Otturatore
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Autore: Franco Lever
È il dispositivo meccanico che consente di determina il tempo durante il quale la luce entra nella fotocamera. Una macchina fotografica è tanto più valida quanto più preciso, costante e veloce è l’o.
Durante i primi decenni della storia della fotografia (quando per fare un’immagine fotografica occorrevano, prima, vari minuti e, poi, vari secondi di esposizione) funzionava da o. lo stesso coperchietto dell’obiettivo: il fotografo lo toglieva e dopo il tempo necessario lo rimetteva. Con l’aumento della sensibilità dei materiali e della luminosità degli obiettivi si sono resi necessari dei meccanismi in grado di controllare tempi di esposizione sempre più brevi.
L’o. centrale è costituito da una serie di lamelle che scorrono l’una sull’altra con movimento concentrico, in modo da aprire e chiudere lo spazio lasciato aperto dal diaframma in uso. Il più breve intervallo utile è pari a 1/500 di secondo. Questo o. è montato sulle macchine a obiettivo fisso e su quelle di formato più grande (a partire dal formato 6x6: non tutte, queste ultime).
L’o. a tendina è montato su tutte le macchine fotografiche reflex formato 35 a ottica intercambiabile. È posto sul piano focale, vicinissimo alla pellicola. Il suo funzionamento è suggerito dal nome che gli è stato dato (anche se in realtà le tendine sono due). In condizione di riposo, la prima tendina copre il vano a cui si affaccia la pellicola, mentre la seconda è pronta ad intervenire. Quando il fotografo scatta, la prima tendina scorre via lasciando che la luce impressioni la pellicola; non appena è passato il tempo programmato, la seconda tendina si muove, occupando il posto che era della prima. In questo modo si riescono a controllare tempi lunghissimi a volontà e tempi brevissimi: fino a 1/8000 di secondo (tempi più brevi si ottengono su macchine studiate per scopi scientifici).
All’inizio le tendine erano di stoffa e si muovevano da sinistra verso destra; ora sono sostituite da due gruppi di lamelle sottilissime, che si muovono in maniera analoga, ma dal basso verso l’alto.
a) sulla scala dei tempi di otturazione i valori si succedono in modo che l’uno abbia una durata doppia rispetto al precedente (salvo due piccoli arrotondamenti): 1/2000 di secondo, 1/1000, 1/500, 1/250, 1/125, 1/60, 1/30, 1/15, 1/8, 1/4, 1/2, 1 secondo, 2, 4, ecc. (Sulla macchina però viene indicato soltanto il denominatore di queste frazioni: 2000, 1000, 500, ecc.)
b) la scala dei diaframmi è organizzata i modo analogo: il diaframma 22 è la metà (e quindi lascia passare metà della luce) del diaframma 16, il 16 metà dell’11 e così via. Questa la scala presente sugli obiettivi più comuni: 22 - 16 - 11 - 8 - 5.6 - 4 - 2.8 - 1.9.
Come si è detto la quantità di luce che entra nella macchina è determinata dal fotografo attraverso la scelta della coppia diaframma/tempo. Se l’esposimetro indica che in una determinata situazione di luce posso fare la fotografia con la coppia ‘diaframma = 11 e tempo = 125’ (espresso in simboli: f = 11; T = 125), la posso fare anche con f = 16 (diaframma dimezzato) e T = 60 (tempo raddoppiato) oppure con f = 8 (diaframma raddoppiato) e T = 250 (tempo dimezzato). In concreto se la luce non cambia sono disponibili tutte queste coppie: 16 con 60; 11 con 125; 8 con 250; 5.6 con 500; 4 con 1000; 2.8 con 2000. Il che significa che questa fotografia tenendo in considerazione soltanto la variabile luce può avere sette versioni diverse, tutte valide come resa dei colori o del contrasto bianco e nero.
Come si opta per l’una o per l’altra di queste scelte? Dato per certo che la determinazione di queste coppie è già un passo decisivo per la qualità del prodotto finale, quelli che guidano la scelta del fotografo sono criteri di tipo espressivo: la messa a fuoco (quale profondità di campo?) e la resa del movimento (come rappresentare il movimento?).
Se ciò che interessa è la messa a fuoco, si interviene chiudendo il diaframma per estendere lo spazio che in fotografia risulterà nitido (ad esempio, si può evidenziare l’appartenenza di un soggetto ad un ambiente rendendone leggibili tutti i particolari) oppure aprendolo per sfuocare quanto non interessa (in questo modo il fotografo può letteralmente far scomparire degli oggetti, nel senso che sulla fotografia risulteranno talmente sfocati da non farne neppure immaginare la presenza).
a) utilizzando tempi brevissimi (oltre il millesimo di secondo) si congelano i movimenti, rivelando aspetti prima ignoti alla conoscenza umana: il modo in cui galoppa un cavallo (fotografato per la prima volta da E. Muybridge nel 1878); la forma dello zampillo provocato da una goccia di latte che cade nella tazza colma; le forme assunte dalle ali di una libellula in volo; lo scorrere dell’acqua che diventa un cristallo;
b) con tempi brevi (tra il 500 e il 125) si descrive la vita quotidiana, ma si fermano anche degli istanti, che assurgono poi a simbolo di interi periodi di storia (la morte del miliziano di Robert Capa è la guerra civile in Spagna; la foto di Kim, la bambina bruciata dal napalm, è la guerra in Vietnam; lo studente cinese che sfida i carri amati nella piazza di Tienanmen è la crisi del partito comunista in Cina, ecc.);
c) con tempi più lunghi, si può esaltare il movimento, esprimendolo con delle scie di colore; ma si può addirittura fare apparire fermo ciò che si muove e in movimento ciò che sta fermo (è il caso in cui si segue l’oggetto che si muove usando la macchina come fosse un fucile per il tiro al piattello: il movimento oggetto/macchina è così annullato hanno la stessa velocità angolare mentre viene esaltato il movimento macchina/sfondo); il mare, in leggero movimento, si copre come di una nebbia vellutata e lo scorrere di un torrente diventa un incanto.
Durante i primi decenni della storia della fotografia (quando per fare un’immagine fotografica occorrevano, prima, vari minuti e, poi, vari secondi di esposizione) funzionava da o. lo stesso coperchietto dell’obiettivo: il fotografo lo toglieva e dopo il tempo necessario lo rimetteva. Con l’aumento della sensibilità dei materiali e della luminosità degli obiettivi si sono resi necessari dei meccanismi in grado di controllare tempi di esposizione sempre più brevi.
1. Tipi
Dal punto di vista costruttivo due sono i tipi di o. oggi in uso: l’o. centrale, incorporato nell’obiettivo (vicino al Diaframma) e l’o. a tendina posto invece sul piano della pellicola.L’o. centrale è costituito da una serie di lamelle che scorrono l’una sull’altra con movimento concentrico, in modo da aprire e chiudere lo spazio lasciato aperto dal diaframma in uso. Il più breve intervallo utile è pari a 1/500 di secondo. Questo o. è montato sulle macchine a obiettivo fisso e su quelle di formato più grande (a partire dal formato 6x6: non tutte, queste ultime).
L’o. a tendina è montato su tutte le macchine fotografiche reflex formato 35 a ottica intercambiabile. È posto sul piano focale, vicinissimo alla pellicola. Il suo funzionamento è suggerito dal nome che gli è stato dato (anche se in realtà le tendine sono due). In condizione di riposo, la prima tendina copre il vano a cui si affaccia la pellicola, mentre la seconda è pronta ad intervenire. Quando il fotografo scatta, la prima tendina scorre via lasciando che la luce impressioni la pellicola; non appena è passato il tempo programmato, la seconda tendina si muove, occupando il posto che era della prima. In questo modo si riescono a controllare tempi lunghissimi a volontà e tempi brevissimi: fino a 1/8000 di secondo (tempi più brevi si ottengono su macchine studiate per scopi scientifici).
All’inizio le tendine erano di stoffa e si muovevano da sinistra verso destra; ora sono sostituite da due gruppi di lamelle sottilissime, che si muovono in maniera analoga, ma dal basso verso l’alto.
2. Tempi e diaframmi
Il controllo dei tempi di esposizione è in stretta correlazione con il controllo del diaframma, perché la quantità di luce che entra nella ‘camera oscura’ dipende sia dall’apertura del diaframma utilizzato sia dall’intervallo in cui l’o. rimane aperto: quando apro ulteriormente il diaframma devo ridurre proporzionalmente il tempo di esposizione, se la quantità di luce utilizzata deve rimanere la stessa. Per facilitare questo calcolo i costruttori hanno definito i valori dei tempi e dei diaframmi seguendo una regola intuitiva:a) sulla scala dei tempi di otturazione i valori si succedono in modo che l’uno abbia una durata doppia rispetto al precedente (salvo due piccoli arrotondamenti): 1/2000 di secondo, 1/1000, 1/500, 1/250, 1/125, 1/60, 1/30, 1/15, 1/8, 1/4, 1/2, 1 secondo, 2, 4, ecc. (Sulla macchina però viene indicato soltanto il denominatore di queste frazioni: 2000, 1000, 500, ecc.)
b) la scala dei diaframmi è organizzata i modo analogo: il diaframma 22 è la metà (e quindi lascia passare metà della luce) del diaframma 16, il 16 metà dell’11 e così via. Questa la scala presente sugli obiettivi più comuni: 22 - 16 - 11 - 8 - 5.6 - 4 - 2.8 - 1.9.
Come si è detto la quantità di luce che entra nella macchina è determinata dal fotografo attraverso la scelta della coppia diaframma/tempo. Se l’esposimetro indica che in una determinata situazione di luce posso fare la fotografia con la coppia ‘diaframma = 11 e tempo = 125’ (espresso in simboli: f = 11; T = 125), la posso fare anche con f = 16 (diaframma dimezzato) e T = 60 (tempo raddoppiato) oppure con f = 8 (diaframma raddoppiato) e T = 250 (tempo dimezzato). In concreto se la luce non cambia sono disponibili tutte queste coppie: 16 con 60; 11 con 125; 8 con 250; 5.6 con 500; 4 con 1000; 2.8 con 2000. Il che significa che questa fotografia tenendo in considerazione soltanto la variabile luce può avere sette versioni diverse, tutte valide come resa dei colori o del contrasto bianco e nero.
Come si opta per l’una o per l’altra di queste scelte? Dato per certo che la determinazione di queste coppie è già un passo decisivo per la qualità del prodotto finale, quelli che guidano la scelta del fotografo sono criteri di tipo espressivo: la messa a fuoco (quale profondità di campo?) e la resa del movimento (come rappresentare il movimento?).
Se ciò che interessa è la messa a fuoco, si interviene chiudendo il diaframma per estendere lo spazio che in fotografia risulterà nitido (ad esempio, si può evidenziare l’appartenenza di un soggetto ad un ambiente rendendone leggibili tutti i particolari) oppure aprendolo per sfuocare quanto non interessa (in questo modo il fotografo può letteralmente far scomparire degli oggetti, nel senso che sulla fotografia risulteranno talmente sfocati da non farne neppure immaginare la presenza).
3. Valore espressivo della scelta dei tempi
Per quanto riguarda la resa del movimento le possibilità offerte al fotografo sono tante quante ne può ammettere la sua fantasia e il suo desiderio di sperimentare:a) utilizzando tempi brevissimi (oltre il millesimo di secondo) si congelano i movimenti, rivelando aspetti prima ignoti alla conoscenza umana: il modo in cui galoppa un cavallo (fotografato per la prima volta da E. Muybridge nel 1878); la forma dello zampillo provocato da una goccia di latte che cade nella tazza colma; le forme assunte dalle ali di una libellula in volo; lo scorrere dell’acqua che diventa un cristallo;
b) con tempi brevi (tra il 500 e il 125) si descrive la vita quotidiana, ma si fermano anche degli istanti, che assurgono poi a simbolo di interi periodi di storia (la morte del miliziano di Robert Capa è la guerra civile in Spagna; la foto di Kim, la bambina bruciata dal napalm, è la guerra in Vietnam; lo studente cinese che sfida i carri amati nella piazza di Tienanmen è la crisi del partito comunista in Cina, ecc.);
c) con tempi più lunghi, si può esaltare il movimento, esprimendolo con delle scie di colore; ma si può addirittura fare apparire fermo ciò che si muove e in movimento ciò che sta fermo (è il caso in cui si segue l’oggetto che si muove usando la macchina come fosse un fucile per il tiro al piattello: il movimento oggetto/macchina è così annullato hanno la stessa velocità angolare mentre viene esaltato il movimento macchina/sfondo); il mare, in leggero movimento, si copre come di una nebbia vellutata e lo scorrere di un torrente diventa un incanto.
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Lever Franco , Otturatore, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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