Fotoromanzo

  • Testo
  • Bibliografia2
  • Voci correlate
Una copertina di Grand Hotel, rivista di fotoromanzi fondata nel 1946
Fenomeno di narrativa popolare che si inserisce a pieno diritto nel settore creativo che lavora sul rapporto immagine-scrittura, esprimendo sentimenti e rapporti sociali non soddisfatti da altri settori della comunicazione come la letteratura, il cinema, la televisione (soprattutto quando ancora era di là da venire), il fumetto. A causa della semplicità espressiva, dei toni fortemente emotivi e della superficialità delle storie, ha finito per essere considerato da molti come una delle prime forme di comunicazione-spazzatura.

1. Origini

Il f. nasce in Italia nel 1946 (in seguito avrà grande diffusione anche all’estero, in Spagna, in Francia, nei Paesi di lingua spagnola, solo per fare gli esempi più rilevanti). Sotto l’egida delle celebri Edizioni Del Duca usciva Grand Hotel in versione fumetto, con storie disegnate e sceneggiate da Walter Molino, il grande disegnatore delle copertine della Domenica del Corriere e da Giulio Bertoletti. Passò poi dal disegno alla fotografia nel 1947 a opera della Bolero Film, emanazione del Gruppo Mondadori. Si determina già in questa fase una precoce consapevolezza d’inventare un genere che non è affatto ai margini della comunicazione. In occasione dell’uscita della prima puntata della riduzione fotoromanzata dei Promessi Sposi, la Mondadori invita "gli increduli a leggerle e a esaminarle, siamo certi che si convinceranno che l’arte del f. ha raggiunto la piena maturità, tanto da gareggiare con quella del cinema e forse da superarla". D’altra parte se scorriamo i nomi dei primi collaboratori di quegli anni lontani ci sorprendiamo nel trovare Dante Guardamagna, Damiano Damiani, Sergio Sellina, Enrico Bagnoli. Quasi cinquant’anni dopo si può ritrovare la stessa consapevolezza in una piccola inchiesta sul f. condotta da Beniamino Placido sulle pagine de La Repubblica. Sergio Lesa e Andrea Mantelli, direttori letterari della Lancio, famosa casa di fumetti e f., dichiarano: "La nostra è un’industria altamente sofisticata e razionalizzata. È difficile, molto difficile scrivere un f. Moltissimi ci provano... cinici e coltissimi, i furbi e i ferratissimi, ma pochissimi ci riescono".
Sin dall’inizio il f. sembra anticipatore di generi televisivi: ci sono, ad esempio, molti punti in comune tra la riduzione dei Promessi Sposi sopra citata e le successive esperienze televisive di Sandro Bolchi nello sceneggiato televisivo, nelle vesti di grande traduttore di capolavori letterari. Qui come lì, la cultura letteraria interviene nel grande consumo ed eleva le sceneggiature televisive a una dignità linguistica di grande spessore.
Nella citata inchiesta di B. Placido i due direttori della Lancio indicavano le regole auree del buon f.: 1) puntare su poche facce, pochi personaggi; 2) isolarli e metterli a confronto; 3) spezzettare la narrazione; non costruire mai sequenze più lunghe di otto-dieci quadri; 4) costruire sempre dei finali aperti, mai chiusi; 5) non avere paura dell’ironia; 6) non avere paura del sentimento; 7) soprattutto non pensare per parole, ma per immagini. Non sembrano, non sono le identiche regole che potrebbero applicarsi alla stesura di una buona sceneggiatura di una telenovela, di una soap opera, di Dallas e di Beautiful, tanto amati e disprezzati da intellettuali e gente comune?

2. Fotoromanzo e industria culturale

Tornando al problema delle origini del f., alla fine degli anni Quaranta il cinema nel suo rapporto con il pubblico risultava latitante. Il circuito lasciava scoperti strati sociali nei cui territori non erano presenti strutture e comportamenti necessari al cinema. Strategie calibrate sullo sviluppo del tessuto urbano altrove non funzionavano: il processo d’industrializzazione a macchia di leopardo bloccava molte aree su forme di comunicazione diverse. È evidente, insomma, che esisteva una serie di tempi e occasioni in cui la struttura tecnica ed espressiva del cinema non era trasferibile: la sala e lo schermo non potevano essere dovunque, al contrario, invece, della radio. E tra questi due giganti si incunea il f., narrazione per immagini e scrittura, che non è libro e non è cinema, piccola e facile da portare e consumare, che risponde a quella domanda di melodramma, ancora fortissima in Italia, che il cinema, stretto tra neorealismo e Hollywood, solo con opere di Materazzo sapeva affrontare.
Il f. cresce, si afferma: tecnologie e contenuti si modificano in stretta consonanza con un’Italia che cambia rapidamente. Paradossalmente i contributi esterni, il pericolo delle relazioni che intercorrono densissime, serrate, tra miti e mitologie presenti e sentimenti nostalgici, contribuiscono a creare un prodotto scientemente sempre più simile a se stesso, attento ad alcune norme invalicabili, lontane dal diventare un genere ibrido.
Gli anni Settanta grazie a una televisione arrembante e fagocitatrice, segnano una crisi alla quale il f. risponde concentrandosi ancora di più sulle sue peculiarità, i sentimenti elementari e fondamentali, aperti su nuovi sfondi e nuove esistenze. Gli ingredienti rimarranno sempre gli stessi anche negli anni a venire.

3. Caratteri espressivi

È nella sua organica staticità, nell’avere ben presenti i limiti oltre i quali non può spingersi, che il f. fonda la sua forza espressiva: la forza di un linguaggio povero, umile, ma dalla grande carica emotiva non riconducibile a una fruizione regredita, a un consumo passivo, indifferente. Come in altri linguaggi ben più rilevanti e complessi, il f. raggiunge pienamente il suo obiettivo scatenando l’identificazione del pubblico a cui fa riferimento; crea un prodotto di grande rigore espressivo, relativamente ai suoi lettori. Lontana da ogni tentativo di contaminazione, la strategia iconica e di scrittura del testo fotoromanzato soddisfa il desiderio del lettore in ragione della sua rappresentazione di sentimenti semplici, primitivi, istintuali. Il testo nella sua povertà (attori fermi, statici, sempre in posa anche quando sono in azione) suggerisce, stimola un immaginario altrove consolidato; attraverso la sua traccia rende il lettore il vero motore, il vero propulsore del meccanismo testuale.
Contano poco gli sfondi, le situazioni rappresentate: in virtù della messa in moto di un conflitto, di uno snodo drammatico, appaiono simbolicamente sentimenti e passioni semplici, che soddisfano necessità altrettanto elementari del pubblico dei lettori: amore, morte, violenza, felicità, bellezza, paura, lieto fine; le cariche emotive deflagrano, l’immedesimazione scatta veloce nel lettore-attante sino al lieto fine, sempre aperto, che rimanda al prossimo f.

Bibliografia

  • DETTI Ermanno, La corte rosa. Storia del fotoromanzo e della narrativa popolare, La Nuova Italia, Scandicci (FI) 1990.
  • MARIÑO SOLANO German, Analisis y elaboración de fotonovelas. Una aproximación desde los cuentos de hadas y el melodrama, ENDA, Bogotà 1990.

Documenti

Non ci sono documenti per questa voce
Come citare questa voce
Mercadante Saverio , Fotoromanzo, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
CC-BY-NC-SA Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
558