Messa e televisione

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Autore: Franco Lever
In italiano – ma anche nelle altre lingue – ci sono varie espressioni per indicare il programma televisivo ottenuto riprendendo la celebrazione di una messa: messa in Tv, messa alla Tv, messa teletrasmessa, messa televisiva, trasmissione televisiva della messa. Tutte queste espressioni sembrano dare per scontato che sullo schermo appaia realmente ‘la messa’ e che l’eventuale dibattito riguardi soltanto il ‘come’ trasmetterla. Un simile presupposto – anche se soltanto implicito nella terminologia utilizzata – non può essere accettato, perché equivarrebbe a sposare fin dall’inizio una tesi di parte. Di tutt’altro parere sono, infatti, coloro che mettono in evidenza come sullo schermo ci siano solo e sempre immagini scelte da un regista: si vede un reportage, non c’è la messa. Grazie alla televisione si può vedere un documentario su un evento (l’eucaristia), ma di questo evento non si è parte reale, perché si svolge altrove. Per questa ragione il titolo è messa e televisione, un’espressione neutrale e insieme aperta; nel corso dell’articolo, per forza di cose, dovremo poi usare le espressioni appartenenti al linguaggio corrente: vorremmo però che non si dimenticasse questa avvertenza.

1. Un programma di successo

La messa in Tv – considerata come ‘prodotto’ televisivo – è una trasmissione sui generis. È uno dei programmi più antichi (come il Telegiornale, ha gli stessi anni della televisione); è tra i più diffusi (non c’è televisione al mondo che non lo abbia in palinsesto, se si escludono i Paesi con regimi antidemocratici o fondamentalisti); nella sua programmazione domenicale gode di un indice di ascolto molto alto; e in determinate occasioni – ad esempio, la messa del Papa a Natale – raggiunge un pubblico decisamente numeroso, che pochi eventi televisivi riescono ad avere.
Sono varie le ragioni che spiegano questo ‘successo’. Si tratta di un programma che, dal punto di vista produttivo, non impegna molto un’emittente: costi bassi, alto rendimento. Se lo si confronta con il resto della produzione, la cosa balza agli occhi in tutta la sua evidenza: non occorre l’intervento di un autore (il copione esiste già ed è consolidato da una tradizione che conta i secoli; per definizione non può essere cambiato); di solito non ci sono scenografie da allestire (ci sono già, spesso splendide); non si devono cercare attori (il cast è prestabilito ed è di sicura presa sul pubblico); nessuna spesa per i costumi, né per gli oggetti, né per i musicisti o i cantori; le ‘comparse’ accorrono gratis. È pur sempre un problema di luci, di collocazione opportuna di microfoni, di utilizzazione corretta di alcune telecamere, di regia: ma – a quanto pare – si può fare come un lavoro di routine e a costi assai ridotti.
È un programma che non ha bisogno di essere pubblicizzato, in quanto ha un bacino di utenti potenziali che supera – nell’insieme – il miliardo di persone; inoltre il pubblico interessato è presente un po’ dappertutto ed è fortemente motivato – soprattutto nella sua componente anziana – a sintonizzarsi su questo programma la domenica mattina. C’è infatti un’agenzia capillarmente diffusa, la chiesa, che ricorda ai suoi fedeli l’obbligatorietà della messa domenicale in modo così efficace da renderne significativa anche la trasmissione televisiva. Al programma la Chiesa crede fortemente: per la sua realizzazione mette a disposizione uomini, ambienti e mezzi in termini di piena gratuità: in questo modo essa si garantisce una diffusa visibilità nel mondo dei media e mantiene un contatto con le persone che non hanno la possibilità di unirsi fisicamente alla comunità locale.
Non è un programma immediatamente utilizzabile per inserimenti pubblicitari; alle emittenti però conviene averlo egualmente, perché consente di raggiungere una determinata fascia di pubblico e perché c’è un ritorno di immagine. L’affare è tanto più vantaggioso, in quanto i livelli di ascolto di questo programma non dipendono dalla qualità televisiva del prodotto. Infatti chi segue il programma, anche di fronte a una realizzazione molto approssimativa, non reagisce cambiando canale, perché si è messo davanti allo schermo per associarsi a un rito, non per vedere un reportage televisivo; nemmeno l’autorità ecclesiastica si dimostra esigente al riguardo.

2. Gli inizi

La televisione non ha dovuto superare ostacoli o proibizioni per entrare in chiesa. La porta l’aveva già aperta la radio, che negli anni Trenta era riuscita a farsi accettare: non senza qualche difficoltà e qualche diffidenza da parte dell’autorità vaticana, a cui si contrapponeva però la base con iniziative sempre più diffuse. L’ingresso della televisione avvenne in modo ufficiale e solenne. A Parigi, nella cattedrale di Notre-Dame, la notte di Natale del 1948, la televisione francese era presente con le sue telecamere per riprendere e trasmettere per la prima volta la messa. Celebrava il cardinale di Parigi, Emmanuel Suhard. La stessa notte, alla stessa ora, anche gli americani fecero la stessa cosa a New York, nella cattedrale di St. Patrick, celebrante il card. J. A. Spellman. I francesi però rivendicano a sé il primato, fatto incontestabile dal momento che il Natale arriva a Parigi cinque ore prima che a New York. L’anno dopo, il 9 ottobre 1949, in Francia prese avvio la trasmissione regolare; altrettanto si fece negli USA, a cominciare dal Natale 1949 (diocesi di Boston). Negli anni seguenti, mano a mano che gli Stati a regime democratico introducevano la televisione, il programma televisivo della messa trovava posto nei vari palinsesti.

3. In Italia

3.1. La trasmissione della Rai.
In Italia l’inizio ufficiale della televisione porta la data 3 gennaio 1954. La sua prima messa però la Rai l’aveva già mandata in onda due anni prima, durante la fase sperimentale, anche in questo caso il giorno di Natale, dalla chiesetta di S. Gottardo in Corte, a Milano. Con l’avvio della programmazione regolare la messa ebbe un suo spazio tutte le domeniche mattina.
La materia era ed è regolata da una convenzione tra la Chiesa italiana e la Rai. L’accordo prevede che ci sia la trasmissione tutti i giorni festivi, alle ore 11.00, per la durata di 55 minuti; stabilisce inoltre i rispettivi compiti, oneri e diritti:
– la Rai garantisce il personale e il supporto tecnico per le riprese e per la trasmissione;
– la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) organizza il rito e gode di piena autonomia per quanto riguarda la forma della celebrazione e i contenuti della trasmissione. A garanzia di quest’ultimo aspetto la convenzione prevede che la regia sia affidata a un professionista scelto dalla CEI, d’intesa con la Rai (di fatto è sempre stato un sacerdote).
In ambito CEI la responsabilità operativa è dell’ Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali. Nessun altro ufficio, a livello centrale, è coinvolto in modo organico e continuativo, né l’Ufficio liturgico, né altri uffici incaricati della pastorale in genere o della pastorale degli anziani o degli ammalati.
La prassi seguita finora prevede che la messa venga celebrata in una chiesa, ogni domenica in un luogo diverso: un cattedrale, un santuario, una parrocchia, la cappella di una casa religiosa o di un ospedale, ecc. Per la scelta dei luoghi l’Ufficio Nazionale prepara un elenco che viene sottoposto all’approvazione della Rai. Nell’arco dell’anno si garantisce un’equa presenza nelle varie aree, anche periferiche, della nazione; grazie al collegamento satellitare questo, per la televisione, non è più un problema.
La preparazione della celebrazione è demandata alle comunità ospiti, cui è lasciata ampia libertà di proposta, ma non l’ultima parola, che rimane del sacerdote-regista. Le comunità conoscono con notevole anticipo la data di una possibile trasmissione. Essa rimane tale fino a una decina di giorni prima, quando viene effettuato il sopralluogo tecnico, che verifica la concreta realizzabilità. Tutto questo rende concitata la fase finale della preparazione.
Dal punto di vista ‘registico’ la regola d’oro è questa: La messa è la messa. La Tv non deve fare altro che mettersi nelle migliori condizioni per riprenderla e per riproporla ai telespettatori. Si lavora sulla base di una rapida scaletta concordata e provata con i vari operatori: non è una sceneggiatura definita in ogni particolare e distribuita a tutti i tecnici interessati, dove i compiti e i movimenti di ogni soggetto coinvolto (dai cameraman, al celebrante, ai lettori, al direttore del coro, all’ultimo ministrante) sono minuziosamente programmati, secondo dopo secondo. Il regista utilizza soltanto immagini girate all’interno della chiesa; a questo scopo predispone un’opportuna illuminazione di quadri, statue, forme architettoniche e altro, in modo da potervi ricorrere con piena libertà; a volte queste immagini vengono girate in antecedenza e restano a disposizione del regista. Salvo rare eccezioni, non vengono utilizzate immagini di altra provenienza.
In linea di principio la trasmissione dovrebbe essere destinata agli ammalati e a coloro che per varie ragioni non possono muoversi da casa. In realtà la trasmissione non è costruita per questo tipo di pubblico. I telespettatori ammalati e anziani, di solito, vengono ricordati nelle parole introduttive del celebrante, qualche volta nella preghiera dei fedeli, ed è tutto. In primo piano invece sono il celebrante (molto spesso il vescovo della diocesi locale, che si sente in dovere di presiedere), il clero presente in grande numero, il coro (è un punto di onore partecipare, con un repertorio speciale; non sempre è il coro della comunità), l’assemblea concreta e l’edificio, con la sua struttura e le opere d’arte che contiene. Lo spettatore critico che segue la trasmissione ha l’impressione che la Tv sia più funzionale all’autopresentazione di una determinata comunità ecclesiale, piuttosto che al servizio degli anziani e degli ammalati in ascolto. Sarebbe ingiusto dire che questo avviene solo con la trasmissione italiana: da noi però la ‘messa in scena’ è molto più evidente che altrove.

3.2. Il pubblico.
Il programma è seguito da un pubblico così numeroso da costituire un record assoluto: a livello mondiale non c’è una messa televisiva, che abbia un ascolto più alto e stabile nel tempo. Negli anni Novanta la media (nel periodo ottobre – maggio) era di 2 milioni di spettatori con uno share che superava il 35% . Dal momento che i dati Auditel non tengono conto delle comunità (comunità religiose, carceri, ospedali, tutti ambienti dove la messa è seguita), va fatto notare che i numeri indicati sbagliano per difetto.
C’è anche un altro dato molto interessante da prendere in esame. L’Auditel calcola anche il numero di contatti, il numero cioè delle persone che si sintonizzano sul programma soltanto per un breve tempo: nel periodo preso in considerazione la media è di quasi 4 milioni di contatti per ogni messa (il calcolo è stato fatto senza mettere nel conto le celebrazioni papali). Si tratta di cifre che dovrebbero imporre una seria riflessione, tanto più se questi dati vengono confrontati con il numero delle persone che in Italia vanno a messa di domenica (circa 10 milioni). La messa televisiva dunque – almeno per un breve istante – raggiunge un pubblico che è la metà delle presenze domenicali.
Per quanto riguarda il comportamento del pubblico (come segue la trasmissione) e la sua tipologia, c’è a disposizione una ricerca motivazionale, commissionata dalla Rai e dalla CEI nel 1991. Tutti coloro che seguono la trasmissione hanno un’idea molto alta della messa (è la ragione per cui accendono il televisore a quell’ora) e si dicono consapevoli della grande differenza che c’è tra il seguire la trasmissione e l’essere presenti alla celebrazione. Nel concreto poi i ricercatori hanno individuato tre gruppi.
Il gruppo dei malati e degli anziani. Sono una minoranza del campione, persone sole e molto pie; che seguono la trasmissione, cercando di ricreare nel loro ambiente le condizioni di una vera partecipazione all’eucaristia.
Il gruppo dei tiepidi. Sono la maggioranza; amano la trasmissione perché la trovano un modo comodo di vivere la propria dimensione religiosa, senza troppi disagi, senza il peso di doversi preparare e uscire. Sono più attenti al messaggio che emerge dalla trasmissione che non al rito. Lo seguono in modo distratto, svolgendo altre attività, come una colonna sonora di sottofondo.
Il gruppo degli esteti e degli esigenti. Il terzo gruppo – una piccola minoranza – guarda il programma perché lo trova bello e interessante, migliore di ciò che la comunità locale è in grado di offrire. Costoro preferiscono la televisione alla parrocchia.

3.3. Le Tv commerciali.
Dagli anni Ottanta si sono affermate in Italia le televisioni commerciali e le televisioni locali. Queste ultime – specialmente quando si collocano nell’area cattolica – trovano ovvio inserire nel loro palinsesto la trasmissione della messa. Sulla base delle informazioni disponibili, ci si limita a riprendere una messa celebrata – di solito – in uno studio; non tutti la trasmettono in diretta e, quando è in differita, al pubblico non lo si dice.
Per quanto riguarda le televisioni commerciali a diffusione nazionale, nessuna di esse prima del settembre 1996 trasmetteva la messa e questo sembrava obbedire a una strategia precisa della Chiesa italiana, per evitare che il programma divenisse oggetto di confronto e strumento di concorrenza tra varie emittenti. Evidentemente questa linea di pensiero non ha avuto la meglio di fronte alle ripetute richieste provenienti da Mediaset. Dal 15 settembre 1996 anche Rete 4 ha la sua messa. Non risulta in alcun modo che questa scelta sia collegata con un progetto pastorale. È l’emittente che ha preso l’iniziativa secondo chiare ragioni di marketing: aveva bisogno di accreditarsi come rete di tipo familiare (la messa domenicale risponde a questa immagine); volendo sottrarre pubblico alla Rai, che – grazie alla messa – monopolizza la tarda mattinata della domenica, non c’era niente di meglio che trasmettere in anticipo un’altra messa (alle 10.00), godendo poi dell’effetto traino sul programma successivo, costruito su misura del pubblico raggiunto. Che l’azione di Rete 4 abbia avuto successo, lo si può constatare mettendo a confronto i dati di ascolto di un trimestre prima e dopo l’operazione: sono praticamente raddoppiati.
Si deve aggiungere che la trasmissione presenta spesso evidenti limiti sia come programma televisivo (tipo di inquadratura, montaggio, attenzione al rito) sia come celebrazione liturgica, senza che ci sia mai stata una qualche critica pubblica da parte della comunità ecclesiale.

4. In Francia

4.1. Un po’ di storia.
La programmazione regolare della messa è incominciata il 9 ottobre del 1949. Ispiratore e artefice dell’iniziativa fu il padre domenicano Raymond Pichard (1913-1992). L’originalità della sua opera non consiste soltanto nell’aver creduto per primo alle potenzialità di servizio pastorale della televisione; ci sono altre due ragioni che, a distanza di anni, danno la misura della sua genialità e preveggenza.
– Fin dall’inizio non si interessò soltanto alla messa; per la domenica progettò e realizzò un programma contenitore, di cui la trasmissione della messa era soltanto una parte; il resto era dedicato a temi di attualità e ad altri aspetti della vita cristiana. In questo modo allo spettatore si proponeva un’immagine di Chiesa più aperta e attiva. Il programma venne chiamato Le jour du Seigneur (a partire dal 5.12.1954), un nome fortunato, ripreso poi in Canada e in Spagna.
– Non identificò l’iniziativa con la sua persona, ma diede subito vita (2 giugno 1950) all’associazione CFRT (Comitato Francese di Radio-Televisione) per garantire al suo progetto efficienza, durata e autonomia economica: un’associazione ecclesiale e insieme laica, con un proprio statuto giuridico; collegata con l’Ordine dei Domenicani – che garantirà la qualità del nucleo dirigente – ma autonoma; équipe di professionisti (laici soprattutto) e insieme espressione della base, che sosteneva e sostiene economicamente l’iniziativa. I risultati ottenuti in cinquant’anni di lavoro provano la lungimiranza e la validità della scelta.

4.2. La prassi attuale.
La Francia è un Paese laico e tuttavia con la legge del 30 settembre 1986 riconosce il carattere di servizio pubblico alle trasmissioni in onda la domenica mattina su France 2. Sono presenti i cattolici per 90 minuti (dalle 10.30 alle 12.00); i protestanti e i mussulmani per 30’, gli ebrei per 15’ e gli ortodossi per 30’ ogni 15 giorni. France 2, oltre a dare gli spazi di trasmissione, garantisce il supporto tecnico alla produzione dei programmi, senza alcuna ingerenza relativa ai contenuti.
I 90 minuti di Le jour du Seigneur sono divisi in questo modo: i primi 30’ sono dedicati a varie tematiche e a diverse formule (ad esempio, una volta al mese questo tempo diventa un tutt’uno con quello dei protestanti e va in onda un programma prodotto in collaborazione); i successivi 53’ sono dedicati alla messa; gli ultimi 7’ affrontano un tema di attualità.
La scelta del luogo – operata in stretto contatto con il Centro Nazionale di Pastorale Liturgica – tiene conto della pluralità di situazioni ecclesiali. La trasmissione è sempre in diretta ed evita con cura ogni forma di spettacolarizzazione. Il contatto con il pubblico televisivo è mantenuto vivo anche attraverso una scelta originale: l’omelia non è tenuta da colui che presiede la celebrazione, ma da un prete scelto dal CFRT e preparato alla predicazione televisiva. In questo modo si dà maggior serenità al celebrante, il quale, sapendo di non dover predicare, vive meglio il suo impatto – comunque sempre forte – con la televisione; inoltre si risolve un problema, quello della continuità tra una trasmissione e l’altra, cosa importante specialmente nei tempi forti della liturgia. Che la scelta abbia una sua reale efficacia lo prova il fatto il programma registra il massimo ascolto proprio in coincidenza con l’omelia. L’ audience non è costante durante i 90 minuti: con l’inizio della messa c’è un brusco raddoppio; poi cresce ulteriormente fino al milione, con uno share che si avvicina al 20%.
Il modello organizzativo francese presenta una serie di caratteristiche originali, tra le quali emergono: il ruolo dell’associazione CFRT, che – come si è detto – è un’entità giuridicamente ed economicamente autonoma, in grado di dialogare efficacemente con l’ente televisivo pubblico; l’appoggio all’Ordine dei Domenicani, che gode della fiducia e ha la delega dell’episcopato; il coinvolgimento del pubblico, che offre anche un sostegno economico, certificato da un bilancio trasparente, di notevole entità (12 miliardi di lire all’anno); la pubblicazione di un bollettino bimestrale (250.000 copie), l’organizzazione di incontri periodici diretti tra il pubblico e gli autori dei programmi; la realizzazione di altri programmi oltre la messa (dibattiti, approfondimenti, ecc.); la collaborazione con emittenti locali; la distribuzione di cassette video e CD; la collaborazione con il Centro Nazionale di Pastorale Liturgica, con altri gruppi religiosi, specialmente con i protestanti; lo svolgimento di attività di formazione delle persone che prendono parte al programma domenicale.
Il CFRT è presente in Internet all’URL: http://www.lejourduseigneur.com, dove viene presentato nei dettagli il programma e si rendono disponibili i testi delle omelie e i reportage mandati in onda.

5. In Germania

5.1. La storia.
In Germania la televisione incominciò a trasmettere regolarmente il 25 dicembre 1950. Soltanto due anni dopo, il 25 marzo 1953 festa dell’Annunciazione, venne realizzata la prima ripresa televisiva della messa. Si trattò di una ripresa sperimentale a circuito chiuso: la messa fu celebrata nella cripta della basilica di S. Gereone di Colonia, mentre in sagrestia un gruppo di vescovi e specialisti era riunito per formulare una valutazione sull’esperimento. La prima trasmissione pubblica andò in onda dallo stesso luogo il 28 giugno 1953, domenica e insieme – quell’anno in Germania – festa anticipata dei santi Pietro e Paolo. Il verdetto non fu negativo; venne subito chiarito però che non si intendeva dare inizio a una programmazione regolare; inoltre – sulla base della sperimentazione – vennero fissate delle norme di tipo registico: durante la consacrazione la telecamera non doveva inquadrare il celebrante, ma l’accolito nell’atto di incensare; l’elevazione poteva essere inquadrata, ma in campo lungo; lo stesso criterio valeva per la comunione dei fedeli (niente primi piani dei volti). Queste precisazioni, evidenziate dai giornali dell’epoca, rivelano quanto attento fosse il dibattito attorno all’iniziativa.
Le obiezioni non riguardavano però soltanto la modalità della ripresa televisiva ma anche la sua stessa plausibilità; in particolare erano di parere negativo, insieme ad altri teologi, Romano Guardini e Karl Rahner.
Nel 1957 l’episcopato tedesco giunse a una decisione dal sapore salomonico: sì alla trasmissione, ma solo nelle occasioni in cui la celebrazione della messa fosse un avvenimento di importanza nazionale; in ogni caso non più di cinque o sei volte all’anno. Sulla base di questo orientamento la televisione interveniva soltanto nelle solennità più grandi, il che finì per determinare il carattere di queste trasmissioni: stupende cattedrali, cerimonie sontuose, coro e musici di grande nome.
Durante gli anni successivi guadagnò sempre più credito il gruppo di coloro che nella trasmissione televisiva vedevano la possibilità di un servizio agli ammalati e agli anziani, piuttosto che uno strumento di celebrazione della Chiesa. Un primo passo in questa direzione venne fatto nel 1977: le trasmissioni aumentarono di numero e alle cattedrali si preferirono le chiese parrocchiali ordinarie; la comunità veniva scelta in base alla sua capacità di vivere intensamente la liturgia; scopo unico ed esplicito, l’accoglienza di un desiderio degli anziani e degli ammalati.
Dopo una decina d’anni di esperienza, anche su sollecitazione della ZDF, la seconda rete televisiva, si arrivò alla definizione di un nuovo progetto, che andò in vigore il 1° gennaio 1986: la cadenza divenne quindicinale (una domenica per i cattolici, l’altra per i protestanti). Il cambio di politica fu preceduto e accompagnato da un rinnovato dibattito, con contributi – critici e favorevoli – molto interessanti. Frutto maturo di questo dibattito possono essere considerati sia il progetto pastorale che guida ancora la prassi attuale, sia il documento Orientamenti per la trasmissione radio-televisiva di celebrazioni eucaristiche, preparato dall’Associazione Internazionale delle Commissioni Liturgiche dell’area linguistica tedesca e pubblicato nel 1989 dal Segretariato della Conferenza Episcopale Tedesca. Il documento, accanto a una approfondita riflessione teorica, offre tutta una serie di indicazioni operative.
Il dibattito, però, e la ricerca in Germania rimanevano vivi. Lo si poté constatare nel 1991 quando, a Vienna, il teologo J. B. Metz, in occasione del convegno internazionale per il 20° anniversario del documento Communio et progressio (6-8 giugno 1991), intervenne in termini fortemente critici.

5.2. La prassi attuale.
La trasmissione della messa è inserita nel palinsesto domenicale della ZDF. La convenzione pattuita tra la televisione e la Chiesa tedesca prevede che l’onere finanziario, la responsabilità e il controllo tecnico-artistico della trasmissione siano della ZDF, così come ogni decisione relativa al personale, cameramen e registi compresi. Da parte sua la Conferenza Episcopale tedesca ha fondato e finanzia un apposito ufficio, il Katholische Fernseharbeit (K.F.), con l’incarico di seguire la programmazione religiosa della ZDF e in particolare la trasmissione della messa.
Il programma è sempre in diretta. I criteri nella scelta della comunità sono – in forma esclusiva – il suo modo di celebrare la liturgia e la piena disponibilità all’iniziativa, espressa non dal parroco, ma dal consiglio parrocchiale. La collaborazione richiesta è piuttosto gravosa ("un vero e proprio servizio, reso ad ammalati e anziani") e comprende la preparazione non di una sola, ma di più messe, l’esclusiva utilizzazione delle risorse della comunità, lo svolgimento di incontri preparatori, la formazione di un gruppo di ministri incaricati di portare l’eucarestia agli ammalati che lo desiderano, l’organizzazione di un servizio telefonico ed epistolare con i telespettatori. Significativo poi il fatto che il K.F. curi la formazione delle comunità che intervengono, organizzi periodici incontri per registi e operatori coinvolti e pubblichi un fascicolo con testi e canti delle messe, che è destinato agli anziani e agli ammalati, ma viene distribuito solo tramite le parrocchie che ne fanno esplicita richiesta. Inoltre il K.F. tiene aggiornato un suo sito con tutte le informazioni relative alla trasmissione della messa (www.kirche.tv).
Nel 1985 il pubblico non superava le 400-500.000 persone. In questi ultimi anni è quasi raddoppiato (va dalle 700.000 al milione di presenze) e costituisce più del 30% delle persone che a quell’ora seguono i programmi televisivi. Per l’85% è composto da persone con oltre 50 anni; sono più donne che uomini (61% contro il 39%); prevale la gente con una formazione scolastica medio-bassa; il 27% del totale non si muove mai da casa. Un ulteriore dato risulta importante, non solo perché trova conferma nelle ricerche fatte altrove, ma soprattutto perché contraddice la tesi di chi crede che la messa in televisione faccia concorrenza a quella parrocchiale: la maggior parte del pubblico, che segue la trasmissione in Tv, si reca abitualmente anche in parrocchia, cosicché la visione della messa in Tv appare collegata più alla pratica religiosa che non a un alto consumo televisivo: in altre parole segue la messa in Tv chi va spesso in chiesa, non chi sta sempre davanti al video.

6. In Olanda

6.1. Una legislazione originale.
In Olanda le trasmissioni radio-televisive sono organizzate in un modo diverso da altrove. I tre canali televisivi nazionali sono delle strutture tecniche, dotate soltanto degli strumenti di trasmissione; non mandano in onda programmi propri, ma i programmi delle varie organizzazioni, che, per legge, hanno diritto a un determinato pacchetto di ore di antenna e per tali spazi producono propri programmi. In questo modo viene garantito il massimo pluralismo; qualsiasi gruppo di cittadini – a determinate condizioni – può ottenere un certo numero di ore di trasmissione: più numeroso è il gruppo, maggiore è il numero di ore concesse. Già nel 1925 un gruppo di cattolici diede vita all’associazione che porta il nome di Katholieke Radio Omroep (KRO); con 650.000 soci essa è, tra le varie organizzazioni, la quarta in ordine di grandezza. La stessa Chiesa cattolica è considerata un’associazione e, in quanto tale, ha diritto a un certo numero di ore di trasmissione. Dispone di 54 ore ogni anno, che affida alla gestione della KRO.
La prima messa in Olanda fu trasmessa il 17 maggio del 1953: un solenne pontificale del Card. Van Roey nello stadio di Utrecht.

6.2. La prassi attuale.
Il progetto risale al 1974. Esso vuole conciliare sia le esigenze della comunità celebrante, sia quelle dei telespettatori:
– la priorità viene data alla comunità che celebra: essa infatti è il soggetto primario, perché dà vita all’azione liturgica e insieme offre la sua testimonianza ai telespettatori;
– i telespettatori sono presi in seria considerazione, perché essi, seguendo la trasmissione, intendono compiere un atto religioso ed esprimono il loro legame con la Chiesa. In questo modo cercano di uscire dal loro isolamento.
Per garantire ambedue questi obiettivi (rispetto per la comunità che celebra, servizio di qualità ai telespettatori) è stata adottata una formula originale: si è dato vita a una specie di parrocchia televisiva, con sede in una parrocchia vera (per lunghi anni è stata quella di Amersfoort). Di qui vengono trasmesse metà delle celebrazioni previste in un anno; le altre vengono celebrate e mandate in onda da altre parrocchie olandesi. Si tratta di una vera e propria comunità, alla cui guida il vescovo ha posto una équipe opportunamente preparata, composta da sacerdoti e da laici.
In questo modo una parrocchia concreta, tramite la radio e la televisione, allarga i suoi confini per associare alle sue attività e alla sua vita liturgica quanti sono impossibilitati a entrare in contatto (o non lo vogliono) con la loro parrocchia locale. Né la Chiesa olandese né la KRO hanno mai pensato che la parrocchia dell’etere sia la soluzione ideale; lo ritengono un aiuto, un modo nuovo, alternativo, di realizzare l’appartenenza alla comunità ecclesiale.
Una delle critiche rivolte a questa soluzione mette in evidenza che così viene compromesso il rapporto che la persona dovrebbe avere con la sua comunità territoriale. La validità dell’obiezione non deve fare dimenticare che molte persone oggi vivono un rapporto diverso con il territorio. Molta gente oggi non organizza la sua vita dentro un solo orizzonte, si è slegata dalla dimensione spazio; non vive all’interno di una sola comunità. I suoi legami sono costruiti per affinità, per centri di interessi e le distanze sono rimodellate dalle reti comunicative e dai mezzi di trasporto. Sembra che per vivere non ci sia più bisogno di uno spazio definito in modo stabile. Se questo è vero, non si possono progettare soltanto parrocchie di tipo tradizionale.

7. In Inghilterra

7.1. Una organizzazione diversa.
Il sistema televisivo britannico è organizzato attorno a due realtà: la BBC, l’emittente televisiva a carattere pubblico e la ITV, il cartello delle televisioni private. L’emittente ‘pubblica’ – da sempre – riconosce alla dimensione religiosa una grande rilevanza in quanto patrimonio comune ed esigenza diffusa; occuparsene, è considerato suo compito istituzionale. Tutte le attività del settore – televisive e radiofoniche – sono demandate a un dipartimento che ha la sua sede operativa a Manchester, assai significativo per il numero di dipendenti (oltre ai tecnici e ai collaboratori esterni). I programmi televisivi vanno in onda su BBC-1 e BBC-2, quelli radiofonici su Radio 1, Radio 2, Radio 3, Radio 4 e sul World Service; molto documentato il sito Internet (URL: http://www.bbc.co.uk/religion). Il dipartimento non ha legami diretti con le Chiese: è espressione della BBC e opera secondo criteri professionali, attenendosi tuttavia alle indicazioni di una Authority, una commissione nazionale deputata a sovraintendere al settore (è a questo livello che le Chiese hanno i loro rappresentanti). La qualità dei programmi è sempre molto alta e amplissima la gamma dei temi trattati.

7.2. In ITV la liturgia, alla BBC proposte innovative.
La domenica, di solito in tarda mattinata, su una delle emittenti ITV, c’è sempre la trasmissione di un servizio liturgico, ma non necessariamente la messa, dal momento che le liturgie sono tante quante le confessioni cristiane presenti nel Regno Unito. Queste si succedono a turno, con una frequenza proporzionale alla loro diffusione nel Paese.
La BBC invece non trasmette né la messa né altre celebrazioni tipicamente liturgiche, salvo poche eccezioni, che riguardano le maggiori feste dell’anno. L’opzione del Dipartimento Programmi Religiosi, da anni ormai, è innovativa. La televisione non è utilizzata per ‘vedere’ ciò che altri fanno, ma per compiere un’esperienza religiosa qui e ora, in sintonia e sincronia con chi è vicino (i familiari) e con chi è lontano (il resto del pubblico). Per raggiungere un simile obiettivo, sono necessarie grande sensibilità e creatività da parte di produttori e registi, perché non ci si trova più nella comoda situazione di riprendere un rito già definito; bisogna conoscere al meglio i mezzi espressivi offerti dalla televisione e con essi costruire un evento mediale a forte valenza spirituale, rispetto al quale chi segue da casa non sia spettatore ma partecipe; qualcosa dunque che non avvenga altrove, ma dentro le mura domestiche. Per coerenza la musica e le immagini non potranno essere le stesse che si usano in chiesa, già connotate come ‘sacre’: la sfida è di fare emergere il ‘sacro’ che si cela nelle situazioni quotidiane, nella musica ‘laica’, nei gesti, negli oggetti, nelle azioni più usuali.
Fino al 1995 è andato in onda un programma dal titolo This is the day (Questo è il giorno), nato nel 1980 a opera di un’équipe guidata da Peter Amstrong, geniale autore televisivo. Si trattava di un programma assai innovativo, che si proponeva come una liturgia domestica. Chi seguiva il programma non era invitato a immaginarsi altrove, ma realizzava nella sua casa un momento di profonda spiritualità, in sincronia con altri, accompagnato da immagini, parole e musiche, fornite dalla televisione. Il pubblico era invitato a preparare l’ambiente, riunendo i familiari e predisponendo accanto al televisore un tavolino, coperto con una tovaglia bianca, con dei fiori, una candela, la Bibbia, un piatto con il pane (che veniva semplicemente condiviso alla fine dell’incontro). Il rito prevedeva una figura di riferimento, uno che, in casa sua com’erano gli spettatori, svolgeva il ruolo di coordinatore. Questa esperienza, rivelatasi originale e forte, si è chiusa nel 1995 per ragioni di natura economica, ma anche per l’esaurirsi del format. This is the day infatti non era soltanto un programma televisivo, era una liturgia televisiva, realizzabile solo da personale totalmente dedicato, un vero laboratorio di ricerca nell’ambito del linguaggio televisivo religioso, con i relativi oneri economici, ma anche organizzativi e ideativi.
Anche il programma First Light, andato in onda la domenica mattina su BBC-1 a partire dal 1995, ha avuto termine. Si trattava di uno special che univa la preghiera di lode all’ascolto di testimonianze e alla contemplazione delle tracce del dialogo dell’uomo con Dio (scontro e nostalgia).
Recentemente la programmazione ha subito un nuovo cambiamento. Ora la domenica, dalle 10.00 alle 11.00, la tematica religiosa è affidata a un talk show intitolato The Heaven and Earth Show.

8. Negli USA

L’interesse per la situazione statunitense non è determinato dall’originalità delle sue trasmissioni o dalla validità di programmi pastorali (che ci sono), né dalla ricchezza del dibattito teologico (di fatto inesistente). L’attenzione per quanto avviene negli USA è doverosa, perché vi si anticipa il futuro di altre società, compresa quella europea.

8.1. In situazione di concorrenza.
Per capire la situazione attuale bisogna fare un passo indietro. La legislazione USA in materia di televisione prevedeva e prevede la massima libertà di iniziativa: non esiste una televisione pubblica tendenzialmente egemone, accanto alla quale vengono organizzandosi altre televisioni secondo gli spazi offerti dal mercato. Unica condizione, ottenere la licenza e rispettare determinate regole, sulle quali vigila severamente la FCC (Federal Communications Commission). Una di queste regole prescrive a ogni stazione televisiva di garantire nel suo palinsesto una percentuale di programmi di pubblico servizio, pena il decadere della stessa licenza. Tra i programmi di pubblica utilità erano e sono inclusi anche quelli di carattere religioso.
Nel passato questa normativa favoriva le Chiese ufficiali (mainstream churches), le quali erano addirittura sollecitate da parte delle emittenti a fornire i loro programmi, senza dover affrontare alcun costo aggiuntivo per la trasmissione. Le cose sono cambiate a partire dagli anni Sessanta, quando le stazioni televisive compresero che i programmi religiosi potevano diventare economicamente redditizi, oltre che essere utili per adempiere gli obblighi di legge. Infatti i movimenti religiosi allora emergenti, soprattutto quelli guidati dai predicatori televisivi, erano disposti a pagare, pur di avere le fasce di orario più valide (Chiesa elettronica). A questo punto le emittenti cominciarono a farsi pagare da tutti. Le Chiese si appellarono alla FCC, ma questa sentenziò che la legge prescriveva la trasmissione di una quota di programmi socialmente utili, non la gratuità; dunque le emittenti erano libere di sollecitare un compenso anche per la trasmissione di programmi religiosi. Mentre ciascuno dei tele-predicatori metteva in piedi una sua macchina – spregiudicata ed efficiente – per raccogliere i fondi necessari per andare in onda nei momenti di massimo ascolto, le Chiese si rifiutarono di percorrere la stessa strada, perché piena di ambiguità.

8.2. La trasmissione della messa.
Nonostante le difficoltà indicate, la Chiesa cattolica vuole mantenere una certa visibilità nei media. Il programma più frequente è la trasmissione della messa, che va in onda nelle molte emittenti locali e in tre circuiti, che coprono tutto il territorio nazionale: l’Eternal World Television Network di madre Angelica, il Catholic Telecommunications Network of America dell’episcopato USA e Odissea, network di ispirazione ecumenica, assai vicino al mondo cattolico. A questo livello non ci sono molti problemi, perché la produzione del programma, la sua durata e la scelta dell’orario di trasmissione seguono criteri dettati dalla volontà di offrire al pubblico il migliore dei servizi. Accanto a queste emittenti ci sono poco meno di un centinaio di televisioni locali (via cavo e non) che trasmettono la messa. L’iniziativa e la responsabilità per queste messe è dei vescovi locali, di alcune famiglie religiose e di singole parrocchie.
Fino a qualche anno fa molte televisioni locali, la domenica mattina tra le 8.00 e le 10.00, mettevano a disposizione gratuitamente un tempo di circa 28 minuti: non di più, perché per le emittenti questo è il periodo massimo senza interruzioni pubblicitarie (solo il 10% delle messe televisive in USA dura 45’ o più). Da alcuni anni però – a conferma di quanto si è detto sopra – si va imponendo, rapidamente, una politica diversa: le televisioni esigono di essere pagate, altrimenti la messa va in onda soltanto in una fascia oraria molto anticipata, anche alle 5.30 o alle 6.00 del mattino, con conseguente disagio del pubblico interessato. All’inizio degli anni Novanta questo era un problema di poche diocesi, oggi invece si verifica nel 40% dei casi.
Le messe trasmesse per iniziativa di una diocesi non sono sempre prodotte dalla stessa diocesi: di esse il 50% usufruisce della messa prodotta dalle reti nazionali o da altre diocesi o da enti religiosi. Le diocesi invece, che producono il loro programma, seguono modalità diverse. Un 10% (ma il numero è in ascesa) ha attrezzato in modo permanente – con fari e telecamere – una chiesa e in questo modo gode di ampia libertà di iniziativa; altre diocesi o noleggiano l’attrezzatura e la montano temporaneamente in una chiesa oppure celebrano la messa in uno studio televisivo. Così facendo, però, si vedono obbligate ad anticipare le riprese nei giorni feriali, sia perché spesso il sabato o la domenica lo studio non è libero, sia perché nel week-end il costo del personale raddoppia (o quasi triplica). Si capisce allora perché il 60% delle messe trasmesse in USA siano pre-registrate. A volte, in una stessa giornata, si registrano più messe, una dopo l’altra, magari con lo stesso gruppo di fedeli.
Anche il blocco dei 28 minuti pone seri problemi. Solo una preparazione molto accurata (dunque costosa) può garantire il rispetto dei tempi. Riesce più facile registrare il tutto e poi intervenire in fase di postproduzione, tagliando le parti non essenziali: una lettura, a volte il Gloria, le strofe di un canto o le lungaggini della distribuzione della comunione. In questo modo si riescono a togliere sequenze ‘inutili’ e a mascherare eventuali errori, inserendo altri suoni (musica, canto...) e altre immagini.

8.3. Una situazione di disagio.
Il disagio di fronte alla prassi attuale è condiviso da molti, anche se è avvertito in modo diverso. Da una parte ci sono soprattutto coloro che lavorano nel settore e constatano in prima persona quanto forte sia la domanda delle persone anziane e ammalate di avere con la comunità almeno un contatto televisivo. Per venire incontro a questo domanda i ‘comunicatori’ ritengono che si possa rinunciare a quello che sembra loro essere un eccessivo perfezionismo.
Il gruppo dei liturgisti invece è molto critico e non da ora. Non avanzano soltanto riserve sulle modalità seguite nel produrre e trasmettere la messa televisiva; segnalano un altro, ben più grave pericolo: la comunità cattolica statunitense – affidando alla televisione anche il momento più sacro della sua vita religiosa – corre il rischio di perdere progressivamente il senso e il gusto dell’appartenenza a una comunità concreta, caratteristica che – fino a qualche tempo fa – differenziava nettamente i cattolici dai protestanti.
Già nel 1986 la Federazione delle Commissioni Liturgiche Diocesane aveva chiesto all’Episcopato che venisse discusso il problema. Nel 1989 da Roma arrivarono delle sollecitazioni perché si facesse una seria verifica della situazione (provenivano dalla Congregazione del Culto Divino e dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali). Nel 1994 la Commissione Episcopale per la Liturgia ha organizzato un gruppo di studio, composto di vescovi ed esperti, presieduto dal vescovo Anthony Bosco. Questo gruppo, in due anni di lavoro, ha elaborato un proposta, nella quale vengono definite delle linee guida. Il documento – Guidelines for Televising the Liturgy – è stato preso in esame e approvato dalla Conferenza Episcopale nel novembre 1996.
Il punto più critico del documento – quello cioè su cui c’è stato e c’è maggior contrasto – è quello che dichiara norma per tutti la trasmissione della messa in diretta e da una vera comunità.
La registrazione viene dichiarata una scelta di ripiego; la messa – comunque – deve essere quella della comunità e, se è trasmessa in differita, deve andare in onda entro lo stesso giorno. Soltanto quando altre modalità non sono attuabili, è permesso celebrare la messa in un ambiente diverso da una chiesa, purché adatto; lo si deve fare nella data più vicina possibile a quella di trasmissione, in modo che sia rispettato il ritmo dell’anno liturgico; per garantire poi il carattere sacro della celebrazione liturgica, in un dato giorno e con un determinato gruppo di persone si può celebrare una sola messa. In ogni caso il pubblico ha diritto di sapere quando la messa è pre-registrata. La celebrazione, se è preparata con cura, può restare dentro i limiti di tempo fissati dalle emittenti. Ai produttori non è consentito di intervenire in postproduzione, tagliando parti della messa.
Il documento non ha avuto un’accoglienza unanimemente favorevole: da una parte ci sono soprattutto i cultori della liturgia, che difendono la qualità del rito religioso; dall’altra gli operatori dei media che considerano la trasmissione della messa un servizio al pubblico e insieme un programma televisivo (la televisione – dicono – oggi si fa solo in un certo modo).
Il tema resta oggetto di attenzione critica e il dibattito è aperto.

9. Altri contesti, altre proposte

L’ampio excursus compiuto fin qui ha già fatto emergere con sufficiente evidenza come la prassi (con le decisioni prese in merito al modello di trasmissione e al tipo di organizzazione da porre in atto) non determini solo la qualità del servizio, ma finisca per accettare dei veri e propri compromessi, giustificati dalla domanda pastorale immediata più che da una solida riflessione. È comunque utile ricordare brevemente alcune altre esperienze significative.
– Dell’America Latina va ricordata, oltre a una pratica molto diffusa e assai aperta alla sperimentazione (dalla trasmissione in diretta da uno studio o da una chiesa, a quella in differita, al programma costruito in postproduzione assemblando riprese eseguite in tempi diversi; con un pubblico in ascolto che vive la trasmissione in forma comunitaria e non individuale), una notevole riflessione teologico-pastorale promossa attraverso la celebrazione di vari congressi regionali, nazionali e continentali. Sintesi matura di questa attività di studio e di progettazione pastorale è il documento La liturgia alla radio e in televisione pubblicato già nel 1983 dalla Conferenza Episcopale latino-americana.
– Dell’esperienza canadese – usa lo stesso nome dei francesi, Le jour du Seigneur – colpisce la compiutezza del progetto e la sensibilità per le tematiche di tipo comunicativo: fin dagli anni Sessanta è nata una struttura ad hoc, il Comitato per la trasmissione delle celebrazioni liturgiche; molto presto è stata preparata, e poi aggiornata, una guida – Celebrare il giorno del Signore alla televisione – che accompagna tutti i momenti della realizzazione del programma (assai accurata nell’evidenziare il valore comunicativo delle varie scelte che si compiono sia nella stessa celebrazione sia a livello di regia televisiva); la pubblicazione ufficiale dell’Ufficio liturgico nazionale (Bulletin National de Liturgie) periodicamente presta attenzione all’iniziativa con commenti e studi; nel 1987 venne fatta una ricerca di tipo sociologico molto approfondita del pubblico che seguiva la trasmissione. Se poi si presta attenzione al fatto che l’audience della trasmissione si attesta attorno al mezzo milione di spettatori, non può non destare ammirazione la professionalità con cui l’esperienza è seguita. Molto curato il sito Internet (URL: http://radio-canada.ca/tv/seigneur), dove vengono presentati i criteri che guidano la realizzazione della trasmissione ("un reportage sulla messa"), il calendario e l’orario, le comunità coinvolte. L’omelia viene resa disponibile anche in video.
– La Chiesa in Spagna, dopo il periodo franchista, ha fatto fatica a stabilire un dialogo costruttivo con l’emittente nazionale, la TVE, a riguardo della produzione e trasmissione dei programmi religiosi, compresa la messa (il programma dal 1982 porta il nome El día del Señor). Anche oggi non sono a disposizione le risorse finanziarie e tecniche proporzionate alla dimensione del pubblico che chiede all’emittente questo tipo di servizio. Nonostante la situazione, già nel 1986 è stato elaborato un documento dal titolo Direttorio liturgico per la trasmissione della messa per radio e televisione. La trasmissione va in onda tutte le domeniche mattina, alle 10.30 e dura 60 minuti.

10. Una prassi che attende una più ampia riflessione

I primi cinquant’anni di messa alla televisione non costituiscono l’evoluzione coerente di un progetto. Si è invece protratta una situazione non priva di ambiguità: da una parte, una prassi assai diffusa, molto diversificata, qualche volta disinvolta, espressione sia del modo in cui le diverse Chiese nazionali hanno concepito la loro presenza nei media, sia degli interessi delle emittenti; dall’altra, una notevole latitanza della riflessione critica in ambito teologico, liturgico e pastorale (al più si è stati attenti a migliorare l’esistente; vera ed unica eccezione, la Germania).
Da alcuni anni le cose stanno cambiando sotto la spinta di diverse esigenze. C’è una nuova consapevolezza dell’importanza di questo tipo di attività da parte della Chiesa, provocata anche dall’allarme di fronte a una prassi che – a volte – sembra sfuggire di mano: trasmissione della registrazione della messa; registrazione di più messe in uno stesso giorno, con lo stesso pubblico e lo stesso celebrante; non solo interventi di editing, ma vera postproduzione del programma; celebrazioni che diventano performance modello chiesa elettronica; la formazione di archivi video con l’intero anno liturgico, pronto all’uso (in caso di bisogno).
Con il contributo di alcuni teologi, liturgisti e studiosi della televisione, matura la consapevolezza che è indispensabile una progettazione pastorale di insieme che, oltre a un uso sapiente dei media, coinvolga tutti coloro che seguono gli ammalati, gli anziani e curano la formazione degli adulti.
Pone poi gravi interrogativi l’evoluzione della televisione verso forme più marcatamente commerciali. Le emittenti sono sempre meno disposte a ospitare in orari opportuni una trasmissione di tipo religioso, se non c’è un ritorno in termini di immagine o di tipo economico.
Per queste ragioni diventa urgente restituire alla ricerca teorica il compito di illuminare la prassi.
Gli ambiti di ricerca in parte sono gli stessi che vennero affrontati in Germania già a partire dagli anni Cinquanta; a quelli, nel frattempo, altri se ne sono aggiunti.
a) Si dovrà affrontare lo studio della celebrazione eucaristica in quanto evento comunicativo. Al riguardo significativi sono gli studi sul rito (Rito;Festa;Turner; ma anche Goffman) e sul tipo di partecipazione che i presenti vi realizzano, il tutto poi messo in relazione con l’intervento dei media (riprese, trasmissione, fruizione a distanza). Al riguardo vanno presi in considerazione i contributi di studiosi come D. Dayan - E. Katz (1992) e Guy Lapointe (1994): il primo lavoro analizza la capacità che hanno i media di trasformare un determinato avvenimento in rito universale (Media event); il secondo studia l’evoluzione della struttura comunicativa della messa a partire dal modello iniziale del ‘banchetto’ (che implicava una partecipazione chiaramente definita da parte dei presenti), fino al modello ancora in uso cinquant’anni fa (il celebrante di spalle rispetto al pubblico, il latino, la preghiera individuale) dove la partecipazione avveniva essenzialmente attraverso il canale ‘visivo’ (la televisione, intervenendo, non ha forzato il modello, lo ha assecondato e amplificato: messa televisiva = messa vista da lontano).
b) Sulla base dei risultati ottenuti si dovrà definire che cosa sia – traendone le dovute conseguenze – ciò che il pubblico vive seguendo le immagini che scorrono sullo schermo. Se la trasmissione è fondamentalmente un reportage su una celebrazione (la partecipazione spirituale è un di più portato dal fedele in ascolto), si dovrebbero considerare leciti tutti gli interventi tipici della prassi televisiva moderna (preparazione dell’avvenimento in funzione della ripresa televisiva; registrazione; tagli e montaggio in post-produzione; trasmissione in differita); se invece la televisione consente comunque allo spettatore una vera partecipazione al rito, si preciserà il significato della diretta e la plausibilità della trasmissione in differita.
A questo riguardo da una parte c’è un movimento di pensiero che nega la trasmissibilità della messa (si possono ricordare i grandi teologi tedeschi R. Guardini, K. Rahner, J. B. Metz, H. B. Meyer), cui si oppone la prassi (diffusa in tutto il mondo e giustificata dai documenti ufficiali) che vede nella trasmissione un modo di coinvolgere anche i lontani: la vera celebrazione è comunque una sola, quella della comunità locale. In totale contrapposizione c’è poi un’altra prassi, in ambiente cattolico né messa in discussione né praticata, ma sperimentata in alcuni ambienti protestanti (Francia, Svezia e nord-Europa in genere), la ‘teleconsacrazione’. Se la televisione consente una vera ‘compresenza’ al rito, c’è un solo modo – rispettoso di quanto si celebra e del pubblico – di realizzare la celebrazione eucaristica in televisione: tutti, vicini e lontani, celebrano lo stesso convito, e su tutte le mense, sull’altare della chiesa come sulla mensa di ogni casa collegata, avviene la consacrazione del pane e del vino. Tutti sono commensali dello stesso pasto rituale (Jean-Marc Chappuis, 1974 e 1981). Di nuovo emerge il problema del tipo di partecipazione reso possibile dalla televisione.
c) Un terzo punto critico è la definizione dello scopo che si persegue consentendo alla televisione di riprendere il rito. Se l’obiettivo è – come il Magistero ha sempre affermato – rendere un servizio agli ammalati, agli anziani, a tutte quelle persone, che per un motivo o per un altro, non possono muoversi di casa, allora il progetto pastorale e l’intera organizzazione saranno messi a punto secondo questa logica precisa (esemplari al riguardo sono alcune tradizioni: soprattutto quella tedesca, ma anche la francese, e quella olandese); se invece attraverso i media si vuole dare una più ampia visibilità alla Chiesa, altre saranno le scelte e diverso il modo di organizzare le celebrazioni e le trasmissioni.
Rimarrebbe comunque un quarto settore di ricerca, purtroppo più oggetto d’interesse di singoli artisti credenti che non dei teologi, dei liturgisti e, in genere, di chi ha autorità nella Chiesa, quello della creazione di nuove forme rituali elaborate con e in televisione. È la strada aperta dalla BBC con programmi come This is the day e First Light, dove non ci si limitava a riprendere ciò che la comunità fa da sempre, ma si usavano le molteplici possibilità dello strumento per dare vita a forme nuove di celebrazione, fatte su misura della partecipazione che il mezzo consente allo spettatore. Viene in mente una metafora antica e allo stesso tempo familiare: si tratta di mettere negli otri nuovi vino nuovo (Matteo. 5,38). Purtroppo chi ha iniziato, la BBC, ha cessato la sperimentazione in questa direzione, bloccata dalle risorse finanziarie sempre più ridotte – per programmi simili – in regime di concorrenza commerciale; e per ora nessun altro sembra disposto a impegnare risorse e creatività per riprendere l’iniziativa, neppure la Chiesa.

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Note

Come citare questa voce
Lever Franco , Messa e televisione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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