Televisione educativa

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1. Negazioni

La domanda se e in quali maniere la televisione possa essere, o diventare, educativa ne accompagna la storia fin dalle origini. Le risposte sono riportabili a tre approcci:
1) assolutamente negativo: la t.e. è per se stessa un non senso pedagogico;
2) positivo in senso materiale: la t.e. è tale per il contenuto delle sue comunicazioni (divulgazione scientifica, informazione, didattica per gli adulti, ecc.) e per il messaggio morale dei suoi spettacoli (edificazione, buoni esempi, e via dicendo);
3) positivo in senso formale: la televisione può essere oggetto di attività di carattere educativo rivolte alla sua fruizione critica.
U. Eco (1964) ha indicato, con le categorie degli ‘apocalittici’ e degli ‘integrati’, i due termini descrittivi di perdurante valore rispetto alla funzione socioculturale dei mass media, ai quali si può aggiungere, dal punto di vista pedagogico, che la spinta a porsi sul primo versante si può ritenere senz’altro prevalente nei confronti di quella opposta; M. McLuhan ha stabilito, a sua volta, il principio per cui il mezzo possiede comunque una sua ben poco resistibile forza di imposizione, che gli consente di determinare la natura del messaggio stesso e di segnare in larghissima misura i limiti della sua decodificabilità; N. Postman (1981), infine, ha affermato che la fruizione televisiva costruisce un ‘primo curricolo’ caratterizzato dalla banalizzazione, dalla passivizzazione e dall’eliminazione della distinzione fra le età e le competenze, a cui si può porre riparo soltanto dall’esterno, attraverso la contrapposizione di un ‘secondo curricolo’ (razionale, sistematico, rigorosamente controllato) in funzione riequilibratoria nei confronti del primo.
Il divorzio fra televisione ed educazione (inclusa l’istruzione scolastica) poteva ritenersi quindi sancito. La sentenza è stata ritenuta – e da parte di molti tutt’ora la si ritiene – priva di qualsiasi possibilità di appello, in base a rilevazioni molto evidenti: passività muscolare, fissità oculare, inibizione del pensiero, depauperamento delle capacità immaginative e creative, riduzione dei rapporti interpersonali, prevalenza di contenuti di tipo esclusivamente consolatorio, sostituzione della realtà con la sua rappresentazione, attenuazione dell’autoriflessione, sovraesposizione alla rappresentazione della violenza, e così via. Sono venute in evidenza osservazioni – come il vocabolario ridotto e degradato, l’assenza di concatenazioni e di congiunzioni, la ricerca di effetti spettacolarizzati, l’inclinazione a espressioni affettive piuttosto che logiche, la propensione per le immagini globalmente riassuntive a danno delle articolazioni e delle differenziazioni – che hanno assunto la veste di un attacco alla ‘cultura segnico-semiotica di massa’ come cultura di evasione, facilizzante, passivizzante, incline alla creazione di illusioni di vario genere, ludica e centrata sui meccanismi della suggestione. Il disimpegno dal mondo, dalla storia, dal lavoro, dallo studio (in una parola: dalla realtà) sembra costituirne la motivazione più saliente in senso negativo.
PROPOSTA DOMANDA SODDISFATTA DOMANDA NON SODDISFATTA
Passare piacevolmente il tempo libero Evasione Impegno e responsabilità
Modello discorsivo orientato al flusso continuo e alla caduta di principi ordinari esterni a sé Disimpegno valoriale Recupero valoriale
Interazione fiduciosa e amichevole con se stessi Anonimato relazionale Comunione
Rapporto basato sulla ripetizione, la consuetudine, la ridondanza e la serialià Familiarità Originalità
Logica orientata al modello della domanda-offerta Consumo, possesso, successo Conservazione, sobrietà, equità
Attribuzione di valore ad alcuni aspetti del reale al momento della messa in onda Informazione Silenzio, accogliento dell’ignoto
Esperienza del mondo mediata, vicaria, retta da regole interne al mezzo di comunicazione Disimpegno Partecipazione
Rituali e modelli di interazione sociale Appartenenza sociale Libertà individuale
Racconto Narrazione Spiegazione logico-scientifica
Rappresentazione diretta Contemporaneità Memoria
Si tratterebbe, quindi, di una cultura che, nata dalla ricchezza (tecnologica, segnica, economica), finisce nell’impoverimento, ingenerando una spirale di deprivazione dai precisi contorni:
a) sul piano motivazionale: isterilimento degli interessi, esteriorizzazione, epidermicità;
b) sul piano cognitivo-intellettuale: atteggiamento rinunciatario del pensiero personale, accettazione passiva di concetti e valutazioni, assorbimento di stereotipi e pregiudizi;
c) sul piano estetico: appiattimento del gusto;
d) sul piano linguistico-espressivo: impoverimento lessicale, perdita di profondità creativa;
e) sul piano produttivo: attenuazione della originalità inventiva, dipendenza segnica, iterazione di moduli imitativi;
f) sul piano etico: standardizzazione dei comportamenti, ottundimento del senso dei valori, coscienza meramente ‘fenomenologica’ (omologazione dell’esistente).
K. Popper, quindi, con la sua qualificazione della televisione come ‘cattiva maestra’, non ha fatto altro che dare una formulazione definitiva a una tendenza critica dai costanti e circostanziati sviluppi (Popper - Condry, 1994). È proponibile, allora, una revisione di questo complesso di rilevazioni e di giudizi?
La risposta può essere agganciata ad alcuni più recenti contributi, rispetto ai quali non si può, a ogni modo, parlare di un ribaltamento critico totale ma soltanto di una prospettazione meno massimalisticamente giudicatoria e più articolatamente attenta alla rilevazione di aspetti e dinamiche di carattere qualitativo, che non elimina comunque i motivi sostanziali dell’attenzione.
Una chiara presentazione di P. Ardizzone (1997), ad esempio, individua con precisione quali sono le ‘domande’ a cui la ‘proposta’ della televisione risponde e quali sono quelle a cui non risponde; nello scarto fra le une e le altre riposa, evidentemente, la giustificazione dell’allarme educativo (vedi Tabella).

2. Possibilità

Per provare a muoversi su un terreno più positivo occorre rifarsi a ricerche e posizioni (ad esempio: Livolsi e altri) che tengono presenti entrambe le facce della medaglia. La televisione – si dice – svolge una rappresentazione della realtà, e di quella sociale in particolare, ipersemplificata e riduttivamente attraversata da selezioni fuorvianti; è indubbio il primato della percezione dei particolari sulla comprensione dei contesti globali, da cui derivano eccessi di restrizione tematica e di stereotipia mentale; la giornata televisiva dei bambini presenta un elevato contatto con programmi non destinati a loro; il discorso televisivo spinge a rinchiudere qualsiasi elaborazione ulteriore nelle proprie regole e nei propri schemi. Si esclude, però, un’assoluta e irreversibile passività del soggetto; ed emergono due fondamentali considerazioni: in primo luogo, la visione televisiva non ‘crea’ percezioni e orientamenti ma, piuttosto, conferma e amplifica quanto è già presente nel patrimonio intellettuale ed emotivo dello spettatore e, inoltre, risulta possibile rilevare la presenza di una elaborazione attiva del materiale sottoposto all’attenzione. Si sottolinea, in particolare, che i bambini "sono in grado di differenziare le componenti informative da quelle persuasive della pubblicità, e anche di coglierne, all’estremo, possibili finalità di raggiro" (D. Varin, in Livolsi, 1992) e che appare del tutto possibile arrivare a "sottoporre il testo visivo a un’osservazione puntuale per giungere alla scoperta anche dei particolari apparentemente più insignificanti" (E. Morini, in Livolsi, 1992).
Ma la posizione più nettamente, e provocatoriamente, alternativa è quella assunta da F. Mariet con il suo invito a lasciare che i bambini guardino la Tv, in cui si intrecciano due linee. La prima si connette alla tematica della Tv-parcheggio o – per riprendere la sua dizione – della ‘Tv tappabuchi’, a proposito della quale si afferma che il tempo dedicato a essa "è direttamente proporzionale alla situazione di debole e mediocre concorrenza culturale in cui essa si trova presso molti bambini", per cui il suo consumo "può essere contenuto soltanto da un’offerta di attività sociali o familiari più ricca e più adeguata. C’è la televisione tappabuchi perché ci sono i buchi nell’ambiente culturale e sociale dei bambini. Per far fronte a questi buchi, attualmente riempiti dalla televisione, si devono mobilitare le istituzioni culturali e sportive, le realtà locali, i genitori". La seconda, di carattere più generale, è centrata sulla contrapposizione fra una "regolamentazione di restrizione" e una "regolamentazione di organizzazione", la prima delle quali poggia sull’idea errata che la televisione sia "un male che occorre combattere con tutti i mezzi’, mentre – come s’è visto – "se si vuole che i bambini guardino meno televisione, basta proporre qualcosa di meglio". Più in generale ancora, bisogna riconoscere, fra i tratti positivi della televisione, che essa stimola strutture mentali dimenticate, azzera luoghi comuni, "rivitalizza certe possibilità, certi ingranaggi precedentemente arrugginiti", favorisce la percezione della simultaneità e la disposizione alla multi-attività, consente di scegliere il "proprio stile televisivo", il "proprio formato" e la "propria tappezzeria", "concede molta libertà al consumatore di cultura" e "distrugge l’uniformità del tempo e la sua polarizzazione". Inoltre, l’avvento delle tecnologie più avanzate di videoregistrazione e di controllo informatizzato ha aperto la strada a un consumo "più attivo, più individualizzato", che ha inaugurato "l’era dell’interattività".

3. Orientamenti

Vediamo ora lo sviluppo che connette tutti questi passaggi. La posizione iniziale lascia intravedere una situazione di sostanziale impotenza (o comunque di non elevata potenzialità) formativa, nel senso che l’unica prospettiva consistente sembra essere quella di un radicale conflitto, per cui i linguaggi educativi proposti contemplano, pressocché esclusivamente, le grammatiche dell’astensione, del divieto o della contrapposizione programmatica. Successivamente, intervengono due non trascurabili riorientamenti: in primo luogo, il quadro generale prevale sul particolare (il contesto regola l’evento), e quindi la condizione primaria dell’intervento formativo non poggia tanto su quello che si può fare ‘dopo’, quanto su quello che si è costruito ‘prima’, vale a dire sui piloni fondamentali dell’apertura intellettuale e della coscienza morale che la vita familiare e scolastica hanno già costruito o mancato di costruire; in secondo luogo, l’intervento specificamente mirato non è né impossibile né improponibile né superfluo, ma può avvalersi di alcune peculiari linee di impostazione e di attuazione, che si imperniano attorno alla possibilità di riflettere e di discutere, così che viene in piena evidenza il segnale della testualità, per il quale l’azione educativo-didattica è resa significativa dal fatto di accostarsi alla produzione televisiva come un vero e proprio ‘testo’ e di trattarla, conseguentemente, come tale. Conclusivamente, infine, oltre a mostrare che l’atteggiamento demonizzante non si regge su elementi incontrovertibili, si afferma che soltanto l’impegno concreto nella proposta di valide alternative può essere assunto come una petizione ammissibile ed efficace. A tutto questo si possono aggiungere anche il richiamo a una possibilità di autoregolazione interna da parte delle agenzie di emissione (codici, avvertenze sulle trasmissioni, ecc.) e la proposta di dar corpo a un’istanza pubblica (authority) di controllo-regolazione dall’esterno.
Secondo l’elaborazione sinteticamente propositiva svolta da L. Masterman, l’educazione ai media si è evoluta da una fase in cui "lo scopo era il miglioramento e lo sviluppo dei gusti mediatici degli alunni" a una in cui essa si fonda su una "epistemologia specifica", basata su "metodi di lavoro che favoriscano la partecipazione di tutti e che siano il più possibile vivi, aperti, democratici e attivi" e tali da condurre a "una autentica autonomia critica". In termini sociali ampi, poi, la situazione deve essere considerata sotto l’aspetto delle spinte basilari – la saturazione mediatica, l’influenza dei media, i problemi della diffusione e della gestione dell’informazione, le pressioni a favore della privatizzazione dell’informazione, l’interferenza dei media nello sviluppo della democrazia – rispetto alle quali si possono comunque intravedere alcune linee di azione preferenziali, consistenti nel favorire un accesso libero e universale all’uso dei media da parte di un pubblico informato e istruito, nell’attuare una collaborazione più stretta fra gli educatori e i professionisti della comunicazione e nell’istituire forme di collaborazione nazionale e internazionale per l’educazione massmediale (Media education). In termini più direttamente pratici, ne conseguono alcune indicazioni:
– l’esperienza e l’attività segnica non vanno ridotte alla pura produzione e rilevazione di segni indicativi, ma riportate sempre al livello della selezione percettiva, dei filtri di lettura e della costruzione di senso;
– è la parte a prendere senso dal tutto, l’elemento a essere spendibile e fruibile in relazione al contesto, il sistema dei riferimenti possibili e delle regole a rendere possibile la comunicazione;
– la ‘lettura’ attendibile di un testo televisivo è possibile in virtù della ricostruzione dello sfondo complesso, della comprensione dello schema culturale e della conoscenza della logica di produzione che lo spiegano;
– la condizione fondamentale di un buon lavoro formativo si ha quando la comunicazione non si colloca nei binari dell’unidirezionalità e della non resistibilità da parte del ricettore ma si orienta alla creazione di possibilità di reazione, valutazione, critica e indagine personale;
– il destinatario non va considerato come un ‘cliente’, ma come un soggetto da coinvolgere in modo che possa capire, rispondere, prendere delle posizioni e, alla fine, elaborare a sua volta dei messaggi.
Si delinea, quindi, un itinerario che Babin e Kouloumdjian (1987) hanno opportunamente distribuito in quattro passaggi (vedi tabella).
TAPPA DI SVILUPPO CONTENUTO
A - stimolo-sensazione choc provocato dalla commistione suono-immagine-parola
B - emozione fondamentale scossa preorientativa globale
C - elaborazione del senso atto di comprensione di carattere prevalentemente associativo
D - distanziamento critico-riflessivo acquisizione della distanza intellettuale, analisi del vissuto, concettualizzazione e riflessione critica
Deve essere tenuta in attenta considerazione, poi, l’avvertenza a non eccedere nella generalizzazione e nella estrapolazione di indicazioni dallo studio di comportamenti su vasta scala per orientarsi "allo studio delle pratiche di consumo dei piccoli gruppi, dei profili spettatoriali individuali", da cogliere nelle loro peculiarità e nelle loro differenze. Il "ritorno alla testualità" e "l’analisi microsociale" (Rivoltella, 2001) costituiscono, pertanto, gli appelli conclusivi della parabola.
L’analisi non sarebbe del tutto soddisfacente, a ogni modo, se non dedicasse almeno un cenno alle due istituzioni – la famiglia e la scuola – che appaiono maggiormente chiamate in causa.
Nel primo caso, emerge con sempre più chiara evidenza che "il rapporto con la televisione può essere visto come luogo dell’assunzione da parte degli adulti di uno stile educativo e relazionale in cui si fondano (fondendosi reciprocamente) due ruoli: quello della guida autorevole e capace di controllare situazioni e novità perché dotata di riferimenti che prescindono dal meramente fenomenico, e quello del compagno di viaggio che sa fare un cammino analogo con il minore e che quindi sa interrogare il nuovo con curiosità e apertura, con serenità e consapevolezza, senza eccessive amplificazioni ma anche senza eccessive paure" (Ardizzone, 1997).
Nel secondo, il risultato formativo appare garantito soltanto a condizione che l’intero approccio educativo e didattico risulti sensibile ai compiti e alle esigenze inerenti alla presenza della nuova civiltà dei media: selezionare in maniera più flessibile i contenuti; non limitarsi a garantire l’acquisizione di conoscenze, ma sviluppare un’autentica capacità di apprendere; trovare il modo di consentire agli alunni la memorizzazione delle informazioni; rafforzare i collegamenti interdisciplinari; intensificare le possibilità di generalizzazione e di deduzione; insegnare a risolvere i problemi dello stesso tipo attraverso approcci unificati; fondare la capacità graduale di ragionamento; insegnare ad affrontare situazioni di ricerca sui problemi; utilizzare al massimo i sussidi audiovisivi; introdurre le attività di documentazione e di laboratorio.
Se non è sicuro, quindi, che si possa parlare di t.e. come tale, è invece del tutto plausibile ritenere che essa diventi occasione e oggetto di esperienza educativa come qualsiasi altra espressione della cultura. (Educomunicazione; Minori e Mass media; Videodipendenza)

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Note

Come citare questa voce
Scurati Cesare , Televisione educativa, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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