Computer Mediated Communication
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Autore: Maria Antonia Chinello
Il primo apporto sistematico di ricerca sulla comunicazione mediata dal computer si è sviluppato nell’ambito della psicologia sociale all’inizio degli anni Ottanta con studi volti prevalentemente a stabilirne l’impatto sull’organizzazione e a rilevare quali fossero le strategie più opportune per avviare reti di comunicazione all’interno delle aziende. L’ottica di ricerca è specifica: ottenere dalle nuove tecnologie comunicative il massimo di produttività nei gruppi di lavoro.
Tale orientamento ha determinato la riflessione successiva sugli ‘effetti’ della CMC. Infatti, la valutazione ‘negativa’ di alcuni effetti era tale se essi erano osservati esclusivamente con l’obiettivo specifico di misurare l’aumento della produttività; lo stesso comportamento, invece, alla luce di altri interessi (livello di socialità o impatto sulle esperienze individuali) portava a interpretazioni più positive. L’introduzione nei luoghi di lavoro delle nuove tecnologie della comunicazione fa dunque sorgere la necessità di valutarne anche gli aspetti sociopsicologici.
Il filone di ricerca denominato RSC (Reduced Social Cues, Indicatori sociali limitati) afferma che la CMC, relativamente all’ambito organizzativo, è intrinsecamente povera in quanto, tra l’altro, la velocità del medium e l’assenza di norme che regolano l’interazione rendono lo stile comunicativo più libero e impersonale e la condizione di anonimato tende a generare processi di individualismo. Tale approccio genera una lunga serie di studi tesi a verificare come le informazioni relative al contesto modificano gli scambi informativi.
L’approccio rivela ben presto, nonostante la sua articolazione, una serie di difficoltà in quanto gli aspetti sociali sono definiti equiparando il processo comunicativo a un semplice trasferimento di informazioni, riprendendo lo schema lineare di Shannon e Weaver. Così, dagli anni Novanta, si inizia a fare riferimento al modello SIDE (Social Identity De-Individuatio), sviluppato da Martin Lea e Russell Spears (1992). Ciò che viene contestato all’approccio RSC è la confusione tra la dimensione sociale e quella interpersonale. Il punto fondamentale del modello SIDE è l’accento che viene posto sulle condizioni e sul contesto sociale in cui avviene l’interazione. Tale visione allontana il modello SIDE da ogni impostazione deterministica, in quanto le conseguenze sociali della CMC variano secondo il contesto in cui avviene la comunicazione. L’identità personale viene indebolita dall’immersione in un gruppo sociale, che rafforza, invece, la relativa identità sociale.
Un recente approccio alla CMC è denominato SIP (Social Information Processing). Secondo questa teoria, che sorge come verifica sul campo degli esperimenti di laboratorio ipotizzati dalla SIDE per provare le sue affermazioni, la CMC non solo non corrisponde allo stereotipo della comunicazione fredda e impersonale, ma possiede al contrario caratteristiche che la spingono a sovraccaricarsi di contenuti sociali, tanto da poter essere meglio descritta con l’aggettivo ‘iperpersonale’ (hyperpersonal). In questa teoria, un punto fondamentale è il fattore ‘tempo’, che può veicolare la stessa socialità della comunicazione faccia a faccia, purché si lasci agli attori il tempo necessario per svilupparla. Secondo Joseph Walther, chi comunica con il computer tende a soddisfare gli stessi bisogni di riduzione dell’incertezza e di affinità nei confronti degli altri, adattando le proprie strategie comunicative alle possibilità offerte dal medium, traducendo alcuni codici non verbali in sequenze espresse dalla tastiera e interpretabili ideograficamente. "In questo senso, la CMC non sarebbe affatto meno efficace della comunicazione faccia a faccia dal punto di vista dell’interazione sociale, ma sarebbe solamente meno efficiente" (Paccagnella, 2000).
Attualmente la CMC va lentamente concentrandosi sul contesto dinamico in cui la comunicazione avviene, abbandonando la prospettiva di una ricerca sugli effetti sociali intrinseci. La ricerca psicosociale della CMC mette definitivamente da parte l’esperimento di laboratorio e adotta prospettive di tipo etnografico-interpretativo a partire dalla diffusione di Internet, che si è rivelata ben presto un terreno molto adatto per studiare l’uso sociale e ricreativo della nuova tecnologia (Etnografia del consumo mediale). La ricerca si scontra ben presto con alcune problematiche, tra le altre, le argomentazioni etiche, la sinergia tra tecniche quantitative e qualitative, l’utilizzo di strumenti metodologici adeguati, le caratteristiche sociali degli attori e i vincoli temporali.
Nonostante questo, è importante rilevare che a essere presi maggiormente in considerazione ora sono gli ambienti sociali costruiti e rappresentati esclusivamente o principalmente all’interno della Rete e non più, come in precedenza, aziende, classi scolastiche o universitarie. "L’attenzione si sposta dagli ‘effetti’ e dall’efficienza della CMC comparati a quelli di altre forme di comunicazione, ai processi di costruzione simbolica dei significati e dell’azione online".( Ciberspazio)
Tale orientamento ha determinato la riflessione successiva sugli ‘effetti’ della CMC. Infatti, la valutazione ‘negativa’ di alcuni effetti era tale se essi erano osservati esclusivamente con l’obiettivo specifico di misurare l’aumento della produttività; lo stesso comportamento, invece, alla luce di altri interessi (livello di socialità o impatto sulle esperienze individuali) portava a interpretazioni più positive. L’introduzione nei luoghi di lavoro delle nuove tecnologie della comunicazione fa dunque sorgere la necessità di valutarne anche gli aspetti sociopsicologici.
Il filone di ricerca denominato RSC (Reduced Social Cues, Indicatori sociali limitati) afferma che la CMC, relativamente all’ambito organizzativo, è intrinsecamente povera in quanto, tra l’altro, la velocità del medium e l’assenza di norme che regolano l’interazione rendono lo stile comunicativo più libero e impersonale e la condizione di anonimato tende a generare processi di individualismo. Tale approccio genera una lunga serie di studi tesi a verificare come le informazioni relative al contesto modificano gli scambi informativi.
L’approccio rivela ben presto, nonostante la sua articolazione, una serie di difficoltà in quanto gli aspetti sociali sono definiti equiparando il processo comunicativo a un semplice trasferimento di informazioni, riprendendo lo schema lineare di Shannon e Weaver. Così, dagli anni Novanta, si inizia a fare riferimento al modello SIDE (Social Identity De-Individuatio), sviluppato da Martin Lea e Russell Spears (1992). Ciò che viene contestato all’approccio RSC è la confusione tra la dimensione sociale e quella interpersonale. Il punto fondamentale del modello SIDE è l’accento che viene posto sulle condizioni e sul contesto sociale in cui avviene l’interazione. Tale visione allontana il modello SIDE da ogni impostazione deterministica, in quanto le conseguenze sociali della CMC variano secondo il contesto in cui avviene la comunicazione. L’identità personale viene indebolita dall’immersione in un gruppo sociale, che rafforza, invece, la relativa identità sociale.
Un recente approccio alla CMC è denominato SIP (Social Information Processing). Secondo questa teoria, che sorge come verifica sul campo degli esperimenti di laboratorio ipotizzati dalla SIDE per provare le sue affermazioni, la CMC non solo non corrisponde allo stereotipo della comunicazione fredda e impersonale, ma possiede al contrario caratteristiche che la spingono a sovraccaricarsi di contenuti sociali, tanto da poter essere meglio descritta con l’aggettivo ‘iperpersonale’ (hyperpersonal). In questa teoria, un punto fondamentale è il fattore ‘tempo’, che può veicolare la stessa socialità della comunicazione faccia a faccia, purché si lasci agli attori il tempo necessario per svilupparla. Secondo Joseph Walther, chi comunica con il computer tende a soddisfare gli stessi bisogni di riduzione dell’incertezza e di affinità nei confronti degli altri, adattando le proprie strategie comunicative alle possibilità offerte dal medium, traducendo alcuni codici non verbali in sequenze espresse dalla tastiera e interpretabili ideograficamente. "In questo senso, la CMC non sarebbe affatto meno efficace della comunicazione faccia a faccia dal punto di vista dell’interazione sociale, ma sarebbe solamente meno efficiente" (Paccagnella, 2000).
Attualmente la CMC va lentamente concentrandosi sul contesto dinamico in cui la comunicazione avviene, abbandonando la prospettiva di una ricerca sugli effetti sociali intrinseci. La ricerca psicosociale della CMC mette definitivamente da parte l’esperimento di laboratorio e adotta prospettive di tipo etnografico-interpretativo a partire dalla diffusione di Internet, che si è rivelata ben presto un terreno molto adatto per studiare l’uso sociale e ricreativo della nuova tecnologia (Etnografia del consumo mediale). La ricerca si scontra ben presto con alcune problematiche, tra le altre, le argomentazioni etiche, la sinergia tra tecniche quantitative e qualitative, l’utilizzo di strumenti metodologici adeguati, le caratteristiche sociali degli attori e i vincoli temporali.
Nonostante questo, è importante rilevare che a essere presi maggiormente in considerazione ora sono gli ambienti sociali costruiti e rappresentati esclusivamente o principalmente all’interno della Rete e non più, come in precedenza, aziende, classi scolastiche o universitarie. "L’attenzione si sposta dagli ‘effetti’ e dall’efficienza della CMC comparati a quelli di altre forme di comunicazione, ai processi di costruzione simbolica dei significati e dell’azione online".( Ciberspazio)
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Bibliografia
- BROMME Rainer et al. (eds.), Barriers and biases in computer-mediated knowledge communication: and how they may be overcome, Springer, New York 2005.
- LEA M. - SPEARS Russel, Paralanguage and social perception in computer-mediated communication in «Journal of Organization Computing» (1992) 2, pp.321-342.
- MANTOVANI Giuseppe, Comunicazione e identità. Dalle situazioni quotidiane agli ambienti virtuali, Il Mulino, Bologna 1995.
- MANTOVANI Giuseppe, Social context in HCI: a new framwork for mental models, cooperation, and communication in «Cognitive Science» (1996) 20, pp.237-269.
- PACCAGNELLA Luciano, Verso una sociologia del cyberspazio. Uno studio di caso sulla conferenza elettronica cyber-punk in «Quaderni di Sociologia» (1997) 13, pp.33-57.
- PACCAGNELLA Luciano, La comunicazione al computer. Sociologia delle reti telematiche, il Mulino, Bologna 2000.
- SPEARS Russel, Panacea o Panopticon? Il potere nascosto nella comunicazione mediata dal computer in «Sistemi intelligenti» (1995) 3, pp.339-371, orig. 1994.
- WALLACE Patricia, La psicologia di Internet, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.
- WALTER Joseph, Group and interpersonal effects in international computer-mediated collaboration in «Human Communication Research», 23 (1997) 3, pp.342-369.
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Note
Come citare questa voce
Chinello Maria Antonia , Computer Mediated Communication, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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