Pastorale e comunicazione

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Autore: Robert White

1. Definizione e articolazione della voce

La comunicazione pastorale è l’azione comunicativa dei ministri della Chiesa che ha come obiettivo lo sviluppo della vita cristiana, della fede e della morale. Gli studi relativi alla comunicazione pastorale si sono sviluppati con caratteristiche diverse a seconda delle fonti a cui attingono, in particolare la teologia e la riflessione pastorale, i documenti elaborati dalla Santa Sede che si interessano alla comunicazione e la Gaudium et Spes, la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II.
In quest’ambito è della massima importanza rifarsi subito al modello proposto da Gesù, quello del buon pastore, che possiamo comprendere al meglio esaminando con attenzione il modo in cui Gesù comunica nei quattro vangeli. Un secondo modo di affrontare il tema è riflettere sulla natura della comunicazione cristiana ed ecclesiale così come viene descritta dalle varie istruzioni pastorali sulla comunicazione, come Communio et Progressio (1971) e Aetatis Novae (1992), pubblicate entrambe dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; sono documenti che riflettono il pensiero attuale riguardo alla comunicazione pastorale nella Chiesa, facendo tesoro dell’apporto delle scienze della comunicazione (Chiesa e comunicazione). Un terzo ambito di studio si chiede quale risposta debba essere offerta oggi alla perenne ricerca di Dio da parte degli uomini: in questo caso le idee guida vengono dalla Gaudium et Spes e dalla teologia fondamentale contemporanea. Un quarto settore si interessa delle dinamiche interpersonali e comunitarie dell’attività pastorale e si fonda sulla teologia spirituale (Marinelli, 1990; Midali, 1991; Ramos, 1995), sulla psicologia pastorale (Szentmártoni, 1992) e sul concetto di comunicazione interpersonale. Una quinta area di studio riflette su come sia importante che la comunicazione pastorale si adatti alle culture locali. Una sesta riguarda la problematica della comunicazione in rapporto al rinnovamento della Chiesa. Infine la comunicazione pastorale deve riflettere su come tener conto di tutti questi aspetti nella comunicazione all’interno dei piccoli gruppi, nelle comunità cristiane di base, nelle parrocchie e nelle diocesi e nella programmazione religiosa dei mass media.
Secondo la visione cristiana, la comunicazione a livello umano non è semplicemente un trasporto lineare di informazioni da un emittente a un ricevente, ma una forma di dialogo che promuove la comunione. La teologia della comunicazione fa sua la definizione scientifica di comunicazione come processo interattivo che porta a un significato condiviso, e ne riconosce la grande importanza nella storia. Questa pregnanza di significato della comunicazione umana è rivelata nel "dono totale di sé nell’amore" che Gesù ha compiuto nel mistero pasquale (Communio et Progressio, 11). Dal dialogo di Dio, rivelato nella Parola fattasi carne e dalla risposta di fede dell’umanità nascono una cultura e una società aperte al dialogo. La comunicazione pastorale è un riflesso della comunione che c’è nella Chiesa e contribuisce a fare della Chiesa un segno di redenzione e di unità nella società contemporanea.

2. La centralità del ‘simbolo’ nella comunicazione pastorale

Gesù usava la metafora del ‘pastore’ per descrivere il suo amore assoluto, la sua compassione, la sua disponibilità a donare la vita alle persone cui era stato inviato. Questa sua missione, secondo il Vangelo, inizia con il battesimo, allorquando egli vive l’esperienza interiore profonda di sentirsi consacrato dallo Spirito e mandato dal Padre ad annunziare la venuta del Regno di Dio. Da quel momento Gesù è "guidato dallo Spirito" e "il potere dello Spirito" è su di lui (Luca 4,18): è preso dal desiderio di portare alla gente la fede nella venuta del Regno e si sente in grado di compiere questa missione.
Il primo problema a livello di comunicazione affrontato da Gesù, problema fondamentale per ogni forma di comunicazione pastorale, è che la gente vive la sua esistenza quotidiana restando alla superficie dei problemi, badando alla famiglia, tirando avanti come può. La maggior parte delle persone ha poca consapevolezza che al fondo delle cose è sempre presente l’azione creatrice dello Spirito di Dio, che spinge ogni persona ad amare il prossimo e a promuovere l’avvento del regno dell’amore. Le lettere pastorali di S. Paolo – scritte qualche anno dopo i Vangeli – ritornano insistentemente sullo stesso messaggio: vivete in unione con lo Spirito di Cristo risorto, che rimane con voi.
Per fare in modo che la gente percepisse la presenza di Dio, Gesù si serviva di simboli, segni concreti che rimandavano a una presenza meno tangibile ma più vera. Egli giocava costantemente su un doppio significato delle parole e degli eventi, cosicché l’acqua, il vento, il pane e il vino, la pesca e i pesci diventavano segno e metafora visibili dell’azione interiore dello Spirito di Dio.
Un tipico esempio della comunicazione di Gesù è la conversazione con la samaritana al pozzo (Giovanni, 4,1-42). Gesù osserva la povera donna, che di mestiere fa la portatrice d’acqua e, pieno di compassione per la sua situazione matrimoniale e per i tanti problemi che travagliano la sua vita, rompe il tabù che vieta a un ebreo di parlare a un samaritano. Inizia la conversazione parlando dell’acqua, segno – nella vita della donna – sia di speranza che di fatica. Gesù introduce immediatamente il duplice significato dell’acqua, quello pragmatico dell’acqua che spegne la sete e quello spirituale, simbolo della vita.
Durante la conversazione Gesù aiuta la donna a riscoprire la fede nel Regno di Dio, patrimonio condiviso anche dalla tradizione religiosa samaritana. E lei si ricorda che l’acqua, la pioggia che fa crescere i raccolti, così come i ruscelli, sono tutti simboli dell’azione creatrice di Dio nel mondo. Promettendo un’acqua eterna, Gesù risveglia il desiderio del regno della libertà, dell’amore e della comunità nel cuore di questa donna che così spesso è stata abbandonata da uomini che mai sono diventati suoi mariti. Gesù riesce così a superare la barriera difensiva del suo cinismo e della sua disperazione e la porta a proclamare fede e speranza nel Messia e nel Regno di Dio. La conversazione termina con la donna che corre in paese per annunciare con gioia d’aver scoperto il Messia.
Il dialogo con la donna samaritana, quello con Pietro in occasione della pesca miracolosa, quello con la Maddalena e con decine di altre persone rivelano la sequenza di passi che la comunicazione pastorale è chiamata a compiere.
a) Gesù inizia la comunicazione con una persona parlandole di ciò che costituisce l’interesse principale della sua vita, di ciò che sostiene le motivazioni ed emozioni più profonde.
b) Gesù fa di questo interesse un simbolo del Regno di Dio, cosicché la parola che lo esprime viene ad assumere un doppio significato: un significato pragmatico collegato con la motivazione superficiale e uno simbolico che raggiunge il profondo anelito per il Regno di Dio. La soddisfazione piena di ogni desiderio superficiale avverrà solamente al livello più profondo, quello del desiderio della venuta del regno dell’amore, della pace e della giustizia.
c) Gesù insiste nel dire che le sue promesse soddisferanno i desideri più profondi, mentre il suo interlocutore recupera dalla sua cultura religiosa il significato simbolico di quella parola o di quel racconto e impara a scoprire, oltre la superficie della metafora dell’acqua o del pane, il livello autentico dei suoi desideri.
d) La persona è presto colma del desiderio del Regno di Dio, ma si sente anche combattuta tra questo desiderio e la paura che una cosa così meravigliosa possa non avverarsi mai.
e) Gesù allora compie alcune azioni miracolose, che vanno oltre ogni spiegazione umana (la rivelazione della vita più intima della persona, una guarigione, una pesca miracolosa), e così rivela alla persona che egli rappresenta l’intervento di Dio per realizzare l’avvento del Regno. La persona reagisce sentendosi felice e confusa, ma nello stesso tempo impaurita e indegna.
f) A questo punto, Gesù invita la persona a un atto di fede nella venuta del Regno dell’amore, della pace e della giustizia e nella capacità di Gesù di sconfiggere le forze del male per l’affermazione del Regno.
g) La persona risponde con gioia e abbandona tutto per seguire Gesù, impegnandosi totalmente nella realizzazione del Regno di Dio.
h) I simboli di questo incontro con Gesù – l’acqua, il pane, il pesce – diventano simboli e memoria dell’avvenuta conversione e insieme della speranza che il Regno di Dio si realizza in Cristo Gesù. Già soltanto al vederli questi simboli richiamano alla mente i ricordi, ogni emozione e il desiderio del Regno.

Portare la gente a una visione del mondo che sia sacramentale, simbolica e religiosa è fondamentale per ogni forma di comunicazione pastorale: nella preparazione ai sacramenti, nell’omelia durante l’eucarestia, nell’azione catechistica che rivitalizza la fede o sostiene la speranza anche quando ci sono gravi problemi personali. La comunicazione pastorale ha dunque bisogno di sviluppare una forte capacità di trarre i simboli della fede religiosa dall’esperienza vissuta delle persone che incontra o anche di dare ai simboli tradizionali nuovi significati, più vicini alla vita quotidiana della gente (Babin, 1989).

3. La centralità della ‘narrazione’ e della ‘parabola’

Una seconda esigenza fondamentale della comunicazione pastorale è la capacità di inventare racconti e parabole (Brooks, 1987). È attraverso il racconto che le culture trasmettono i propri valori da una generazione all’altra. Il racconto cattura l’attenzione perché comincia con un problema di grande attualità che va risolto e gradualmente elabora una soluzione, facendo chiarezza e personificando nell’eroe cattivo la causa del male, identificando invece la soluzione positiva con l’eroe nel quale ognuno può riconoscersi. L’eroe incarna sia i valori della comunità sia le debolezze, che di solito vengono superate grazie all’intervento di un aiuto sovrannaturale. Mentre l’analisi teorica stimola l’intelligenza, i racconti toccano il cuore e portano più facilmente alla conversione.
Nel suo insegnamento Gesù ha sempre dato la preferenza al racconto; meglio, a un certo tipo di racconto, la parabola. Gli esperti di religione, tra di loro, possono anche parlare usando il linguaggio specializzato della teologia, ma la comunicazione pastorale deve affondare le sue radici nel linguaggio concreto e universale del racconto e della parabola.
Gesù dovette affrontare lo stesso problema che oggi sfida la comunicazione pastorale, e cioè che le culture trasmettono valori che sono l’opposto del Regno di Dio: potere personale piuttosto che amore e spirito di servizio; cupidigia e ricchezza invece che condivisione; non il perdono ma la vendetta. E peggio ancora, gli stessi fedeli – addirittura gli stessi discepoli – arrivano a pensare che anche il Regno di Dio sarà un regno dominato dal potere, dalla ricchezza, dalla vendetta e dall’arrivismo. Per squarciare questa cecità umana Gesù ricorre alla logica del paradosso: Se vuoi essere grande nel Regno di Dio, devi diventare come un bambino (Mt 18, 1-5). Se vuoi occupare un posto importante, devi diventare come il più umile dei servi (Lc 14,7-11). Se il seme non cade nella terra e non muore, non potrà portare vita (Gv 12, 24-26).
Gesù introduce la logica del paradosso cristiano nella struttura narrativa e così realizza quel tipo particolare di racconto che chiamiamo ‘parabola’. I racconti di Gesù mettono in scena un problema molto concreto com’è l’aggressione di un uomo da parte dei banditi e il suo abbandono – mezzo morto – lungo la strada che va verso Gerico. Chi lo sta ascoltando si aspetta che il dramma venga risolto grazie alla generosità dei suoi leader religiosi. E invece l’eroe, il personaggio proposto come modello di compassione è la persona più disprezzata dalla cultura, un samaritano. Il messaggio è chiaro: devi essere disposto a essere la più disprezzata delle persone, per essere grande nel Regno di Dio. Gli ascoltatori si sarebbero aspettati che il padre punisse il figlio scialacquatore di fortune; e quel padre invece organizza una festa per il ritorno del figlio. Il messaggio invita a perdonare e ad accogliere il peccatore pentito.
La logica del paradosso sta al fondo di qualsiasi discorso religioso, ma soprattutto del discorso religioso cristiano. Il comunicatore pastorale deve imparare a impiegare in ogni circostanza il linguaggio concreto del racconto, soprattutto il linguaggio paradossale della croce che è alla base del mistero pasquale.
L’arte della narrazione deve indicare chi è oggi l’anti-eroe, testimone dei valori paradossali del Vangelo e modello da imitare.

4. Saper rispondere alla ricerca religiosa delle persone

Una terza sfida della comunicazione pastorale, evidenziata anche dalla Gaudium et Spes, è la capacità di rispondere alle ricerche, ai dubbi, alle domande e ai desideri della cultura contemporanea. Per fare ciò bisogna saper tradurre le verità eterne del Vangelo in un linguaggio che va incontro alla ricerca personale di senso che ogni individuo conduce nella sua vita. Ogni cultura e ogni generazione possiede un modo diverso di esprimere la propria relazione con Dio e la comunicazione pastorale deve essere particolarmente attenta ai diversi modi in cui gli uomini esprimono oggi la religione. Essa deve rifarsi a simboli concreti nei quali i giovani possano identificarsi con tutto il loro vissuto, suscitando così in essi un atto di totale dono di sé ai valori del vangelo (Shea, 1980). Man mano che vanno avanti nella loro vita, i cristiani sentono il bisogno di credere in ideali che li possano aiutare a discernere lo spirito del mondo dallo spirito del Vangelo.
La ricerca religiosa di Dio è parte integrante della natura umana e i giovani non si sono mai tirati indietro. Questo però non basta. La comunicazione pastorale deve saper individuare modelli ispiratori anche nelle espressioni della cultura popolare e capire che la grazia di Dio può operare anche attraverso i simboli che danno un senso alla vita della gente. La cultura di oggi è soprattutto cinema, televisione, pubblicità, musica popolare e turismo. La comunicazione pastorale deve imparare a usare il linguaggio di questa cultura audiovisiva nelle omelie, nelle catechesi, nei ritiri e nei movimenti religiosi.

5. L’arte di un’amicizia vera

I Vangeli raccontano di un Gesù che dialoga costantemente con le persone, pronto all’amicizia e a un ascolto attento di chi gli racconta la sua storia; partecipa volentieri a banchetti e a feste, risponde sempre alle domande e alle richieste di tutti. La comunicazione pastorale richiede la capacità di stabilire relazioni interpersonali mature, basate sull’amore, nelle quali si è disposti ad accettare la personalità degli altri e, nello stesso tempo, pronti ad aiutarli a far crescere la parte migliore di loro stessi (Martini, 1990; 1991). Anche la comunicazione nei gruppi e quella attraverso i mass media devono avere il carattere della relazione interpersonale. Il primo requisito della comunicazione è la capacità di ascoltare gli altri, ottenendo la loro partecipazione attiva nella formulazione di decisioni personali. Tutta la comunicazione pastorale è una forma di direzione spirituale che aiuta gli altri a discernere l’azione dello Spirito nella propria vita, per essere capaci di rispondere alla chiamata di Dio con libertà e generosità.
Agire in nome dell’amore incondizionato, espresso nell’immagine evangelica di Gesù-pastore che dona la sua stessa vita per salvare coloro cui è stato mandato, non significa affatto cecità nei confronti del vizio, immaturità emotiva, rinuncia alla libertà, incapacità di prendere decisioni responsabili, mancanza di fede. La comunicazione pastorale esige una reale conoscenza della psicologia e la capacità di dialogare in profondità con le persone; bisogna conoscere le organizzazioni e i movimenti che possono aiutare le persone con gravi forme di tossicodipendenza o che vivono seri problemi matrimoniali o di adattamento. La buona comunicazione pastorale richiede un grande equilibrio emotivo e una profonda maturità, così da poter aiutare gli altri a crescere nella libertà e nella responsabilità.

6. Progettare la comunicazione per il rinnovamento della Chiesa

La condizione postmoderna sta provocando rapidi e profondi mutamenti culturali. Oggi viviamo un’epoca caratterizzata dalla proliferazione di subculture e condizionata da una cultura globalizzante e insieme segnata da tendenze diverse. Assistiamo a grandi migrazioni di popoli e – attraverso il turismo, l’educazione e i mass media – veniamo a contatto con valori e culture differenti. Man mano che si entra in una nuova cultura, cambiano sia il linguaggio religioso sia i luoghi in cui si può vivere l’esperienza religiosa. Tutto questo richiede una rinnovata capacità di fare progetti miranti a coinvolgere sempre più le persone e di mettere a punto forme innovative di inculturazione cristiana e nuovi modelli di comunità.
Per quanto riguarda la comunicazione e la cultura la cristianità sta oggi vivendo una delle crisi più profonde della sua storia; per questa ragione è della massima urgenza ripensare i modi in cui la Chiesa può ri-evangelizzare la società contemporanea. La sfida è quella di trovare un linguaggio comunicativo e un insieme di simboli che siano coerenti con la cultura dei gruppi interessati.
La comunicazione pastorale non consiste nel dare continuità alle strutture della Chiesa, ma nel sapere come mettere in moto le varie fasi che costruiscono la Chiesa.

1) La prima fase, quella della pre-evangelizzazione, presuppone la capacità di avvertire che – a causa dei cambiamenti culturali e generazionali di oggi – la Chiesa non riesce più a comunicare con moltissimi individui solo passivamente o nominalmente cattolici. I responsabili della pastorale devono scoprire qual è la ragione per cui così tante persone si sentono lontane dalla religione e non hanno alcun contatto né con le parrocchie né con altre forme di comunicazione religiosa. Occorre sviluppare la "pastorale d’insieme" (Midali, 1991), capire le ragioni della crisi della Chiesa e favorire un nuovo approccio pastorale.
Per vincere la sfida vanno creati punti di incontro e di comunicazione (i centri giovanili, ad esempio), luoghi dove si possa avviare un processo di inculturazione della fede. Le ricerche rivelano che spesso la grande maggioranza delle persone che vivono in una data area – fino all’80% – non ha alcun contatto con la Chiesa. In questo caso è opportuno ricorrere ai mass media e alla collaborazione dei laici, in modo da stabilire un primo contatto con queste persone. La gente spesso nutre gravi pregiudizi e indifferenza nei riguardi del Vangelo. Un primo passo potrebbe essere quello di promuovere nuove relazioni di solidarietà, in difesa della giustizia sociale, mostrando così nei fatti l’amore di Dio verso gli uomini.

2) L’evangelizzazione – seconda fase di un progetto comunciativo che vuole rinnovare la Chiesa – si sviluppa secondo quattro dimensioni: prima di tutto, c’è bisogno di un contesto che favorisca l’incontro personale con la comunità cristiana, promuovendo iniziative come le missioni popolari, i ritiri, il rinnovamento carismatico, l’incontro di giovani o di coppie sposate, il graduale ritorno alla piena unione sacramentale con la comunità, favorito dall’azione di movimenti come quello neo-catecumenale; in secondo luogo, occorre integrare gradualmente la vita quotidiana con l’impegno personale per Cristo; in terzo luogo, bisogna evangelizzare la cultura e le istituzioni sociali; infine occorre sviluppare una teologia che sappia valorizzare la cultura locale.
a) Il primo dei quattro ambiti di intervento riguarda la conversione personale; esso richiede quello che antropologi del rito come Victor Turner (1972) definiscono "esperienza liminale", e cioè:
– il distacco dalla vita quotidiana e l’inserimento in un luogo o in un tempo sacro, dove si raccoglie una comunità di persone coinvolte nella medesima ricerca di significato, guidate dalla saggezza di un direttore spirituale;
– la presentazione di una serie di riflessioni sul significato ultimo della vita, sulla vocazione personale e sulla propria responsabilità;
– la riflessione sul peccato che allontana da Dio, dalla comunità cristiana e dalle responsabilità verso la famiglia e la comunità;
– la riflessione sulla misericordia e l’amore di Dio in Gesù, che invita a ritornare nella comunità cristiana;
– un momento di decisione personale a impegnarsi a favore del Regno di Dio nella propria comunità e quindi una dichiarazione pubblica di fede personale in Gesù Cristo davanti alla comunità cristiana locale, ricevendo, per esempio, la comunione.
b) La seconda dimensione dell’evangelizzazione è molto più impegnativa e laboriosa in quanto richiede l’integrazione dell’impegno cristiano nella propria vita quotidiana. Di solito questo comporta una riflessione sulla relazione tra alcuni valori specifici del Vangelo e le responsabilità in famiglia, sul lavoro, nella comunità. Questa riflessione riesce meglio se condotta all’interno di piccoli gruppi di persone che condividono ruoli simili: piccole comunità di vicinato, gruppi di genitori, gruppi di gente che fa lavori simili, di giovani, di studenti, di anziani, o anche gruppi con problemi di vita simili come i divorziati o gli alcolisti. In questo caso, i metodi della comunicazione e dei media di gruppo sono particolarmente adatti ad approfondire i valori personali e ad acquistare una maggiore libertà personale di fronte alla pressione sociale. La comunicazione di gruppo crea uno spazio di libertà dal conformismo culturale; in questo modo i cristiani possono compiere delle scelte che testimoniano i valori cristiani in un contesto pluralistico.
c) Il terzo tipo di azione in cui si esplica l’evangelizzazione consiste nell’impegno delle comunità cristiane per trasformare le istituzioni culturali, sociali, politiche ed economiche del proprio Paese secondo valori che sono coerenti con il Vangelo e largamente condivisi nelle singole culture nazionali. Questo aspetto viene messo in particolare rilievo dalla Gaudium et Spes.
Nelle Costituzioni della maggior parte dei Paesi è sancito l’impegno per la giustizia, per la libertà, per il rispetto dei diritti umani, valori che sono espressione concreta del Vangelo e degli insegnamenti sociali della Chiesa. Questo aspetto dell’evangelizzazione comporta l’impegno a far conoscere i documenti che richiedono un consenso, come le encicliche sociali, le istruzioni pastorali della Chiesa cattolica e di organismi ecumenici sull’economia, la vita familiare, l’educazione e l’uso dei mass media. Senza uno sforzo reale di evangelizzazione delle istituzioni sociali, i cristiani e tutte le altre persone religiosamente impegnate sono destinati a vivere una profonda contraddizione tra i loro valori religiosi e le istituzioni pubbliche nelle quali si trovano a operare. Questa dimensione dell’evangelizzazione richiede inoltre un’attenzione costante per la qualità dell’immagine della Chiesa nei mass media e nell’opinione pubblica e uno sforzo continuo perché tale immagine sia realmente un segno evangelico nella cultura di oggi.
d) Il quarto impegno dell’evangelizzazione – la creazione di una teologia contestualizzata (Schreiter, 1986) – adotta come punto di partenza i valori di fede che una data cultura vive. Questa teologia deve fornire una spiegazione ragionata sul perché è importante vivere secondo questi valori e mostrare la loro coerenza con il Vangelo, con il Magistero della Chiesa e con la teologia universale che va al di là della storia e delle culture. La teologia locale emerge dalla pietà personale e dà delle direttive importanti a tutte le forme di comunicazione pastorale.

3) La terza fase – quella che si impegna per il rinnovamento della Chiesa – consiste nel reclutamento e nella formazione della leadership e nella creazione di una struttura di coordinamento e progettazione. Ogni periodo di rinnovamento sviluppa un proprio modello di strutture e di comunicazione ecclesiale, basato sulla cultura e sulla tecnologia comunicativa del momento. Durante un determinato periodo di rinnovamento è importante raggiungere il consenso su quale sia la forma di comunicazione più adatta, per formare poi il personale a quel tipo particolare di comunicazione. Per esempio, durante il grande rinnovamento cattolico del sec. XIX – erano gli anni dell’industrializzazione dei Paesi del Nord – la Chiesa sviluppò una strategia di evangelizzazione basata sulle missioni popolari e sui ritiri spirituali (Dolan, 1978; Sperber, 1984), sulla parrocchia locale, sulle scuole cattoliche e sull’organizzazione dell’Azione Cattolica. Ai leader pastorali (sacerdoti e religiosi) venne data una buona formazione in vista di una comunicazione pastorale che si realizzava attraverso l’omiletica, la catechesi e la guida morale. La stampa e l’editoria diocesana cattolica divennero strumenti fondamentali di questo tipo di evangelizzazione.
Oggi, i leader pastorali devono conoscere forme di comunicazione ben diverse da quelle tradizionali.
Tutte le caratteristiche della comunicazione pastorale descritte sinora hanno come unico obiettivo la realizzazione della comunione visibile della Chiesa nei suoi vari livelli, dalle comunità di base, alle diocesi, alla Chiesa universale. Come afferma la Gaudium et Spes "... la Chiesa, che è insieme ‘società visibile e comunità spirituale’, cammina insieme con l’umanità tutta... come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia" (n. 40).

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Note

Come citare questa voce
White Robert , Pastorale e comunicazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (28/03/2024).
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