: dal mini-motorino che mette a fuoco un obiettivo fotografico, a tutte le apparecchiature audio e video (motori, sistemi di frenaggio, di sincronizzazione...), ai computer, fino al motore che muove un treno. Qualunque sia la potenza in gioco, basta premere un pulsante per ottenere il risultato.
Che l’e. potesse generare movimento l’aveva capito per primo M. Faraday nel 1831; decisivi poi sono stati gli studi e gli esperimenti di A. Pacinotti (1861) su motori e generatori elettrici; ma è N. Tesla (nel 1884) che mette a punto le macchine decisive, il generatore di corrente alternata e due anni dopo il motore. Si apre una nuova epoca.
Negli stessi anni W. Stanley porta a maturazione e quindi alla commercializzazione il trasformatore, lo strumento che ha facilitato il trasporto dell’energia elettrica alternata su lunghe distanze, senza che si verifichino perdite eccessive (con un voltaggio molto alto – centinaia di migliaia di Volt – la corrente che transita è relativamente bassa, ma le perdite lungo le linee di trasporto si riducono drasticamente). In questo modo l’energia elettrica diventa la prima forma di energia facilmente trasportabile: produzione e consumo di energia possono essere in posti diversi. Nel 1890 a Willamette River (Oregon) viene realizzata la prima centrale idroelettrica per produrre corrente alternata.
Nelle fabbriche la sostituzione dei motori elettrici ai motori a vapore avviene lentamente e si consolida negli anni Trenta; altrettanto lenta ad affermarsi ma vincente è l’idea di equipaggiare ogni macchina, per quanto piccola, con un suo motore, guadagnando in sicurezza, precisione, automazione spinta, qualità dell’ambiente: il motore elettrico è silenzioso e non inquina.
Con i motori elettrici e gli elettrodotti si diffondono anche nuovi mezzi di trasporto, migliorando decisamente molte vie di comunicazione. Le metropolitane hanno potuto affermarsi in modo definitivo solo con l’adozione della motorizzazione elettrica (impossibile un sistema sotterraneo con macchine a vapore): i primi locomotori elettrici entrano in funzione nella metropolitana di Londra nel 1890. Da allora lo sviluppo è costante, fino ai treni ad alta velocità dei nostri giorni (è francese l’elettrotreno più veloce: oltre 500 km all’ora).

4.4. E. e controllo.
Nel concetto cibernetico di comunicazione l’idea di controllo è fondamentale: in un sistema ad autoregolazione (a feedback) la possibilità di controllo dell’input sulla base dei risultati ottenuti alla fine del processo è la chiave del sistema. Di fatto è solo con la velocità e la precisione di funzionamento delle apparecchiature elettriche che questo progetto teorico ha trovato realizzazione. Lo si trova applicato in tutte le macchine moderne, comprese quelle usate direttamente per produrre messaggi audiovisivi (ad es., il sistema che regola il perfetto scorrimento di un nastro in un registratore o la rotazione di un CD).
Una delle prime organizzazioni a usare l’e. per la regolazione del traffico e per il controllo è stata la ‘ferrovia’, dapprima attraverso il telegrafo e il telefono. Al riguardo è interessante notare come queste vie di comunicazione si siano sviluppate ovunque in parallelo, di modo che accanto ai binari correvano le linee del telegrafo e del telefono, sospese, come ragnatele di fili e grappoli di isolanti, a una sequenza interminabile di pali; solo nel 1871, per quanto riguarda il controllo dei binari e degli scambi, tra gli addetti al traffico ferroviario si lasciò la comunicazione telegrafica e telefonica, per introdurre un sistema elettrico di segnali e di blocco automatico (progetto di W. Robinson, USA). Fu una delle prime forme di automazione.

4.5. E. e magnetismo.
Con la scoperta della stretta relazione tra energia elettrica ed energia magnetica si è aperta per l’uomo una nuova dimensione della comunicazione: l’universo delle onde elettromagnetiche. Esse hanno dilatato la comunicazione umana a dimensioni tali che anche oggi è impossibile intravederne i limiti. Nel 1888 H. Hertz riuscì a riprodurre questo tipo di onde e a rilevarne la presenza – di qui il nome onde hertziane – confermando pienamente le ipotesi anticipate nel 1873 dall’inglese J. C. Maxwell. Lo scienziato tedesco invece non era convinto – anzi pare lo abbia escluso esplicitamente – che per quella via si potessero trasmettere ovunque delle informazioni, senza bisogno di alcun specifico conduttore. Di parere diverso furono altri: tra questi un ruolo importantissimo ebbe G. Marconi, sia come inventore e tecnico, sia come manager di un tipo di industria totalmente nuovo.

Bibliografia

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  • CROWLEY David - HEYER Paul, Communication in history. Technology, culture, society, Pearson, Upper Saddle River (NJ) 2010, 6th edition.
  • FORCOLINI Gianni, Illuminazione interni, Hoepli, Milano 1994.
  • LA FORGIA Mauro, Elettricità, materia e campo nella fisica dell’ottocento, Loerscher, Torino 1982.
  • MARVIN Carolyn, Quando le vecchie tecnologie erano nuove. Elettricità e comunicazione a fine Ottocento, UTET, Torino 1994.

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Note

Come citare questa voce
Lever Franco , Zanni Natale , Elettricità, energia elettrica, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (19/04/2024).
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