Pornografia
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Autore: Paolo Bafile
Rappresentazione cruda, degradata e quasi sempre volgare delle manifestazioni della sessualità, realizzata e diffusa, per lo più, a fini di speculazione commerciale.
Etimologicamente, la parola deriva da due vocaboli greci: pornè (prostituta) e grafia (scrittura).
Il fenomeno ha origini antiche, ma acquista dimensioni e importanza socioculturale, sia pure in senso negativo, con l’invenzione della stampa e, in seguito, con la fotografia, la cinematografia e, più recentemente, con le attuali tecniche di riproduzione delle immagini in movimento, come la televisione, le cassette, i videodischi, i CD-ROM, i videogiochi, ecc.
Le rappresentazioni pornografiche possono identificarsi, un po’ sbrigativamente e con qualche approssimazione, con le manifestazioni ‘contrarie al buon costume’, che sono espressamente vietate dalla Costituzione. Che i due concetti coincidano più o meno esattamente, può essere oggetto di discussione. Sta di fatto, però, che, almeno in Italia, i pubblici poteri tendono a trattare la p. come del resto le offese al buon costume con una certa indulgenza o lassismo, se non proprio connivenza, in sintonia con un diffuso atteggiamento d’indifferenza da parte di un’opinione pubblica, a sua volta influenzata dai mass-media, che tende a considerarla non come un fenomeno antigiuridico, socialmente dannoso e, in ogni caso, lesivo della dignità della persona, ma come un fenomeno blandamente ‘trasgressivo’, poco più che goliardico, al quale riservare una riprovazione appena accennata e, comunque, distratta e quasi condiscendente. Al punto che, in alcuni ambienti, per lo più interessati economicamente alla sua diffusione, si sono avviate vere e proprie campagne per la sostanziale legalizzazione o ‘normalizzazione’ della p., quasi che la sua diffusione valga ad accrescere l’area della libertà di pensiero e di espressione e a rimuovere uno degli ultimi tabù sopravvissuti.
Questa valutazione, oltre a essere giuridicamente scorretta, è anche fuorviante e mistificatoria. La realtà è ben diversa.
L’innegabile escalation della p. percorre, inevitabilmente, fasi o tappe successive, che la portano verso manifestazioni sempre più esasperate, sempre più degradate e degradanti. A parte la p. diffusa nella stampa specializzata e quella cinematografica che circola nei cosiddetti cinema ‘a luci rosse’, le sue manifestazioni più gravi e inquietanti si registrano oggi nel settore delle videocassette, la cui produzione, richiedendo un’attrezzatura minima e avendo costi bassissimi, è alla portata di chiunque disponga, anche temporaneamente, di una videocamera.
Il fatto è che la p. è diventata una vera e propria ‘industria’, la quale deve mettere in commercio prodotti sempre nuovi, cercando di seguire anche la diversificazione della domanda, fino a ‘specializzare’ e quasi ‘personalizzare’ l’offerta, con l’immissione nel mercato di videocassette hard-core dai contenuti sempre più crudi ed esasperati.
L’odierna p., insomma, per sopravvivere e per continuare a vendere, deve assecondare, ‘inseguire’ o addirittura precorrere anche le tendenze devianti e pluridevianti della sua particolare clientela, attraverso prodotti atti a soddisfare anche gusti particolari o minoritari dei potenziali consumatori. Tralasciando il campionario delle esemplificazioni, basti pensare alle videocassette per pedofili, a quelle per sadici e, quindi, anche a quelle per pedofili-sadici. Quando si giunge a questi livelli di perversione e di pluridevianza, con l’immancabile coinvolgimento e sfruttamento di ragazzi e bambini, la p. viene ad assumere i caratteri di una vera e propria attività criminale. Con tutta evidenza si tratta di un’attività che non è soltanto giuridicamente illecita nella fase di distribuzione e/o smercio del prodotto, ma che rivela, soprattutto nella fase di produzione, il suo carattere più gravemente delittuoso. Accade, infatti, che ‘nel’ realizzare e ‘per’ realizzare questo tipo di videocassette, vengano inflitte delle sevizie vere a bambini veri. Il tutto a uso e consumo di ‘fruitori’ di quelle immagini sempre turpi e talora atroci dirette a soddisfare, nell’esempio fatto, tendenze che sono pedofile e sadiche a un tempo.
Se si pensa a questi (peraltro immancabili) ‘punti di arrivo’ della p., si comprende come l’atteggiamento indulgente o connivente di certa pubblica opinione e, spesso, dei pubblici poteri, che tendono a minimizzare o sottovalutare il fenomeno, risulti a dir poco irresponsabile.
Ciò che importa considerare è che la p., anche senza percorrere il ‘piano inclinato’ delle devianze e senza arrivare alle manifestazioni esasperate di cui si è detto, non ha nulla a che fare né con la libertà di pensiero e di opinione, né con la libertà di espressione e tanto meno con l’arte o la cultura. Le ‘battaglie’ e le pressioni per una progressiva liberalizzazione della p. non sono in ogni caso, nonostante certe apparenze, battaglie di libertà. Si tratta, senza neppure considerare i casi-limite cui s’è accennato, di un’attività speculativa e criminosa a un tempo, che calpesta i diritti inviolabili della persona umana, col bambino o bambina nel ruolo di possibile vittima, e non soltanto di reati contro la pubblica moralità. La violazione di diritti fondamentali della persona in questo caso il diritto alla libertà sessuale, che, quando si tratta di bambini, si configura come inviolabilità viene perpetrata, ancor prima del processo distributivo-commerciale, nella fase di produzione, ossia per realizzare e nel realizzare determinati prodotti video.
Stando così le cose, contrariamente a ciò che buona parte dell’opinione pubblica è indotta a ritenere, una vera battaglia a favore della libertà si combatte contrastando la p., e non cercando di ottenerne una (insostenibile) ‘legalizzazione’ o normalizzazione. D’altra parte, l’auspicabile rifiuto della p., dovrebbe essere avvertito dall’opinione pubblica non tanto come espressione di pruderie, quanto come naturale corollario del (dovuto) rispetto della dignità della persona umana.
Dal punto di vista strettamente giuridico, un preciso ed espresso divieto della p., almeno per quanto riguarda il mezzo televisivo, è contenuto nella legge 6 agosto 1990 n. 223 sulla "disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" (art. 15, comma 10), che vieta la trasmissione di programmi televisivi che contengono "scene di violenza gratuita o pornografiche".
Tale divieto non fa che riprodurre, peraltro, una disposizione contenuta nella direttiva della Comunità Economica Europea del 3 ottobre 1989 n. 552 (art. 22), rivolta, dunque, a tutti i Paesi facenti parte dell’Unione Europea, ai quali si fa carico di emanare, sul punto, le necessarie (e conformi) normative interne.
Queste specifiche disposizioni confermano che il fenomeno-p. non va affatto sottovalutato o minimizzato (come vorrebbe la lobby interessata alla sua diffusione), ma va considerata innanzitutto come un grave disvalore dal punto di vista etico, sociale e culturale, che la stessa legislazione (europea e nazionale) considera come fatto giuridicamente illecito.
Etimologicamente, la parola deriva da due vocaboli greci: pornè (prostituta) e grafia (scrittura).
Il fenomeno ha origini antiche, ma acquista dimensioni e importanza socioculturale, sia pure in senso negativo, con l’invenzione della stampa e, in seguito, con la fotografia, la cinematografia e, più recentemente, con le attuali tecniche di riproduzione delle immagini in movimento, come la televisione, le cassette, i videodischi, i CD-ROM, i videogiochi, ecc.
Le rappresentazioni pornografiche possono identificarsi, un po’ sbrigativamente e con qualche approssimazione, con le manifestazioni ‘contrarie al buon costume’, che sono espressamente vietate dalla Costituzione. Che i due concetti coincidano più o meno esattamente, può essere oggetto di discussione. Sta di fatto, però, che, almeno in Italia, i pubblici poteri tendono a trattare la p. come del resto le offese al buon costume con una certa indulgenza o lassismo, se non proprio connivenza, in sintonia con un diffuso atteggiamento d’indifferenza da parte di un’opinione pubblica, a sua volta influenzata dai mass-media, che tende a considerarla non come un fenomeno antigiuridico, socialmente dannoso e, in ogni caso, lesivo della dignità della persona, ma come un fenomeno blandamente ‘trasgressivo’, poco più che goliardico, al quale riservare una riprovazione appena accennata e, comunque, distratta e quasi condiscendente. Al punto che, in alcuni ambienti, per lo più interessati economicamente alla sua diffusione, si sono avviate vere e proprie campagne per la sostanziale legalizzazione o ‘normalizzazione’ della p., quasi che la sua diffusione valga ad accrescere l’area della libertà di pensiero e di espressione e a rimuovere uno degli ultimi tabù sopravvissuti.
Questa valutazione, oltre a essere giuridicamente scorretta, è anche fuorviante e mistificatoria. La realtà è ben diversa.
L’innegabile escalation della p. percorre, inevitabilmente, fasi o tappe successive, che la portano verso manifestazioni sempre più esasperate, sempre più degradate e degradanti. A parte la p. diffusa nella stampa specializzata e quella cinematografica che circola nei cosiddetti cinema ‘a luci rosse’, le sue manifestazioni più gravi e inquietanti si registrano oggi nel settore delle videocassette, la cui produzione, richiedendo un’attrezzatura minima e avendo costi bassissimi, è alla portata di chiunque disponga, anche temporaneamente, di una videocamera.
Il fatto è che la p. è diventata una vera e propria ‘industria’, la quale deve mettere in commercio prodotti sempre nuovi, cercando di seguire anche la diversificazione della domanda, fino a ‘specializzare’ e quasi ‘personalizzare’ l’offerta, con l’immissione nel mercato di videocassette hard-core dai contenuti sempre più crudi ed esasperati.
L’odierna p., insomma, per sopravvivere e per continuare a vendere, deve assecondare, ‘inseguire’ o addirittura precorrere anche le tendenze devianti e pluridevianti della sua particolare clientela, attraverso prodotti atti a soddisfare anche gusti particolari o minoritari dei potenziali consumatori. Tralasciando il campionario delle esemplificazioni, basti pensare alle videocassette per pedofili, a quelle per sadici e, quindi, anche a quelle per pedofili-sadici. Quando si giunge a questi livelli di perversione e di pluridevianza, con l’immancabile coinvolgimento e sfruttamento di ragazzi e bambini, la p. viene ad assumere i caratteri di una vera e propria attività criminale. Con tutta evidenza si tratta di un’attività che non è soltanto giuridicamente illecita nella fase di distribuzione e/o smercio del prodotto, ma che rivela, soprattutto nella fase di produzione, il suo carattere più gravemente delittuoso. Accade, infatti, che ‘nel’ realizzare e ‘per’ realizzare questo tipo di videocassette, vengano inflitte delle sevizie vere a bambini veri. Il tutto a uso e consumo di ‘fruitori’ di quelle immagini sempre turpi e talora atroci dirette a soddisfare, nell’esempio fatto, tendenze che sono pedofile e sadiche a un tempo.
Se si pensa a questi (peraltro immancabili) ‘punti di arrivo’ della p., si comprende come l’atteggiamento indulgente o connivente di certa pubblica opinione e, spesso, dei pubblici poteri, che tendono a minimizzare o sottovalutare il fenomeno, risulti a dir poco irresponsabile.
Ciò che importa considerare è che la p., anche senza percorrere il ‘piano inclinato’ delle devianze e senza arrivare alle manifestazioni esasperate di cui si è detto, non ha nulla a che fare né con la libertà di pensiero e di opinione, né con la libertà di espressione e tanto meno con l’arte o la cultura. Le ‘battaglie’ e le pressioni per una progressiva liberalizzazione della p. non sono in ogni caso, nonostante certe apparenze, battaglie di libertà. Si tratta, senza neppure considerare i casi-limite cui s’è accennato, di un’attività speculativa e criminosa a un tempo, che calpesta i diritti inviolabili della persona umana, col bambino o bambina nel ruolo di possibile vittima, e non soltanto di reati contro la pubblica moralità. La violazione di diritti fondamentali della persona in questo caso il diritto alla libertà sessuale, che, quando si tratta di bambini, si configura come inviolabilità viene perpetrata, ancor prima del processo distributivo-commerciale, nella fase di produzione, ossia per realizzare e nel realizzare determinati prodotti video.
Stando così le cose, contrariamente a ciò che buona parte dell’opinione pubblica è indotta a ritenere, una vera battaglia a favore della libertà si combatte contrastando la p., e non cercando di ottenerne una (insostenibile) ‘legalizzazione’ o normalizzazione. D’altra parte, l’auspicabile rifiuto della p., dovrebbe essere avvertito dall’opinione pubblica non tanto come espressione di pruderie, quanto come naturale corollario del (dovuto) rispetto della dignità della persona umana.
Dal punto di vista strettamente giuridico, un preciso ed espresso divieto della p., almeno per quanto riguarda il mezzo televisivo, è contenuto nella legge 6 agosto 1990 n. 223 sulla "disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" (art. 15, comma 10), che vieta la trasmissione di programmi televisivi che contengono "scene di violenza gratuita o pornografiche".
Tale divieto non fa che riprodurre, peraltro, una disposizione contenuta nella direttiva della Comunità Economica Europea del 3 ottobre 1989 n. 552 (art. 22), rivolta, dunque, a tutti i Paesi facenti parte dell’Unione Europea, ai quali si fa carico di emanare, sul punto, le necessarie (e conformi) normative interne.
Queste specifiche disposizioni confermano che il fenomeno-p. non va affatto sottovalutato o minimizzato (come vorrebbe la lobby interessata alla sua diffusione), ma va considerata innanzitutto come un grave disvalore dal punto di vista etico, sociale e culturale, che la stessa legislazione (europea e nazionale) considera come fatto giuridicamente illecito.
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Bibliografia
- BAFILE Paolo (ed.), Mass media e pornografia, Ente dello Spettacolo, Roma 1988.
- BUREAU INTERNATIONAL CATHOLIQUE DE L’ENFANCE, L’enfant et la pornographie, Bice, Genève 1988.
- ECO Umberto, Dalla periferia dell’impero. Cronache da un nuovo medioevo, Bompiani, Milano 2003.
- ISTITUTO DI STUDI POLITICI ECONOMICI E SOCIALI, Il Rapporto ISPES sulla pornografia in Italia, ISPES, Roma 1988.
- LINZ Daniel, Pornography, Sage, Newbury Park (CA) 1993.
- PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione, ELLEDICI, Leumann (TO) 1989.
- PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale, Libreria Editrice Vaticana, Vaticano 1989.
- TROPIANO Stephen, Obscene, indecent, immoral, and offensive : 100+ years of censored, banned, and controversial films, Limelight Editions, New York 2009.
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Come citare questa voce
Bafile Paolo , Pornografia, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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