Diffamazione
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Autore: Giulio Votano
Il reato di d. è configurato in Italia dall’art. 595 del codice penale come l’offesa, realizzata "comunicando con più persone", della reputazione, dell’onore o del decoro di altra persona assente. Per reputazione, secondo una giurisprudenza consolidata, si intende il "rispetto sociale minimo", ossia l’apprezzamento o l’opinione goduta dall’individuo nel contesto sociale. La norma penale prevede, nell’ipotesi di attribuzione di un fatto determinato (la quale, tra l’altro, costituisce circostanza aggravante), il deferimento del giudizio sulla verità del fatto a un apposito Giurì d’onore, la cui decisione favorevole avrebbe l’effetto di assolvere l’imputato: tuttavia, tale procedimento non ha avuto praticamente mai applicazione.
Il reato di d. assume in tutta evidenza un rilievo particolare ove si riferisca alla comunicazione di massa: se, infatti, la previsione generale tende a proteggere l’interesse alla reputazione di fronte alla diffusione della notizia lesiva a una indistinta molteplicità di persone, protezione più efficace dovrà esser prevista qualora la d. sia realizzata attraverso i media, la cui capillarità garantisce vasta audience al fatto lesivo in relazione alla estensione della platea dei fruitori dell’informazione.
Proprio in considerazione di tale accresciuta potenzialità lesiva, l’ordinamento prevede una disciplina specifica per l’ipotesi di d. commessa a mezzo della stampa, oggi applicata alla generalità dei mezzi di comunicazione di massa: l’art. 595, co. 3, del codice penale aggrava la sanzione della reclusione prevista per la d. semplice; l’art. 596 bis attribuisce al direttore o vicedirettore responsabile una responsabilità penale concorrente con l’autore del reato (e si tratta di un caso di responsabilità oggettiva); l’art. 12 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47 impone al condannato per d. a mezzo della stampa l’obbligo della riparazione pecuniaria, in aggiunta al risarcimento del danno, nei confronti della persona lesa, mentre l’art. 13 della stessa legge definisce l’attribuzione di un fatto determinato come una circostanza aggravante.
Nell’applicazione concreta da parte dell’autorità giudiziaria, tuttavia, anche la disciplina della d. nella comunicazione di massa deve contemperarsi con le esigenze connesse alla esplicazione della libertà costituzionalmente garantita. Pertanto, perché sia riconosciuta la sussistenza del reato è necessario anzitutto un elemento psicologico doloso, ossia la coscienza e volontà di diffamare; e, in molti casi, una giurisprudenza consolidata tra cui si annovera il famoso decalogo del giornalista (Diritto e comunicazione) elaborato dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5259 del 1984 attribuisce al diritto di cronaca e di critica, sanciti dall’art. 21 della Costituzione, priorità tale da eliminare la rilevanza penale della notizia diffamatrice quando sussistano le condizioni della verità oggettiva della notizia, della esistenza di un interesse pubblico connesso con la sua utilità sociale, in particolare con riferimento alla formazione della pubblica opinione, della obiettività espositiva della informazione e della forma civile della critica. Si richiede, inoltre, all’operatore di comunicazione il controllo scrupoloso sulla verità e sulla fondatezza delle fonti informative, ammettendosi peraltro la configurabilità dell’errore sulla veridicità delle fonti utilizzate.
La natura diffamatoria non è caratteristica esclusiva dei testi di informazione, poiché gli estremi del reato si possono verificare anche nella titolazione, e in particolare nei titoli che amplifichino o travisino un testo di per sé veritiero.
Il caso della d. costituisce, dunque, una ipotesi di reciproco contemperamento tra la tutela dei diritti della persona, in particolare la dignità personale, e la garanzia del diritto di manifestare il proprio pensiero: se questo non può ledere l’onore e la reputazione degli individui si ritiene lecita la divulgazione di notizie obiettivamente diffamatorie ove essa sia contenuta entro i limiti generali posti all’esercizio dell’attività informativa dalla protezione di altri interessi di rango costituzionale.
Il reato di d. assume in tutta evidenza un rilievo particolare ove si riferisca alla comunicazione di massa: se, infatti, la previsione generale tende a proteggere l’interesse alla reputazione di fronte alla diffusione della notizia lesiva a una indistinta molteplicità di persone, protezione più efficace dovrà esser prevista qualora la d. sia realizzata attraverso i media, la cui capillarità garantisce vasta audience al fatto lesivo in relazione alla estensione della platea dei fruitori dell’informazione.
Proprio in considerazione di tale accresciuta potenzialità lesiva, l’ordinamento prevede una disciplina specifica per l’ipotesi di d. commessa a mezzo della stampa, oggi applicata alla generalità dei mezzi di comunicazione di massa: l’art. 595, co. 3, del codice penale aggrava la sanzione della reclusione prevista per la d. semplice; l’art. 596 bis attribuisce al direttore o vicedirettore responsabile una responsabilità penale concorrente con l’autore del reato (e si tratta di un caso di responsabilità oggettiva); l’art. 12 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47 impone al condannato per d. a mezzo della stampa l’obbligo della riparazione pecuniaria, in aggiunta al risarcimento del danno, nei confronti della persona lesa, mentre l’art. 13 della stessa legge definisce l’attribuzione di un fatto determinato come una circostanza aggravante.
Nell’applicazione concreta da parte dell’autorità giudiziaria, tuttavia, anche la disciplina della d. nella comunicazione di massa deve contemperarsi con le esigenze connesse alla esplicazione della libertà costituzionalmente garantita. Pertanto, perché sia riconosciuta la sussistenza del reato è necessario anzitutto un elemento psicologico doloso, ossia la coscienza e volontà di diffamare; e, in molti casi, una giurisprudenza consolidata tra cui si annovera il famoso decalogo del giornalista (Diritto e comunicazione) elaborato dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5259 del 1984 attribuisce al diritto di cronaca e di critica, sanciti dall’art. 21 della Costituzione, priorità tale da eliminare la rilevanza penale della notizia diffamatrice quando sussistano le condizioni della verità oggettiva della notizia, della esistenza di un interesse pubblico connesso con la sua utilità sociale, in particolare con riferimento alla formazione della pubblica opinione, della obiettività espositiva della informazione e della forma civile della critica. Si richiede, inoltre, all’operatore di comunicazione il controllo scrupoloso sulla verità e sulla fondatezza delle fonti informative, ammettendosi peraltro la configurabilità dell’errore sulla veridicità delle fonti utilizzate.
La natura diffamatoria non è caratteristica esclusiva dei testi di informazione, poiché gli estremi del reato si possono verificare anche nella titolazione, e in particolare nei titoli che amplifichino o travisino un testo di per sé veritiero.
Il caso della d. costituisce, dunque, una ipotesi di reciproco contemperamento tra la tutela dei diritti della persona, in particolare la dignità personale, e la garanzia del diritto di manifestare il proprio pensiero: se questo non può ledere l’onore e la reputazione degli individui si ritiene lecita la divulgazione di notizie obiettivamente diffamatorie ove essa sia contenuta entro i limiti generali posti all’esercizio dell’attività informativa dalla protezione di altri interessi di rango costituzionale.
G. Votano
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Bibliografia
- BICO Francesco/SORGATO Alessia, Diffamazione. Aspetti pratici e nuove problematiche, Giappichelli Editore, Torino 2007.
- CHIAROLLA Mirella, La diffamazione a mezzo stampa. Analisi critica della normativa tra diritto di cronaca, diffamazione, privacy, Experta, Forli 2004.
- CHINDEMI Domenico, Diffamazione a mezzo stampa (radio-televisione-Internet), Giuffrè, Milano 2006.
- CULTRERA Stefano, Diffamazione, Internet e libertà di stampa, Halley Editrice, Matelica 2006.
- D'APOLLO Luca, Danno morale e reato. Risarcimento in caso di lesioni e omicidio colposo da sinistro stradale, diffamazione e ingiuria, danno dell'ambiente, stalking, Giappichelli Editore, Torino 2010.
- PARTIPILO Michele, Le notizie e la persona. Dalla diffamazione alla tutela della privacy, Cacucci Editore, Bari 2005.
- PERON Sabina, La diffamazione tramite mass-media, CEDAM, Milano 2008.
- PEZZELLA Vincenzo, La diffamazione. Responsabilità penale e civile, UTET, Torino 2009.
- RAZZANTE Ruben, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione. Con riferimento alla tutela della privacy, alla diffamazione e all’editoria on-line, CEDAM, Padova 2008.
- ROIDI Vittorio - BOVIO Corso - DE MAURO Tullio, Studiare da giornalista, Centro Documentazione Educativa, Modena 2005.
- TESAURO Alessandro, La diffamazione come reato debole e incerto, Giappichelli Editore, Torino 2005.
- VERDE Filippo, Diffamazione a mezzo stampa e l'esimente dell'esercizio del diritto, Cacucci Editore, Bari 2009.
- VERRI Francesco/CARDONE Vincenzo, Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno, Giuffrè, Milano 2007.
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Come citare questa voce
Votano Giulio , Diffamazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (10/11/2024).
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