Graffiti
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Autore: Barbara Di Paola
Il termine g. (dal greco graphêin, scrivere) designa originariamente l’incisione preistorica, la scritta rupestre. Più comunemente con ‘graffiti’ si indicano non solo le semplici ‘scritte’ (sia quelle incise, sia quelle disegnate a matita, a pennarello, a spray) sui muri delle case, sui cartelloni stradali, ma anche quelle più vistose fatte sui vagoni ferroviari, sulle pareti degli edifici universitari, sulle facciate dei palazzi. Per quanto vengano spesso confusi con i murales, ne differiscono per vari aspetti.
Diffusa nella seconda metà del Novecento come forma comunicativa di gruppi a forte identità interna e di subculture giovanili, la pratica del g. viene considerata un’espressione caratteristica delle società tecnologiche e ipertecnologiche.
I g. odierni vengono usati già dalle gang americane della prima metà del secolo XX accompagnati da pseudonimi: la loro funzione principale è quella di delimitare un territorio urbano controllato dal clan. Nel corso degli anni Sessanta si diffonde negli Stati Uniti la pratica di scrivere sui muri messaggi di carattere perlopiù politico, religioso, filosofico, ironico, osceno: tuttavia, il g. è inizialmente un’arte proletaria e di matrice nera (tra gli autori noti all’epoca ricordiamo Rammellzee, Basquiat, Futura 200).
Durante gli anni Settanta i g. assumono una più marcata tinta politica: non sono solo ‘scritte’ ma vere e proprie raffigurazioni di una certa complessità. Il mezzo ideale per realizzare g. diventa lo spray anche se qualsiasi altro mezzo facile da nascondere e da usare, trasportabile, adatto a coprire velocemente ed efficacemente i muri o le pareti pubbliche e private, può andare bene: penne, matite, colori acrilici, pennelli, areografo, carboncino, timbri, mascherine prefabbricate, coltelli, vernici.
Una diretta derivazione dalla tradizione dei subway graffiti newyorkesi è rappresentata dalla graffiti art, comunemente detta hip-hop o New York style graffiti.
La pratica del g. non esaurisce il suo senso nel linguaggio (quello delle immagini e delle parole), ma trova pieno compimento nell’azione che l’ha generata. Disegnare g., appropriandosi in tal modo sia di spazi pubblici, sia di spazi privati, implica sfidare i codici della comunicazione urbana, significa rischiare e fare i conti col caso, trasgredire e fare i conti con la legge. I muri della città costituiscono per il writer di oggi lo spazio espressivo che l’uomo primitivo trovava nelle volte di pietra. La funzione dominante della tag (firma o nome di battaglia) e del suo g. è quella fàtica: il contatto (lo scambio, la trasmissione) che il segno crea con altre identità disseminate nella metropoli. L’identità dello scrittore della tag, divenendo pubblica, si diffonde nell’area urbana e va alla ricerca di altre identità che rispondano (con o senza il tramite del g.) attraverso segnali di identificazione o di differenza. Il destinatario, nel rispondere (o semplicemente nel vedere-leggere), mostra la sua identità e qualità.
Per alcuni sono g. anche le tag digitali disseminate sulla rete Internet; come prosecuzione del g. urbano in esse ritroviamo, oltre alla funzione tribale di contatto nell’anonimato, il rapporto dialettico tra ordine e disordine, tra legge e trasgressione.
Quale che sia il supporto del g. (il muro urbano o lo spazio telematico) l’intenzione dei g. non è fornire verità o descrizioni del mondo. "Questi nomi sono come i termini d’una iniziazione che corre dall’uno all’altro e si scambiano tanto bene che non sono, non più della lingua, proprietà di nessuno" (Baudrillard, 1976).
Diffusa nella seconda metà del Novecento come forma comunicativa di gruppi a forte identità interna e di subculture giovanili, la pratica del g. viene considerata un’espressione caratteristica delle società tecnologiche e ipertecnologiche.
I g. odierni vengono usati già dalle gang americane della prima metà del secolo XX accompagnati da pseudonimi: la loro funzione principale è quella di delimitare un territorio urbano controllato dal clan. Nel corso degli anni Sessanta si diffonde negli Stati Uniti la pratica di scrivere sui muri messaggi di carattere perlopiù politico, religioso, filosofico, ironico, osceno: tuttavia, il g. è inizialmente un’arte proletaria e di matrice nera (tra gli autori noti all’epoca ricordiamo Rammellzee, Basquiat, Futura 200).
Durante gli anni Settanta i g. assumono una più marcata tinta politica: non sono solo ‘scritte’ ma vere e proprie raffigurazioni di una certa complessità. Il mezzo ideale per realizzare g. diventa lo spray anche se qualsiasi altro mezzo facile da nascondere e da usare, trasportabile, adatto a coprire velocemente ed efficacemente i muri o le pareti pubbliche e private, può andare bene: penne, matite, colori acrilici, pennelli, areografo, carboncino, timbri, mascherine prefabbricate, coltelli, vernici.
Una diretta derivazione dalla tradizione dei subway graffiti newyorkesi è rappresentata dalla graffiti art, comunemente detta hip-hop o New York style graffiti.
La pratica del g. non esaurisce il suo senso nel linguaggio (quello delle immagini e delle parole), ma trova pieno compimento nell’azione che l’ha generata. Disegnare g., appropriandosi in tal modo sia di spazi pubblici, sia di spazi privati, implica sfidare i codici della comunicazione urbana, significa rischiare e fare i conti col caso, trasgredire e fare i conti con la legge. I muri della città costituiscono per il writer di oggi lo spazio espressivo che l’uomo primitivo trovava nelle volte di pietra. La funzione dominante della tag (firma o nome di battaglia) e del suo g. è quella fàtica: il contatto (lo scambio, la trasmissione) che il segno crea con altre identità disseminate nella metropoli. L’identità dello scrittore della tag, divenendo pubblica, si diffonde nell’area urbana e va alla ricerca di altre identità che rispondano (con o senza il tramite del g.) attraverso segnali di identificazione o di differenza. Il destinatario, nel rispondere (o semplicemente nel vedere-leggere), mostra la sua identità e qualità.
Per alcuni sono g. anche le tag digitali disseminate sulla rete Internet; come prosecuzione del g. urbano in esse ritroviamo, oltre alla funzione tribale di contatto nell’anonimato, il rapporto dialettico tra ordine e disordine, tra legge e trasgressione.
Quale che sia il supporto del g. (il muro urbano o lo spazio telematico) l’intenzione dei g. non è fornire verità o descrizioni del mondo. "Questi nomi sono come i termini d’una iniziazione che corre dall’uno all’altro e si scambiano tanto bene che non sono, non più della lingua, proprietà di nessuno" (Baudrillard, 1976).
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Bibliografia
- BAUDRILLARD Jean, Kool Killer o l'insurrezione mediante i segni in BAUDRILLARD Jean, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1984, pp.90-98 (ed. orig. 1976).
- BONITO OLIVA Achille, American graffiti (Napoli-Roma, 1997), Electa, Milano 1997.
- CHALFANT Henry - PRIGOFF James, Spraycan Art, Thames and Hudson, London 1987.
- COOPER Martha - CHALFANT Henry, Subway Art, Hanry Holt, New York 1989.
- CORALLO Mario, I graffiti, Xenia Edizioni, Milano 2000.
- D'AMBROSIO Max - PARRELLA Bernardo, Web multimedia. La comunicazione multimediale dai graffiti a Internet: storia, strategie e tecniche, Apogeo, Milano 1998.
- LUCCHETTI Daniela, Writing. Storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada, Castelvecchi, Roma 1999.
- NELLI A., Graffiti a New York, Lerici, Roma 1978.
- TOZZI Tommaso, Dagli scrittori di graffiti alle tags digitali in CANEVACCI M. - DE ANGELIS R. - MAZZI F. (ed.), Culture del conflitto. Giovani Metropoli Comunicazione, Costa & Nolan, Genova 1995.
- WALSH Michael, Graffito, North Atlantic Books, Berkeley (CA) 1996.
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Come citare questa voce
Di Paola Barbara , Graffiti, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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