Censura

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Autore: Paolo Bafile

1. Definizione

Nel senso più ampio e approssimativo della parola, la c. è il controllo, per lo più esercitato dai pubblici poteri, sulle pubblicazioni, sulla corrispondenza, sulle notizie, sulle opinioni, sulle espressioni del pensiero, sugli spettacoli (teatrali, cinematografici, televisivi) e su altre manifestazioni, diretto a impedire o limitare la diffusione di quanto venga ritenuto contrario all’interesse generale (reale o presunto) della collettività (Diritto e comunicazione;Libertà e comunicazione; Politica e informazione).
In senso più ristretto (e più tecnico) è l’intervento, esercitato in via preventiva, da parte del potere esecutivo – il più delle volte previo parere di apposite commissioni di revisione – diretto a stabilire se, ad esempio, un certo testo teatrale o un certo film possa essere rappresentato o proiettato in pubblico. Alle stesse commissioni consultive e alla stessa autorità amministrativa viene poi, normalmente, demandato anche il compito di disporre – contestualmente – eventuali divieti o limitazioni per fasce d’età (anche se tali valutazioni non rientrano propriamente nel concetto tecnico-giuridico di c., rispondendo al fine, più specifico e più generalmente avvertito e condiviso, della tutela dei minori) (Minori e mass media).
Esulano, comunque, dal concetto di c. amministrativa gli eventuali interventi repressivi da parte dell’Autorità giudiziaria, in caso di violazioni di norme penali.

2. La normativa italiana per il cinema

In Italia la c. (o ‘revisione’) cinematografica è tuttora regolata dalla legge-base 21 aprile 1962 n. 161, anche se questa è stata modificata, in alcuni punti, dall’art. 27/bis della legge 1° marzo 1994 n. 153 e, successivamente, da ulteriori interventi legislativi di cui si dirà ai successivi paragrafi 5 e 6.
La citata legge-base del 1962 dispone che la proiezione in pubblico del film sia soggetta a ‘nulla osta’ preventivo da parte del ministero del Turismo e dello Spettacolo (ora ministero per i Beni e le Attività culturali), previo parere – obbligatorio e vincolante – di apposite commissioni di revisione. Ciascuna commissione è composta da sette persone: un magistrato di Cassazione che la presiede, un professore universitario di materie giuridiche, un professore di pedagogia, uno di psicologia e da tre rappresentanti delle categorie dei registi, dei giornalisti cinematografici e dell’industria (ossia dei produttori, distributori ed esercenti cinema).
L’art. 6 della legge precisa che ciascuna commissione deve dare "parere contrario, specificandone i motivi, esclusivamente ove ravvisi nel film, sia nel complesso, sia in singole scene o sequenze, offesa al buon costume". Lo stretto collegamento di tale normativa col dettato costituzionale è sottolineato dal comma successivo, che così dispone: "Il riferimento al buon costume (...) s’intende fatto ai sensi dell’art. 21 della Costituzione". E, in base a una giurisprudenza interpretativa ormai pacifica (e, comunque, prevalente), il concetto di buon costume cui s’ispira la Costituzione non si estende, genericamente, ai boni mores, ma, in senso più proprio e ristretto, alle possibili offese all’onore sessuale e al sentimento del pudore.
Le commissioni di revisione, contestualmente al parere favorevole al rilascio del ‘nulla osta’, stabiliscono anche se la proiezione in pubblico del film debba essere vietata ai minori degli anni 14 o degli anni 18 "in relazione alla particolare sensibilità dell’età evolutiva ed alle esigenze della sua tutela morale" (art. 5).
Nel disporre l’eventuale divieto ai minori, le commissioni non devono, però, tener conto solo del criterio del buon costume. Il regolamento di esecuzione della citata legge n. 161 emanato l’anno successivo (D.P.R. 11 novembre 1963 n. 2029) precisa, infatti, all’art. 9, che "debbono ritenersi in ogni caso vietate ai minori le opere cinematografiche e teatrali che, pur non costituendo offesa al buon costume ai sensi dell’art. 6 della legge, contengano battute o gesti volgari; indulgano a comportamenti amorali; contengano scene erotiche o di violenza verso uomini o animali, o relative a operazioni chirurgiche o a fenomeni ipnotici o medianici, se rappresentati in forma particolarmente impressionante, o riguardanti l’uso di sostanze stupefacenti; fomentino l’odio o la vendetta; presentino crimini in forma tale da indurre all’imitazione o il suicidio in forma suggestiva".
Lo stesso decreto precisa che "alla determinazione del diverso limite d’età la commissione provvede tenendo conto della gravità e della insistenza degli elementi indicati".
Tale precisazione comporta, come ovvia conseguenza, che la commissione, prima di esprimere le sue valutazioni, debba prendere visione integrale del film: altrimenti non potrebbe valutare l’eventuale gravità e/o insistenza degli elementi negativi in esso contenuti. (Cinema)

3. La revisione teatrale

Per le opere teatrali, a partire dalla stessa legge 21 aprile 1962 n. 161, non era più previsto un regime di c. nel senso tecnico della parola. Infatti, la rappresentazione in pubblico di testi teatrali non è stata soggetta, da allora, ad alcun ‘nulla osta’. L’esame da parte della commissione di revisione teatrale era, infatti, facoltativa e riguardava solo la possibilità di ammettere il pubblico infradiciottenne ad assistere alle pubbliche rappresentazioni.
Tale specifica autorizzazione riguardante i minori poteva essere accordata o rifiutata, ma non limitava, né condizionava in alcun modo la possibilità di rappresentare liberamente il testo teatrale di fronte a un pubblico di maggiorenni. In altri termini, se gli interessati si auto-imponevano il divieto per i minori di 18 anni ad assistere alla rappresentazione, lo spettacolo poteva andare liberamente in scena senza alcun controllo preventivo.
Le commissioni di revisione teatrale, secondo la citata legge del 1962, erano composte di tre membri: un magistrato di Cassazione, un professore universitario di pedagogia (oppure un insegnante di ruolo di pedagogia negli istituti magistrali) e un autore teatrale. Anche i pareri di queste commissioni erano vincolanti per l’Amministrazione che emanava il formale provvedimento. Qualora le opere teatrali non fossero state presentate all’esame della commissione, si consideravano, ovviamente, vietate ai minori di 18 anni.
Ma anche questo particolare (e facoltativo) esame, finalizzato esclusivamente alla tutela dei minori e, dunque, di tipo non-censorio, è stato recentemente – e inopinatamente – cancellato dal decreto legislativo 8 gennaio 1998 n. 3 (art. 8), che ha abrogato gli articoli (e i riferimenti legislativi) che concernevano la composizione e il funzionamento delle commissioni di revisione teatrale. Cosicché, abolito l’organo che la esercitava, viene implicitamente abolita la funzione. Pertanto, a partire dal gennaio 1998, i testi teatrali non possono essere più sottoposti, neppure nel caso in cui gli stessi interessati spontaneamente la richiedessero, a una revisione preventiva diretta all’ammissione dei minori di 18 anni alle rappresentazioni. Tutti i lavori teatrali sono diventati ‘uguali’, nel senso che è venuta a scomparire anche la distinzione – prevista, appunto, dalla legge del 1962 – fra lavori teatrali ‘per tutti’ e quelli da riservare a un pubblico di maggiorenni.
Questa distinzione si era, peraltro, rivelata assai utile, oltre che ai fini della trasmissibilità o meno in televisione dei vari testi teatrali e per meglio orientare famiglie e genitori, soprattutto per i Provveditori agli studi e per i Presidi di scuola media, affinché questi potessero scegliere con il necessario discernimento gli spettacoli teatrali da offrire agli alunni delle scuole – anche in apposite matinées – allo scopo di avvicinarli a questa (nobile) forma d’arte e di spettacolo. Anche per queste ragioni l’abolizione improvvisa di una revisione teatrale che, avendo carattere facoltativo e non prevedendo l’ipotesi di divieto assoluto di rappresentazione, costituiva una ‘non-c.’, appare particolarmente improvvida e inspiegabile. (Teatro)

4. Problemi di applicazione

Mentre il funzionamento della revisione teatrale non ha dato luogo – nei 36 anni in cui è stata in vigore – a problemi degni di rilievo, la c. sui film ha rivelato notevoli inconvenienti. Il più grave è dovuto alla stessa composizione delle commissioni. In particolare la presenza in esse di componenti che sono, più o meno direttamente, interessati alla più ampia e indiscriminata concessione del "nulla osta di proiezione in pubblico" ha fatto sì che la revisione cinematografica non abbia esercitato quell’azione di ‘filtro’ che avrebbe dovuto esercitare. L’inconveniente è accentuato dal fatto che le commissioni, considerandosi legalmente costituite con la presenza della metà più uno dei suoi componenti, possano operare con la presenza anche di soli quattro di essi, compreso il presidente. Quando, oltre al presidente, sono presenti i tre rappresentanti di categoria, è il parere di questi ultimi a prevalere, anche con l’eventuale dissenso espresso dal magistrato-presidente.
In questo modo si spiega come mai in Italia esista un vero e proprio ‘circuito’ di cinema cosiddetti a luci rosse, nei quali vengono proiettati ‘legalmente’ film di contenuto dichiaratamente e inequivocabilmente pornografico; e che tali film siano tutti muniti di ‘regolare’ autorizzazione amministrativa (‘nulla osta’ di proiezione in pubblico). Se la legge fosse correttamente applicata, infatti, tale ‘nulla osta’ dovrebbe essere negato non solo ai sensi della specifica legge sulla revisione cinematografica, ma anche in attuazione dell’articolo 21 (ultimo comma) della Costituzione, che vieta espressamente gli spettacoli "contrari al buon costume", prevedendo anche adeguati provvedimenti per prevenire – oltre che reprimere – le eventuali violazioni.
In pratica, accade che il ‘nulla osta’, magari con un divieto ai minori di 18 anni, non viene negato – ormai – a nessun film, anche se questa prassi si pone in netto contrasto con le norme sopra citate.
Altrettanto discutibile risulta, all’atto pratico, la classificazione operata dalle commissioni (film per tutti, vietato ai minori di 14 anni, vietato ai minori di 18 anni) che accompagna il rilascio del ‘visto di c.’. Con effetti deleteri, che si riflettono anche sulla programmazione dei film in televisione. La legge 6 agosto 1990 n. 223 sulla "disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" (comunemente indicata come "legge Mammì") stabilisce, infatti, che i film vietati ai minori di 18 anni non possono essere trasmessi in televisione e che quelli vietati ai minori di 14 anni possono essere trasmessi soltanto in tarda serata (e precisamente dalle ore 22.30 alle 7 del mattino).
Ciò ha determinato un forte interesse, da parte dei richiedenti, a ottenere un ‘nulla osta’ incondizionato (film per tutti) o, quanto meno, un divieto ai minori di 14 anni. Si è, così, verificata una sorta di ‘corsa’ a ottenere, nel caso di divieto ai minori, un riesame del film al fine di attenuare il divieto (dai 18 ai 14 anni) o al fine di eliminarlo del tutto, dopo aver apportato al film esaminato in prima istanza qualche opportuno (o furbesco) ‘taglio’ o ‘alleggerimento’. Tale prassi ha portato anche a situazioni paradossali, per cui dello stesso film erano – e sono – in circolazione ben tre edizioni: una vietata ai minori di 18 anni, una vietata ai minori di 14 anni e una terza ammessa per tutti. Ciò è stato possibile per l’atteggiamento benevolo, compiacente, talvolta connivente, se non proprio complice, di alcuni componenti delle commissioni, il cui parere è risultato, per quanto è stato detto sopra, praticamente determinante.
Il fatto, poi, che, come risulta chiaramente dalla consultazione di alcuni verbali di riunione delle commissioni, in una sola seduta siano stati esaminati ben 15, 17 e perfino 19 (!) film dimostra, con assoluta certezza, che i film non sono stati neppure visionati per intero ma, nella migliore delle ipotesi, ‘a campione’, cioè parzialmente.

5. La nuova disciplina

Quella descritta nel secondo paragrafo è, in sintesi, la disciplina della revisione cinematografica ancora in vigore all’inizio dell’anno 1995. Tuttavia, le sue palesi disfunzioni, portate a debita conoscenza dell’opinione pubblica e dei pubblici poteri, avevano indotto governo e Parlamento ad apportare alla citata legge-base del 21 aprile 1962 n. 161 una parziale ma significativa riforma, attraverso il decreto-legge 29 marzo 1995 n. 97, poi convertito nella legge 30 maggio 1995 n. 203 sul "Riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e sport".
Questo provvedimento legislativo, però, pur essendo stato regolarmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello stesso 30 maggio 1995 e, dunque, formalmente in vigore come legge dello Stato, non era ancora divenuto operativo – a tutto il mese di gennaio 2001 – per la mancata emanazione dei decreti attuativi ivi previsti e che, peraltro, avrebbero dovuto essere emanati entro i sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, ossia entro il novembre dello stesso 1995. Va, comunque, precisato il suo contenuto riformatore, almeno nei suoi tratti essenziali. La composizione delle commissioni di revisione, innanzitutto, era stata notevolmente modificata. Le nuove commissioni erano presiedute da un docente di materie giuridiche e composte da un docente di psicologia dell’età evolutiva, un docente di pedagogia, due esperti di cultura cinematografica (scelti fra critici, studiosi e autori), quattro rappresentanti dei genitori (designati dalle associazioni più rappresentative) e, infine, due rappresentanti delle categorie di settore (cioè produttori, distributori ed esercenti cinema).
A differenza di quanto stabilito dalla legge n. 161 del 1962, i pareri delle nuove commissioni dovevano essere adottati con la maggioranza dei componenti delle commissioni, anziché dalla maggioranza dei presenti. Questa piccola innovazione avrebbe garantito alle deliberazioni almeno una maggioranza effettiva, commisurata all’intera commissione e non solo al numero dei voti espressi.
Un’altra innovazione significativa, diretta anch’essa ad assicurare il funzionamento a ranghi completi (o, comunque, il più completi possibile) delle commissioni, era quella che disponeva la nomina di un supplente per ciascuno dei componenti effettivi di questi organi collegiali. La nuova norma era funzionalmente collegata, con tutta evidenza, a quella che impone deliberazioni prese da maggioranze riferite al plenum delle commissioni, e non a uno sparuto gruppo di presenti.

6. Una ‘riforma’ cancellata

Sennonché, prima che la ‘riforma’ del 1995 (che, come si è visto, era sostanzialmente diretta a correggere i più gravi inconvenienti della legge-base del 1962) potesse divenire operativa, è sopravvenuto il decreto legislativo 8 gennaio 1998 n. 3 (già citato a proposito della ‘abolizione’ della revisione teatrale), il quale ha cancellato proprio le più importanti innovazioni o rettifiche previste nella suddetta ‘riforma’, riportando le cose allo stato primitivo. E in particolare: i rappresentanti dei genitori nelle commissioni di revisione si riducono da quattro a due (ne restano quattro solo per l’esame – peraltro facoltativo – della fiction televisiva al fine di stabilire la collocazione del programma in una delle due ‘fasce orarie’ che vanno dalle ore 7 alle 23.00 e dalle 23.00 alle 7.00); la presenza in commissione dello psicologo diviene alternativa rispetto a quella del pedagogista (mentre le due figure professionali facevano parte entrambe delle commissioni di revisione fin dal 1962; non è più prevista la nomina di un supplente per ciascun componente delle commissioni (il quale avrebbe assicurato o – comunque – facilitato la presenza dei commissari alle riunioni); per le deliberazioni torna a essere valida la maggioranza dei presenti (e non più dei componenti la commissione, come saggiamente aveva disposto la legge del 1995): cosicché, essendo otto i componenti ordinari di ciascuna commissione e dovendosi questa considerare legalmente costituita con la partecipazione di cinque componenti, le deliberazioni potrebbero essere (di nuovo) adottate con soli tre voti favorevoli (ossia da una maggioranza di presenti che è, però, minoranza rispetto al ‘plenum’ della commissione).
Si può affermare, pertanto, che la (pur cauta e parziale) riforma della revisione cinematografica tracciata con la legge del 1995 (che aveva cercato di rimediare alle incongruenze e alle anomalie applicative registrate nei 33 anni di vigenza della legge-base del 1962) – prima ancora che potesse divenire operante, per l’omessa emanazione delle previste norme regolamentari di attuazione – è stata poi, di fatto, cancellata tre anni dopo, col decreto legislativo dell’8 gennaio 1998. Per questi motivi, dopo aver doverosamente registrato sia la ‘mini-riforma’ del 1995, sia la ‘contro-riforma’ del 1998, si deve malinconicamente concludere che solo nel febbraio del 2001, con l’attesa emanazione delle norme attuative e con i decreti di nomina delle nuove commissioni, che comprendono per la prima volta i genitori, sono state rese finalmente esecutive le (modeste) modifiche alla legge-base del 21 aprile 1962 n. 161 di cui si è detto.

7. Esperienze straniere

Non in tutti i Paesi esiste una c. cinematografica esercitata dai pubblici poteri. In molti Paesi, soprattutto del mondo anglosassone, vigono forme che si potrebbero definire, più o meno propriamente, di autocensura, o di autoregolamentazione, esercitate dalle stesse categorie economiche e/o professionali del mondo del cinema e dello spettacolo (per esempio il Film Censorship Board australiano, oppure il British Board of Film Classification inglese o la Classification and Rating Administration degli Stati Uniti, che è emanazione dell’associazione dei produttori MPAA, Motion Picture Association of America). Queste strutture classificano i film in alcune categorie, con riferimento a diversi limiti di età, ma l’esame dei film ha carattere volontario e, pertanto, gli eventuali divieti o esclusioni non sono assistiti e resi persuasivi da adeguate sanzioni. Tuttavia, non si può negare una certa efficacia pratica della loro azione, soprattutto nel senso di responsabilizzare autori, produttori e distributori di film.
Questi sistemi di autoregolamentazione esulano, però, dal concetto tecnico-giuridico di c., la quale è, per definizione, quella esercitata da organi dello Stato e che prevede, come ipotesi estrema, anche il divieto di circolazione del film. Ipotesi, quest’ultima, contemplata in Francia, ma anche in Svezia e nella stessa Gran Bretagna.
Si può dire, in generale, che nei Paesi latini tendono a prevalere sistemi di c. statale, mentre nel mondo di tradizione anglosassone e germanica tendono a prevalere sistemi di autoregolamentazione professionale.
Resta da segnalare, a puro titolo d’informazione, che nei Paesi arabi e, in genere, nei Paesi di religione musulmana, la c. è particolarmente severa e intransigente.

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Note

Come citare questa voce
Bafile Paolo , Censura, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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