Animazione
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Autore: Mario Pollo
INDICE
1. Premessa
2. La storia dell’a. in Italia
2.1. I modelli dell’a. in Italia 2.2. La nascita 2.3. Il decollo 2.4. La maturità 2.5. L’ambito di attività dell’a. oggi3. La mappa dei concetti
3.1. L’uomo come animale culturale 3.2. L’uomo come essere progettuale 3.3. La pluralità delle culture e delle lingue come accesso al mondo ‘reale’ 3.4. La relazionalità e la solitudine del vivente 3.5. La cultura e le culture 3.6. Comunità locale e protezione sociale: la riscoperta di un ruolo 3.7. Educabilità 3.8 Una speranza progettuale4. Il percorso ovvero il metodo dell’a.
4.1. Le tappe del percorso 4.2. I modi del percorso
Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980). Giornalista e scrittore, ha contribuito a rinnovare la letteratura per linfanzia. Molti suoi testi sono fonte di ispirazione per l’animazione teatrale.
1. Premessa
La parola a. continua a vestirsi di una pluralità di significati, spesso reciprocamente irriducibili, quando non addirittura antagonisti. Conseguenza di questo è una pratica sociale dell’a. frammentata, composita e difficilmente leggibile come unitaria. Questa voce cerca di individuare una lingua che possa essere riconosciuta da coloro che operano nel territorio dell’a. Il primo passo è ripercorrerne, seppure a grandi linee, la breve storia.2. La storia dell’a. in Italia
In Italia non può esserci una sola storia dell’a. per la ragione prima detta, la presenza di una pluralità di lingue e di culture. Sono almeno sei i modelli base di a. presenti e attivi nel nostro paese, più naturalmente le ibridazioni tra di essi.2.1. I modelli dell’a. in Italia.
Il primo modello, forse quello più noto negli anni delle origini del movimento dell’a., è quello legato all’a. teatrale, o di tipo espressivo in generale, che conta al proprio interno figure storiche tra cui Rodari, Passatore e Scabia. Questo tipo di a., nato sotto il segno della liberazione dell’espressività e della fantasia attraverso la festa e il gioco, è andato progressivamente estendendosi ai problemi della vita quotidiana e del territorio. L’a. teatrale e/o espressiva è passata, perlomeno a livello di intenzioni, da un teatro che libera dalle paure e dalle inibizioni a un teatro che serve alla vita di ogni giorno. In questo passaggio l’a. teatrale è andata evolvendo verso l’a. socioculturale o, perlomeno, ha favorito lo sviluppo di quest’ultima.
Il secondo è il modello dell’a. socioculturale. Esso è stato ben rappresentato dalla rivista Animazione Sociale. Questo modello si caratterizza come "una pratica sociale finalizzata alla presa di coscienza e allo sviluppo del potenziale represso, rimosso o latente, di individui, piccoli gruppi e comunità". Un elemento specifico di questa scuola di a. è costituito dal suo collegamento con il volontariato e dal fatto che colloca la sua azione come intervento nel territorio, al fine di favorire i processi di crescita della capacità delle persone e dei gruppi di partecipare e gestire la realtà sociale e politica in cui vivono. È una pratica sociale liberatrice che si avvale, oltre che dell’azione nel territorio, dell’uso dell’azione psicosociale volta a promuovere la capacità espressiva delle persone. È questo un movimento oramai consolidato con alle spalle un consistente retroterra teorico e metodologico che costituisce uno dei maggiori punti di riferimento per chi voglia fare a. in Italia.
Il terzo è quello dell’a. culturale in senso fortemente educativo e fa capo alla rivista Note di Pastorale Giovanile del Centro Salesiano di Pastorale Giovanile. La caratteristica di questo movimento è quella di avere ripensato l’a. come un vero e proprio modello educativo valido sia in un contesto scolastico che extrascolastico. L’a. culturale secondo questa accezione è una vera e propria teoria educativa, fondata su concezioni filosofico-antropologiche, su un metodo validato e su una strumentazione particolare. È questo il movimento più diffuso nell’ambito ecclesiale italiano, anche se la sua presenza non è limitata a quest’area sociale. In questi ultimi anni ha avuto una forte diffusione anche nei Paesi di lingua spagnola; è presente all’interno di centri di aggregazione giovanile, di comunità terapeutiche ed educative, di centri sportivi e di istituzioni educative in genere. La scelta dell’aggettivo culturale deriva dal privilegio riconosciuto alla dimensione della cultura nella costruzione dell’identità individuale e storico-sociale dei soggetti, oltre che del mondo da essi abitato.
Il quarto, l’a. turistica, si deve citare solo per motivi statistici. Raggruppa quelle attività di a. cresciute all’ombra dei villaggi turistici, la cui dignità educativa, sociale, espressiva e culturale è tutta da dimostrare.
Il quinto modello è quello che si limita ad applicare tecniche e metodi di lavoro desunti dagli studi di dinamica di gruppo e di comunicazione interpersonale a varie attività educative. È la dimensione più tecnica e diffusa del fare a. anche perché tutti gli altri filoni utilizzano abbondantemente queste tecniche all’interno dei loro percorsi formativi. Tuttavia, da solo, questo insieme tecnico e conoscitivo non costituisce un’adeguata concezione dell’a. socioculturale e culturale. Molti animatori, tuttavia, pensano che animare consista solo nell’applicazione di certe tecniche di lavoro psicosociale di gruppo.
Il sesto modello è costituito dall’a. di tipo ludico ricreativo vs. espressivo. Si tratta di un tipo di a. che, agendo nella dimensione del tempo libero e dell’attività ludica, tende a fornire ai ragazzi, ai giovani, agli adulti e agli anziani, con cui opera, uno spazio per riappropriarsi della propria espressività, per la scoperta o per il recupero della creatività e in cui possano sfuggire all’uso alienato del tempo libero.
Le storie alla base di questi modelli sono come già si è detto assai diverse. Mentre per i modelli socioculturale ed educativo si può rintracciare un filo rosso che li lega alla pedagogia attiva, all’educazione degli adulti e in generale ai movimenti per l’emancipazione delle classi sociali più deboli e oppresse, per quello teatrale, invece, si possono individuare più fili, dei quali i più importanti sono quelli dello psicodramma moreniano e della tradizione della commedia dell’arte. Il modello definito come ludico espressivo ha alle spalle la cosiddetta cultura popolare, ovvero quella tradizione laica e/o religiosa che attraverso saghe e fiere di paese con i loro corollari di giochi, spettacoli, spazi di aggregazione e di divertimento offriva alle persone un luogo di esercizio della creatività e della libera espressione. Altri modelli sembrano essere privi di rapporti più o meno diretti con movimenti ed esperienze del passato come ad esempio l’a. turistica. Il modello psicosociale ha, infine, i suoi ascendenti in una pluralità di modelli terapeutici di gruppo essendo caratterizzato da un radicale eclettismo. Comunque, al di là dei rispettivi ascendenti, la maggioranza di questi modelli ha condiviso una storia recente comune che può essere raccolta in tre periodi ben distinti: la nascita, il decollo e la maturità.
2.2. La nascita.
Per quanto riguarda il primo periodo, è accettato da tutti che l’a. sia nata intorno ai temi della creatività, negli anni del decollo nel nostro Paese dell’industria culturale e dell’avvento della scuola di massa, come risposta ai problemi conseguenti a questi fenomeni e, cioè, alla crisi della scuola tradizionale e a quella prodotta dalla profonda trasformazione dei modelli e dei processi di elaborazione e di trasmissione della cultura sociale (Scuola). In questo periodo l’a. ha esplorato sia i territori dell’espressività nelle sue varie forme artistiche e sociali, sia quelli della ricerca pedagogica attraverso la sperimentazione di quei modelli che vengono genericamente ascritti alla pedagogia attiva.
In questa prima fase della storia dell’a. in Italia, riconducibile in modo particolare alla seconda parte degli anni Sessanta, la scuola appare come uno dei luoghi privilegiati dell’a., in quanto in essa convergono molte esperienze innovative che possono essere definite, anche se spesso in modo non ancora esplicito, di a. È in quegli anni infatti che uomini di teatro e insegnanti avviano alcune sperimentazioni teatrali nella scuola dell’obbligo, mentre in parallelo prende corpo il dibattito sul rinnovamento della scuola che favorisce il diffondersi di attività sperimentali al suo interno. A proposito della sperimentazione nella scuola dell’obbligo e al dibattito sul suo rinnovamento è bene ricordare che la famosa Lettera ad una professoressa dei ragazzi di don Milani risale appunto a quel periodo.
Anche se la scuola in quegli anni è l’ambito in cui forse più diffusamente si fanno esperienze di a., è bene però ricordare che nello stesso periodo compaiono le prime esperienze di a. nei quartieri e si sviluppano esperienze di valorizzazione della cultura operaia realizzate con un chiaro stile di a., i cui ascendenti come detto si ritrovano in realizzazioni del movimento operaio quali, ad esempio, quelle dell’Umanitaria di Milano.
Come si può vedere, già in questo primo periodo, seppure caratterizzato da quella caoticità tipica dello statu nascenti, appaiono alcune delle differenze che negli anni successivi caratterizzeranno la pratica dell’a. in Italia. Infatti c’è chi utilizza l’a. in prospettiva didattico-pedagogica, chi predilige l’orientamento teatrale e/o espressivo, chi ne sottolinea le valenze sociopolitiche in contesti quali le fabbriche e i quartieri e chi, infine, ne individua il valore terapeutico.
2.3. Il decollo.
Il periodo del decollo è immediatamente successivo al 1968. In quegli anni l’a. sposta la sua attenzione dall’ambito della scuola dell’obbligo a quello del territorio, nella ricerca di nuove risposte ai problemi sociali, alternative a quelle proposte dai vecchi modelli politici e culturali. Il territorio diviene il luogo privilegiato di varie esperienze, più o meno spontanee, finalizzate a risvegliare la presa di coscienza, la partecipazione politica e la liberazione delle persone dai condizionamenti sociali, culturali ed economici che ne impediscono la realizzazione individuale e collettiva. Questo movimento dell’a. produce un’azione in cui l’animatore attraverso il suo intervento persegue un obiettivo politico o parapolitico.
Successivamente questo tipo di ‘tensione’ è stato raccolto, parzialmente, dalle attività culturali delle amministrazioni comunali che hanno avviato progetti di a. socioculturale rivolti alla scuola dell’obbligo, ai centri sociali di quartiere, alle attività ludiche e sportive, alla gestione delle estati per i ragazzi, per gli adulti e per gli anziani. In questo periodo si afferma il filone socioculturale, accanto a quello teatrale e a quello ludico espressivo e nasce e cresce a ritmi molto intensi quello culturale.
2.4. La maturità.
L’ultimo periodo, quello attuale, è meno ricco di tensioni politiche ma è assai più consapevole della valenza squisitamente educativa o formativa dell’a. Quasi tutte le correnti teoriche dell’a. hanno, infatti, selezionato i loro obiettivi specializzandoli. Nello stesso tempo i movimenti dell’a. hanno collocato la propria azione all’interno delle agenzie istituzionali di socializzazione, di inculturazione, di educazione e di gestione e controllo della marginalità e della devianza.
La specializzazione dell’a. ha comportato poi che essa sia stata assunta, in alcuni casi, non più solo come attività complementare ma come momento centrale dell’attività scolastica. Allo stesso modo alcune attività, che tradizionalmente erano ascritte all’educazione specializzata o professionale, sono state assorbite dall’a. Per questo motivo la fase attuale è quella che può consentire una maggiore convergenza delle varie scuole di a. verso un’area disciplinare comune.
A sostegno che questo possa essere considerato il periodo della maturità vi è il fatto che in questi ultimi anni sono nati sia corsi professionali promossi da alcune regioni, sia vere e proprie scuole di a. promosse da associazioni ed enti. Da alcuni anni, poi, sono nate anche associazioni professionali degli animatori che raggruppano cooperative, associazioni e gruppi che operano professionalmente nel campo dell’a. Nel frattempo poi alcune regioni hanno inserito la figura dell’animatore negli organici di alcuni servizi di tipo socioassistenziale e sociosanitario. Nonostante questo, regna ancora la più completa incertezza sul ruolo e sulla funzione dell’animatore e sui percorsi di formazione tipici della sua professionalità.
2.5. L’ambito di attività dell’a. oggi.
L’ambito di attività in cui si esercita oggi l’a. va dalla scuola ai laboratori teatrali ed espressivi, dalle parrocchie ai centri sociali, dalle comunità didattiche e terapeutiche alle comunità locali, dallo sport e dalle attività ludiche del tempo libero alla prevenzione e al recupero nei confronti di soggetti a rischio o già marginali o devianti, dai servizi pubblici all’associazionismo e al volontariato.
A questo punto è necessaria una considerazione sul modello di a. proposto dall’industria del tempo libero e del turismo, ricordando nonostante si definisca come a. la sua radicale estraneità rispetto agli altri modelli. Infatti esso è solo un segno dell’azione di manipolazione e di alienazione che questa industria svolge al fine di far consumare i propri prodotti. È questa sua caratteristica che produce l’estraneità di questa attività rispetto all’a. C’è infatti un elemento su cui tutte le attività di a. convergono nonostante le profonde differenze: la tensione verso la liberazione della persona. Non importa poi se alcuni pensano a questa liberazione in termini politici, altri in termini creativi e psicologici e altri ancora trascendenti. L’importante è la liberazione della persona umana dai condizionamenti che ne limitano la realizzazione e la capacità di governo della propria esistenza individuale e collettiva. L’industria del tempo libero propone, invece, ai suoi utenti l’alienazione del loro ultimo luogo di libertà, il tempo libero appunto, affinché sia assoggettato ai modi e ai ritmi della produzione di questa industria.
3. La mappa dei concetti
Questa mappa lungi dal voler rappresentare una compiuta, completa e corretta descrizione della teoria dell’a. vuole semplicemente essere la rappresentazione di alcuni punti di riferimento utili all’orientamento nel territorio da cui muovono per compiere le loro scorribande le varie pratiche che si riferiscono con aggettivazioni varie all’a.3.1. L’uomo come animale culturale.
Il mondo di una specie vivente è costituito dal suo sistema recettivo, che gli consente di percepire gli stimoli che provengono dal suo ambiente e dal suo sistema reattivo, e che gli permette di reagire a tali stimoli. L’uomo, tra lo stimolo e la reazione a esso, compie delle elaborazioni di tipo simbolico, ovvero interpreta lo stimolo e sceglie la risposta più adeguata a esso, attraverso gli strumenti che gli offrono la sua cultura sociale e la sua esperienza personale, così come è stata rielaborata a livello simbolico. È questo il motivo per cui a volte stimoli apparentemente deboli e insignificanti producono nell’uomo reazioni molto forti, non giustificate da un’analisi biologica della relazione stimolo-risposta: l’uomo reagisce non tanto allo stimolo materiale quanto all’interpretazione simbolica che egli dà di quello stimolo.
Proprio per l’esistenza di questo sistema simbolico il mondo dell’uomo non è un mondo materiale ma un mondo culturale, in cui la stessa realtà fisica, di cui non si vuole certo negare l’esistenza e l’importanza, è sottoposta a un’elaborazione di tipo culturale.
Il fatto che l’uomo abiti un mondo culturale di tipo simbolico rende conto delle differenze, al di là di quelle genetiche, che esistono tra le persone e tra i gruppi umani dotati di differenti culture sociali. Infatti persone che abitano culture sociali differenti e che utilizzano linguaggi diversi, di fatto, abitano mondi differenti. Allo stesso modo persone che vivono esperienze diverse, che apprendono ed elaborano linguaggi differenti per qualità, estensione e sfere di significato, acquisiscono modi diversi di dare senso all’esistenza e, di fatto, abitano mondi parzialmente differenti.
La creazione di questi mondi, sociali e individuali, avviene sin dai primi anni di vita, in quanto il bambino già nel periodo in cui completa il suo organismo attraverso la crescita incorpora gli elementi simbolici che costituiranno il suo mondo: quando egli nasce non è un essere completo, in quanto il suo patrimonio genetico gli offre le possibilità di agire ma non i modi di agire, che dovrà apprendere sia durante le fasi del suo sviluppo sia, anche se in misura minore, nell’intero corso della sua esistenza.
3.2. L’uomo come essere progettuale.
Nietzsche definì l’uomo come l’animale non definito. Con questa definizione egli sottolineava, tra l’altro, il fatto, già segnalato, che l’uomo al momento della nascita è un essere incompiuto che si completa nel corso della sua vita individuale e sociale.
L’uomo non è determinato, infatti, da un codice genetico o da costrizioni ambientali assolutamente vincolanti, come accade per gli animali, ragion per cui al momento della nascita ha di fronte a sé una molteplicità di possibilità di essere. Questo significa che ogni individuo diviene ciò che è in seguito all’ intersezione di più fattori: il suo progetto personale, la cultura sociale, le condizioni dell’ambiente sociale e naturale in cui vive, i processi educativi di cui è protagonista e, naturalmente, il suo patrimonio genetico.
Tra tutti questi fattori la progettualità gioca il ruolo più importante. "L’uomo è un animale non ancora costituito una volta per tutte. Egli dispone delle sue proprie predisposizioni e dati per esistere, assume un comportamento nei suoi propri confronti per necessità vitale, come nessun altro animale fa; egli non tanto vive, quanto, come è mia abitudine dire, dirige la propria vita" (Gehlen, 1983).
Affermare che la progettualità gioca un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’essere umano significa anche dire che questi è un essere aperto, a differenza delle altre specie viventi che hanno un ambiente saldamente strutturato dalla loro organizzazione istintuale.
La progettualità nell’uomo riguarda sia la sua formazione come persona sia la costruzione della realtà, ovvero del mondo che abita. Infatti egli producendo se stesso incorpora la cultura, i linguaggi e tutti i sistemi simbolici che mediano il suo rapporto con la realtà.
3.3. La pluralità delle culture e delle lingue come accesso al mondo ‘reale’.
Questa caratteristica dell’uomo che, costruendo se stesso, costruisce contemporaneamente il proprio mondo, potrebbe avere come conseguenza quella della non esistenza, o perlomeno di una relativa inconoscibilità, della realtà esterna all’uomo. Questo pericolo reale è attenuato dall’esistenza nel mondo di una pluralità di lingue e di culture. Infatti l’intersezione dei mondi disegnati dalle varie lingue e culture esistenti nel presente, o che sono esistite nel passato, rende possibile l’individuazione di un mondo comune, che può essere assunto come la traccia più fedele e oggettiva del mondo reale in cui abita l’uomo.
Il mito della Torre di Babele va rovesciato: "La situazione di pluralità delle lingue è originaria, primaria, ma più tardi, sulla sua base, si crea l’aspirazione a un unico linguaggio universale (a un’unica verità finale)" (Lotman, 1993). L’altro sin dall’origine della storia umana costituisce il fondamento della possibilità dell’uomo di entrare in rapporto con la realtà esterna e interna.
3.4. La relazionalità e la solitudine del vivente.
La concezione della persona come essere progettuale poggia sul riconoscimento della relazionalità come processo su cui si fonda la sua autocostruzione. Infatti è attraverso le relazioni con le persone, con le istituzioni, con la cultura e la natura che ogni individuo umano disegna i suoi confini individuali e sociali, si autocomprende e comprende, dando una forma intelligibile al mondo che abita, sempre e comunque in bilico tra oggettività e soggettività, tra solitudine e compagnia. L’elemento in grado di spostare questo mondo dalla soggettività solitaria all’oggettività della compagnia è l’esperienza dell’Alterità, ovvero l’esperienza dell’ascolto e della condivisione dell’Altro. L’Alterità, quindi, è il movimento attraverso il quale la persona può sfuggire all’implosione verso quella forma di soggettività distruttiva che è il narcisismo o semplicemente l’egocentrismo, per aprirsi invece a quella soggettività, specchiata dalle soggettività altre, che è alla base sia della costruzione di un Sé maturo che della capacità di una efficace partecipazione solidale alla vita sociale.
Tuttavia la relazionalità non si esaurisce nel rapporto della persona con l’Altro, perché essa richiede per essere produttiva ai fini della crescita dell’individuo anche la dimensione della comunicazione intrapersonale. In altre parole richiede alla persona la capacità di accettare, anzi di coltivare, l’esistenza in lei di un nucleo personale che non può essere in alcun modo condiviso, salvo la perdita di se stessi: chi sa veramente entrare in relazione con l’Altro è colui che sa vivere questa irrinunciabile solitudine.
3.5. La cultura e le culture.
La cultura, nell’accezione che è stata introdotta nelle riflessioni immediatamente precedenti, appare come un complesso di regole e di modelli interiorizzato dai membri di una data società che consente a essi di produrre quei comportamenti e di manifestare quei valori, quelle credenze e quello stile di vita che li fanno riconoscere, appunto, come membri di quella data società. In questo senso la cultura può essere pensata come un vero e proprio sistema vivente che segue un suo ciclo vitale (nascita, evoluzione/maturazione, decadimento e morte), può ammalarsi e impazzire o regredire invece di evolvere, vive al suo interno conflitti tra sottosistemi (subculture) differenti. Questo fatto, invece di essere visto come una situazione positiva, specialmente se si tiene in considerazione quanto detto circa la necessità della pluralità delle culture per la comprensione della realtà, è spesso letto in modo negativo e produce atteggiamenti difensivi di negazione dell’altro.
Compito dell’a. è di rendere l’occasione sia del pluralismo culturale sia della complessità sociale feconda per una comprensione più ricca del mondo. Questo può avvenire attraverso il recupero del dialogo, inteso come forma che consente la comunicazione nel rispetto della diversità dei comunicanti.
3.6. Comunità locale e protezione sociale: la riscoperta di un ruolo.
In questi ultimi anni si sta assistendo a una riscoperta del valore della comunità locale sia nell’organizzazione della complessità dei sistemi sociali, sia nella rivitalizzazione dei processi formativi e di socializzazione che consentono alle persone una crescita più piena e una partecipazione più attiva e solidale alla vita sociale.
La spinta a questa riscoperta è il prodotto di un insieme complesso di fattori.
Il primo è indubbiamente quello costituito dalla crisi di governabilità dei sistemi sociali complessi: in questo contesto la comunità locale è divenuta il luogo dove le gerarchie dei bisogni e dei valori possono essere stabilite e dove si può scoprire, attraverso il gioco delle differenze intersoggettive, che la realtà ha un volto diverso da quello descritto dal proprio linguaggio e dalla propria cultura.
Il secondo è dato dal peso dell’isolamento relazionale che è prodotto dalla trasformazione delle realtà territoriali di vita in non luoghi (quartieri-dormitorio, diffusione dei megastore, ecc.). Per superare i non luoghi è necessaria un’azione che riproduca un sistema relazionale primario tra le persone che abitano in un dato luogo, che le aiuti a elaborare un’appartenenza di tipo identitario con lo stesso luogo e che le faccia sentire protagoniste della storia che in quel luogo si scrive, è stata scritta e si scriverà.
Il terzo insieme di fattori è determinato dalla crisi del welfare state che ha fatto emergere alla consapevolezza collettiva che lo scandalo della povertà e del dolore, magari sotto forme nuove, continuava a verificarsi anche all’interno delle società industriali. In questa nuova coscienza sociale hanno ripreso vigore quelle attività dettate dalla solidarietà e sottratte alla logica dello scambio economico, che sono etichettate in modo assai generico come volontariato.
Queste tre ragioni sostengono la convinzione che l’ambito privilegiato dell’a. è quello della comunità locale o di un suo qualche sottoinsieme.
3.7. Educabilità.
La concezione dell’uomo come essere progettuale consente di affermare che l’educabilità è un aspetto qualificante della condizione umana: la persona vive continuamente un processo di formazione che può farla evolvere, ma anche ristagnare se non regredire. Tutte le pratiche di a., qualunque sia il loro approccio teorico e il loro metodo, si fondano sulla convinzione dell’educabilità permanente delle persone. L’a. sottolinea il fatto che l’azione educativa può essere estesa alla vita quotidiana delle persone, aiutandole a dotarsi degli strumenti metodologici e concettuali che consentono loro, da un lato, di essere critiche e selettive nei confronti delle influenze che ricevono sia dall’ambiente sia dal loro interno e, dall’altro lato, di agire su se stesse e l’ambiente per modificarli e, quindi, per cambiare le influenze che esercitano sul loro progetto di vita.
Questa azione del rendere la persona nello stesso tempo protagonista attiva e spettatrice critica della scena sociale, oltre che della sua vita interiore, è uno degli elementi forti del processo dell’a. sociale e comunitaria, oltre che di quella educativa.
3.8. Una speranza progettuale.
L’a., sin dal suo sorgere, è sempre stata fedele a quello che con un’espressione di Bloch è definibile come il "principio della speranza", in quanto ha sempre posto nell’orizzonte del suo agire l’utopia, intesa come sogno e come scommessa sul futuro. Possedere un "principio di speranza" richiede la consapevolezza che spesso sono i gesti poveri della vita quotidiana quelli in grado di introdurre nella storia delle persone un cambiamento e una redenzione della loro condizione. Non esistono situazioni umane, individuali o sociali, che possano essere definite come irredimibili e spesso il cambiamento non è generato dalla potenza ma dall’autenticità e dall’amore.
4. Il percorso ovvero il metodo dell’a.
Con il sostegno della sua mappa concettuale l’a. propone un suo originale percorso, il cui grado di coerenza, strutturazione e intenzionalità rende possibile definirlo come un metodo, che fa della flessibilità una delle sue caratteristiche peculiari. Essa può essere definita come ermeneutica in quanto propone una continua circolarità tra la realtà in cui si esercita l’a., gli obiettivi di questa e lo stesso metodo.L’analogia tra il metodo e il percorso nasce dalla considerazione, fornita da una definizione più moderna, secondo cui il metodo è nient’altro che la descrizione particolareggiata dei passi da compiere, secondo un dato ordine, per raggiungere un determinato scopo. Applicando quest’ultima definizione all’a. si può perciò affermare che il metodo dell’a. è la sequenza dei passi che l’animatore deve compiere, secondo un dato ordine temporale, per raggiungere lo scopo che l’intenzionalità dell’a. ha individuato, e che quindi esso è il percorso che congiunge una data situazione di partenza con quella ipotizzata dagli obiettivi dell’a.
4.1. Le tappe del percorso.
Le tappe intermedie di questo percorso sono quattro. Ognuna di esse presuppone al proprio interno una particolare declinazione del metodo e delle strumentazioni particolari.
La prima tappa: la ricerca dell’equilibrio Io/Noi. La prima tappa è quella prodotta dal cammino verso l’equilibrio dinamico tra l’Io e i Noi, in quanto senza di esso è impossibile attivare un processo in cui le persone vivano l’esperienza comune di gruppo e di comunità come mutuamente arricchente e solidale. Occorre infatti ricordare che le situazioni ‘collettive’, se non stabilizzate dall’istituzionalizzazione o dallo sviluppo di interazioni esistenzialmente autentiche tra le persone, fondate sulla accoglienza e sulla fiducia reciproca, sul riconoscimento delle differenze personale come ricchezza per il gruppo e i rapporti interpersonali, sulla scoperta che lo sviluppo del proprio Io dipende dal riconoscimento della sua dipendenza dal Noi e su una realistica accettazione di se stessi e delle situazioni in cui si agisce, creano paure e angosce che innescano meccanismi di difesa che non consentono di utilizzare il potenziale offerto dalla situazione sociale.
Questo primo passo nel percorso dell’a. richiede un lavoro sul gruppo e sulla comunità finalizzato all’aumento della fiducia e della conoscenza reciproca attraverso forme di interazione.
La seconda tappa: la costituzione di una nuova soggettività sociale attraverso lo scambio culturale. Una volta costituita la trama esistenziale del Noi, o anche in parallelo alla sua costituzione, il gruppo o la comunità sociale che la vivono debbono sviluppare lo scambio dei significati che esprimono la cultura esistente o che la trasformano innovandola. Il gruppo è uno strumento privilegiato di a. solo se compie questo secondo passo, solo se non rimane un sistema relazionale ma diviene un crogiolo di senso, un luogo di costruzione di significati e di interpretazione di sé e della realtà. È necessario, cioè, che il gruppo divenga ‘luogo antropologico’, ovvero quello spazio umanizzato che, oltre a fornire un sistema relazionale particolare, collega l’individuo a una storia, lo sostiene nel suo cammino identitario e, infine, gli offre un principio di senso. È questo carattere di luogo antropologico che consente al gruppo l’azione per la trasformazione dei sistemi sociali in cui è inserito.
La terza tappa: la capacità di agire progettualmente. Se, come si è visto nella seconda tappa, l’apertura all’azione nel mondo sociale è una delle caratteristiche del gruppo di a. non narcisistico, è essenziale che il metodo dell’a. si fondi sulla capacità di far vivere esperienze in cui, in modo rigoroso, a partire da bisogni e interessi, interni al gruppo o presenti nella comunità, si elaborano progetti, si avviano azioni per realizzarli e si valutano i risultati raggiunti. Progetti e azioni in cui tutti i membri del gruppo possono sperimentare, anche se in misura differenziata, un adeguato protagonismo.
La quarta tappa: la rielaborazione dei significati. Dopo aver agito è importante partire dalle esperienze vissute nelle tappe precedenti per fondare una ricerca che aiuti il gruppo o la comunità a scoprire ‘nuovi mondi possibili’, ovvero a scoprire nuovi significati presenti nella realtà dell’azione e, quindi, a sperimentare come la diversa lettura e combinazione degli elementi presenti nella realtà del gruppo e della comunità possono produrre una nuova realtà culturale, innovativa e creativa.
È questa la fase in cui il gruppo o la comunità soggetto del processo di a. può diventare un vero crogiolo di senso e divenire perciò in modo compiuto un luogo antropologico. In questa azione è molto importante il metodo del dialogo tra i soggetti, individuali e collettivi, che sono protagonisti del processo di a.
Occorre però tenere presente quanto ricordava Lotman circa il fatto che il valore del dialogo per l’innovazione culturale è dato soprattutto dalle parti della comunicazione che non si intersecano, ovvero da quelle parti del significato che non sono possedute da entrambi i comunicanti, ma che ognuno di essi possiede in modo esclusivo. In altre parole ciò significa che l’informazione che ha il valore più elevato è quella che deriva dalla traduzione dell’intraducibile.
Un altro elemento importante per il movimento dell’innovazione culturale è dato dalla capacità di far convivere all’interno di un rapporto di reciprocità i processi graduali e quelli esplosivi. Questo nonostante l’antitesi di questi due processi e, quindi, la loro reciproca inimicizia che fa sì che ognuno di essi tenda all’eliminazione dell’altro.
La capacità di comprendere come questi due processi si succedano e intersechino nella storia umana è fondamentale per riuscire ad adattare la propria azione di ricerca dell’innovazione culturale alla fase della storia e alle caratteristiche della situazione sociale in cui si realizza.
L’a. come processo culturale utilizza perciò nel proprio metodo tanto l’esplosione, ovvero il cambio improvviso e impetuoso di un paradigma culturale, quanto l’azione della scoperta in un processo di crescita graduale degli elementi nuovi e nascosti del paradigma culturale in cui si opera.
4.2. I modi del percorso.
Oltre che per le tappe del percorso il metodo dell’a. si caratterizza per quattro modelli di azione che danno al percorso una qualità affatto particolare.
Un clima/setting di accoglienza. Il primo modello riguarda il modo di porsi in relazione con le persone, i gruppi e le comunità in cui si sviluppa l’intervento di a. che può essere definito come quello di un’accoglienza incondizionata alimentata da quella che nella mappa dei concetti è stata indicata come una filosofia della speranza.
Questo tipo accoglienza si manifesta in tre dimensioni, ognuna delle quali è allo stesso tempo per un verso autosufficiente e per l’altro complementare alle altre due.
La prima è un’accoglienza a livello esistenziale che produca una conferma dell’altro nella sua identità di esistente unico ed irripetibile e manifesti, quindi, un vero amore per la sua alterità.
La seconda è un’accoglienza dei ‘segni’ di futuro di cui è portatrice ogni persona, ogni gruppo o ogni comunità, magari a livello latente. Tutte le situazioni umane, anche le più disperate, hanno al loro interno delle risorse che possono generare futuro, ovvero consentire una uscita evolutiva dal loro stato attuale. Questo tipo di accoglienza richiede la messa in atto dell’ascolto ‘sapienzale’, ovvero di quell’ascolto che sa aiutare chi si esprime a scoprire le proprie risorse, energie e competenze nascoste.
Infine la terza accoglienza è quella che rende reciproca la relazione di a. e che rende il protagonismo ai suoi soggetti. La reciprocità significa che ogni soggetto della relazione di a. riceve e dà: non è, quindi, solo un utente più o meno passivo di un intervento educativo o sociale, perché egli è il protagonista primo del cambiamento della sua situazione personale e sociale. Accoglienza, quindi, della capacità di ogni persona, di ogni gruppo e di ogni comunità di essere, se lo vuole, un soggetto produttore del bene comune che permette la crescita dei singoli e delle organizzazioni sociali.
La centratura sul piccolo gruppo e la comunità locale. Il metodo dell’a. propone un percorso che ha quattro fuochi: la persona, il piccolo gruppo, la comunità locale e il sistema sociale.
Questo significa che chi fa a. deve sempre calarsi in un contesto sociale, qualunque sia il ‘problema’ o i soggetti con cui si intende fare un pezzo di strada, sia per individuare le risorse che sono presenti nel contesto e che possono contribuire alla soluzione del problema, sia perché i soggetti dell’intervento debbono diventare un soggetto sociale protagonista della soluzione del proprio problema.
Il centro di questo processo sociale è costituito dal piccolo gruppo, che è la vera unità di lavoro. Un piccolo gruppo, come già detto, non chiuso in se stesso ma in relazione con altri gruppi e con la comunità locale, che dall’a. è sempre considerata un luogo che, se è vero che genera problemi, alimenta però anche le energie, offre le competenze grazie alle quali possono essere elaborate quelle micro-progettualità che innervano il processo di a.
La valutazione come feedback del processo di a. L’agire proposto dal metodo dell’a. è caratterizzato dal suo continuo confrontarsi con gli effetti reali che produce nelle persone, nella comunità locale e nel sistema sociale.
Questo confronto è reso possibile solo dall’esistenza di un canale di retroazione e di un sistema critico di analisi delle informazioni che questo canale veicola.
In altre parole, questo vuol dire che l’a. presuppone l’esistenza di una valutazione che accompagni tutto il suo svolgersi e consenta di monitorare continuamente la sua azione.
Tuttavia nel metodo dell’a. la valutazione non è solo un gesto ‘tecnico’, svolto dall’animatore o da specialisti, ma è un processo formativo, che coinvolge attivamente i protagonisti dell’azione dell’a.
La valutazione è da questo punto di vista una sorta di ricerca-azione che l’a. promuove e che deve consentire agli ‘animandi’ di divenire consapevoli degli effetti che le attività che svolgono hanno su di loro e sull’ambiente sociale in cui sono inseriti.
Si potrebbe quasi dire che la valutazione nell’a. è lo strumento dell’educazione al controllo critico e consapevole dei soggetti che la vivono, un modo, cioè, per renderli capaci di percepire gli effetti diretti e indiretti delle azioni che promuovono o che subiscono all’interno delle dinamiche del gruppo, della comunità e del sistema sociale in cui sono inseriti.
Occorre però tenere conto che la valutazione è una attività complessa in cui entrano in gioco, accanto alle componenti cognitive o razionali, altre componenti di natura affettiva ed esistenziale. Questo significa che è sempre difficile raggiungere in essa la piena neutralità e obiettività.
Un esercizio attivo di democrazia. L’esercizio della democrazia è il punto di partenza e il punto di arrivo dell’a., che si svolga sia in un ambito prettamente educativo sia in un ambito sociale.
Per questo è necessario che, sin dall’inizio, il percorso dell’a. ponga in essere, evidenziandola, la sua scommessa democratica e, quindi, che ‘restituisca’ ai soggetti dell’a. e alla comunità locale quel potere che tende a concentrarsi nelle mani dell’animatore.
Il protagonismo a cui stimola il metodo dell’a. alimenta la scommessa democratica, offrendo ai soggetti della stessa spazi per partecipare in prima persona e non solo per lasciarsi passivamente coinvolgere.
Il primo esercizio di democrazia avviene all’interno del piccolo gruppo, con la partecipazione democratica alle decisioni, con il controllo degli stili di leadership, con la negoziazione continua della diversità verso l’obiettivo della cooperazione, con l’emersione delle strutture informali e occulte che legano in trame costringenti i membri del gruppo.
Il secondo esercizio lo si realizza nella comunità locale partecipando all’istituzionalizzazione di procedure di partecipazione e di decisione definite e certe, anche se flessibili, agibili e controllabili da parte di chi vuole esercitare una cittadinanza attiva.
Il terzo esercizio di democrazia è dato dall’offerta che i gruppi di a. fanno alla comunità locale perché si riappropri della propria vita, uscendo dalla passività rassegnata in cui spesso cade e che si manifesta anche con la delega agli ‘esperti’ e ai tecnici, con l’accettazione di forme di rappresentanza puramente formali e con la sottomissione alle trame dei giochi di potere che, seppur invisibili, condizionano pesantemente la sua vita.
L’azione sulla comunità, perché riscopra la democrazia, fa parte dei giochi di a. da parte dei gruppi che non si rinchiudono narcisisticamente su se stessi. (Educomunicazione)
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Bibliografia
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Come citare questa voce
Pollo Mario , Animazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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