Poster
- Testo
- Voci correlate
Autore: Guido Michelone
Il termine, che deriva dal verbo inglese to post (piazzare, collocare), significa letteralmente cartellone o manifesto, ma l’uso della lingua italiana ne offre due separate connotazioni: da un lato infatti, nel linguaggio settoriale delle agenzie pubblicitarie, il p. indica il manifesto dalle massime dimensioni consentite per l’affissione nei luoghi pubblici (di solito appositi tabelloni in zone urbane o stradali di maggior transito); dall’altro nel gergo comune giovanilista si tratta della riproduzione a mezzo stampa, nella grandezza di un normale manifesto, di opere d’arte, fotografie celebri, lavori pubblicitari, ritratti di personaggi più o meno noti, persino ingrandimenti di pose e istantanee familiari, che vengono appesi alle pareti come oggetto di arredamento.
Il successo commerciale del p. inteso nel secondo significato inizia alla fine degli anni Sessanta nell’ambito della controcultura americana: è un simbolo della moda giovanile a sua volta correlata alla rivolta studentesca. Anticonformistica novità sul piano estetico, il p. per le arti grafiche è l’equivalente delle sonorità psichedeliche nella musica rock, del pop e dell’optical in pittura, delle coloratissime decorazioni nell’iconografia neoliberty. Il p., per un’intera generazione, diventa un mezzo di comunicazione, di identità, di autoriconoscimento: viene esibito in pubblico nei luoghi di ritrovo prediletti (caffè, librerie, discoteche, negozi d’abbigliamento) o in privato nelle camere d’affitto o nelle stanzette dei campus universitari, per personalizzare radicalmente lo spazio abitativo fino a coprire ogni angolo di muro domestico.
Questo tipo di p., ancora diffuso o realizzato con sistemi artigianali, spesso in pochi esemplari, ispira un successo che travalica le sue funzioni originarie, diventando in breve tempo un modello di comunicazione di portata mondiale. Già negli anni Settanta la diffusione in cartoleria o nei grandi magazzini comporta un differente impiego del p. ormai destinato a un pubblico indifferenziato, ancora giovanile, ma meno ideologizzato e più eterogeneo in quanto a età, gusti, cultura. E in effetti la produzione di p. si espande in tutti i settori, riproducendo immagini di paesaggi, animali, fumetti, oggetti celebri, quadri storici, donne poco vestite e soprattutto divi della musica, del cinema, della politica, dello sport, della televisione, del mondo giovanile.
Sono soprattutto le abitazioni private a riempirsi di p. in sostituzione del quadro, che nelle forme tradizionali si rivela sempre meno adatto ai nuovi arredamenti e in quelle moderne incontra difficoltà fruitive sia per i contenuti troppo d’avanguardia sia per gli alti costi dei pezzi originali. L’immaginario collettivo che il p. commerciale offre è quello di un universo comunicazionale alquanto effimero e variopinto, dove si mescolano disinvoltamente pratiche alte e basse, snob e kitsch della cultura non solo figurativa.
All’appiattimento del gusto visivo che quello da supermercato (ancor oggi il più acquistato) comporta, fanno eccezione due diverse tipologie di p. tra loro complementari. Da un lato il manifesto, venduto nei musei o nelle mostre di pitture, che riproduce un’opera o una parte di essa entro una cornice grafica di grande elaborazione formale (dovuta quasi sempre alla genialità di noti designers), e che quindi consente al grosso pubblico sia di familiarizzare con la storia dell’arte sia di esporre un oggetto seriale ed economico, ma di grande valore contenutistico, che in molti casi diventa fonte di collezionismo e preziosità da modernariato. Dall’altro lato la gigantografia domestica, ovvero l’immagine che simbolicamente rifiuta di essere imbalsamata nella separatezza dell’album di famiglia o nella rigidità di preziose cornici metalliche e preferisce invece ostentare, talvolta ingenuamente, la propria iconicità simile a un esibizionismo quasi pubblicitario, lo stesso che d’altronde emanano le merci e le griffes mostrate sul corpo, nell’habitat e nella vita quotidiana. In entrambi i casi, quindi, non esiste solo la dialettica tra sfera privata e pubblica, fra prassi nobile e volgare della cultura visiva; al contrario, entrambe le manifestazioni sono dettate da un identico desiderio di esporre e svelare tutto il possibile e l’immaginabile, al pari di quanto sta succedendo nel mondo solo in apparenza estraneo della televisione, il p. elettronico sempre acceso e cangiante. (Affissioni)
Il successo commerciale del p. inteso nel secondo significato inizia alla fine degli anni Sessanta nell’ambito della controcultura americana: è un simbolo della moda giovanile a sua volta correlata alla rivolta studentesca. Anticonformistica novità sul piano estetico, il p. per le arti grafiche è l’equivalente delle sonorità psichedeliche nella musica rock, del pop e dell’optical in pittura, delle coloratissime decorazioni nell’iconografia neoliberty. Il p., per un’intera generazione, diventa un mezzo di comunicazione, di identità, di autoriconoscimento: viene esibito in pubblico nei luoghi di ritrovo prediletti (caffè, librerie, discoteche, negozi d’abbigliamento) o in privato nelle camere d’affitto o nelle stanzette dei campus universitari, per personalizzare radicalmente lo spazio abitativo fino a coprire ogni angolo di muro domestico.
Questo tipo di p., ancora diffuso o realizzato con sistemi artigianali, spesso in pochi esemplari, ispira un successo che travalica le sue funzioni originarie, diventando in breve tempo un modello di comunicazione di portata mondiale. Già negli anni Settanta la diffusione in cartoleria o nei grandi magazzini comporta un differente impiego del p. ormai destinato a un pubblico indifferenziato, ancora giovanile, ma meno ideologizzato e più eterogeneo in quanto a età, gusti, cultura. E in effetti la produzione di p. si espande in tutti i settori, riproducendo immagini di paesaggi, animali, fumetti, oggetti celebri, quadri storici, donne poco vestite e soprattutto divi della musica, del cinema, della politica, dello sport, della televisione, del mondo giovanile.
Sono soprattutto le abitazioni private a riempirsi di p. in sostituzione del quadro, che nelle forme tradizionali si rivela sempre meno adatto ai nuovi arredamenti e in quelle moderne incontra difficoltà fruitive sia per i contenuti troppo d’avanguardia sia per gli alti costi dei pezzi originali. L’immaginario collettivo che il p. commerciale offre è quello di un universo comunicazionale alquanto effimero e variopinto, dove si mescolano disinvoltamente pratiche alte e basse, snob e kitsch della cultura non solo figurativa.
All’appiattimento del gusto visivo che quello da supermercato (ancor oggi il più acquistato) comporta, fanno eccezione due diverse tipologie di p. tra loro complementari. Da un lato il manifesto, venduto nei musei o nelle mostre di pitture, che riproduce un’opera o una parte di essa entro una cornice grafica di grande elaborazione formale (dovuta quasi sempre alla genialità di noti designers), e che quindi consente al grosso pubblico sia di familiarizzare con la storia dell’arte sia di esporre un oggetto seriale ed economico, ma di grande valore contenutistico, che in molti casi diventa fonte di collezionismo e preziosità da modernariato. Dall’altro lato la gigantografia domestica, ovvero l’immagine che simbolicamente rifiuta di essere imbalsamata nella separatezza dell’album di famiglia o nella rigidità di preziose cornici metalliche e preferisce invece ostentare, talvolta ingenuamente, la propria iconicità simile a un esibizionismo quasi pubblicitario, lo stesso che d’altronde emanano le merci e le griffes mostrate sul corpo, nell’habitat e nella vita quotidiana. In entrambi i casi, quindi, non esiste solo la dialettica tra sfera privata e pubblica, fra prassi nobile e volgare della cultura visiva; al contrario, entrambe le manifestazioni sono dettate da un identico desiderio di esporre e svelare tutto il possibile e l’immaginabile, al pari di quanto sta succedendo nel mondo solo in apparenza estraneo della televisione, il p. elettronico sempre acceso e cangiante. (Affissioni)
G. Michelone
Foto
Non ci sono foto per questa voce
Video
Non ci sono video per questa voce
Bibliografia
Non c'è bibliografia per questa voce
Documenti
Non ci sono documenti per questa voce
Links
Non ci sono link per questa voce
Come citare questa voce
Michelone Guido , Poster, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/11/2024).
Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
974