Codice Hays

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Autore: Paolo Bafile
William Harrison Hays, autorevole esponente dell’industria cinematografica statunitense dall’inizio degli anni Venti alla metà degli anni Quaranta
Raccolta di norme che hanno guidato – dal punto di vista morale – la produzione cinematografica americana per alcuni decenni. Prende il nome da William Harrison Hays (1879-1954), autorevole esponente (e magnate) dell’industria cinematografica statunitense dall’inizio degli anni Venti alla metà degli anni Quaranta. Esordì in politica militando nel partito repubblicano. Ne divenne influente membro, fino a occupare la carica di ministro (delle comunicazioni). Ma lasciò ben presto la pubblica amministrazione per la presidenza della MPPDA (Motion Picture Producers and Distributors of America), la potente organizzazione industriale del cinema USA. Hays deve la sua notorietà soprattutto al codice da lui promosso, adottato nel 1930 dall’industria cinematografica americana.
Il fine essenziale del C.H. era quello di assicurare una sorta di ‘standard etico’ alla produzione cinematografica, traendo ispirazione dai principi dei dieci Comandamenti e dalle Sacre Scritture. Non per nulla la pratica stesura del codice fu affidata al padre gesuita Daniel A. Lord, con la collaborazione della Legion of Decency. Tuttavia, l’adozione del Production Code (detto anche Hays Office Code) e la sua effettiva osservanza da parte delle grandi case di produzione americane non rispondevano soltanto a intenti di moralizzazione, ma anche a precisi fini economici, quale quello di scongiurare i (rilevantissimi) danni causati da eventuali azioni giudiziarie intentate contro film ritenuti immorali (ritiro delle copie in circolazione, interruzione nella programmazione, esecuzione di tagli o modifiche ai film e, infine, ‘caduta di immagine’ presso il grande pubblico).
Tra le norme del C.H. vanno ricordati i divieti di rappresentare in modo troppo esplicito i rapporti sessuali; di descrivere in maniera troppo dettagliata e cruda delitti e violenze in genere; l’esclusione di parole e gesti volgari, di scene riguardanti perversioni sessuali, uso di droghe, operazioni chirurgiche impressionanti, sevizie, offese alla religione, alla bandiera e alle istituzioni degli Stati Uniti, ecc. Da segnalare, in particolare, l’obbligo imposto ai produttori di non presentare in modo suggestivo o seducente i reati e i comportamenti antisociali e, in genere, tutto ciò che è ‘male’ e di non rappresentare i personaggi di delinquenti in modo tale da suscitare, negli spettatori, sentimenti di simpatia, di ammirazione, di imitazione; e, per converso, l’impegno dei produttori a porre in buona luce i valori positivi dell’esistenza.
Il codice, pur modificato e aggiornato nel 1956, cominciò a essere disatteso con sempre maggiore frequenza negli anni successivi, tanto da cadere, gradualmente, in desuetudine. Si fa risalire al 1966 l’anno in cui la sua operatività venne, di fatto, a cessare.
Ma i maggiori successi ottenuti da W. H. Hays alla guida della MPEAA (divenuta nel frattempo Motion Picture Export Association of America) non si registrarono tanto nella moralizzazione del cinema americano, quanto – piuttosto – nella sua straordinaria espansione internazionale, alla quale, in verità, egli dedicò le sue maggiori cure ed energie. Hays, nel perseguire questa sua politica, entrò spesso in contrasto con i governi di vari Paesi e attaccò vivacemente, in nome di un teorico quanto ferreo ‘liberismo’, le misure protezionistiche che alcuni di essi adottarono per fronteggiare o contenere, nei rispettivi mercati nazionali, il predominio commerciale dei film americani. Egli, peraltro, era convinto che attraverso l’esportazione dei film, si realizzava, al di là del profitto immediato e diretto dell’operazione, una viva presenza del Paese esportatore nei mercati esteri e dunque, dal suo punto di vista, la più efficace propaganda a favore dell’american way of life. A lui, infatti, viene attribuito il famoso slogan "la merce segue il film", al quale egli soggiungeva quasi per chiarire il concetto: dovunque penetra il film americano, vendiamo più prodotti americani. Hays aveva capito, in sostanza, che il film può diventare il miglior ambasciatore del Paese ed esercitare un’efficacissima azione di propaganda indiretta a favore della sua civiltà, del suo modo di vivere, delle sue istituzioni e, infine, delle sue merci. Egli, insomma, aveva intuito, prima e meglio di altri, la funzione ‘promozionale’ del cinema a favore dell’intera economia del Paese esportatore e, comunque, della sua ‘immagine’.
Se è vero che Hays dedicò all’espansione all’estero del film americano il suo massimo impegno, tanto da farne l’idea-guida del suo lungo ‘regno’ alla testa della MPEAA, è anche vero che l’introduzione del Codice che prese il suo nome si rivelò pienamente coerente e funzionale rispetto al disegno – più vasto e ambizioso e ampiamente realizzato – di un’egemonia economico-commerciale del cinema USA nel mondo. Il C.H., infatti, assicurava la presenza, in ciascun film americano, di quel ‘minimum etico’ che gli permetteva di affermarsi in qualsiasi luogo, dall’Europa all’India, dai Paesi arabi al Giappone, dall’America Latina alla Cina, senza urtare la sensibilità o la suscettibilità di pubblici tanto diversi e senza incontrare grossi problemi con i vari tipi di censura esistenti nel mondo.
Nel quadro di questa strategia espansiva, abilmente perseguita da Hays per un quarto di secolo, il suo famoso ‘codice’ raggiungeva, accanto alle dichiarate (e certamente sincere) finalità moralizzatrici, anche obiettivi economici non meno rilevanti, rispetto ai quali detto codice finì col costituire un ulteriore punto di forza e uno strumento dei più efficaci.

Bibliografia

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Note

Come citare questa voce
Bafile Paolo , Codice Hays, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (11/10/2024).
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