Group media
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Autori: Franco Lever, Manuel Olivera
L’espressione francese o inglese, a seconda della pronuncia potrebbe essere tradotta in ‘mezzi di gruppo’ (non nel brutto ‘mezzi gruppali’ con un calco dello spagnolo medios grupales), nella pratica però si preferisce la dizione inglese. È un termine utilizzato soprattutto in ambienti educativi e comunicativi ecclesiali; nella scuola infatti si parla soltanto di audiovisivo, di mezzi audiovisivi, oggi, di multimedialità, e il riferimento al gruppo non è preso in considerazione.
In Europa la scelta dei g.m. ha un’altra matrice: da una parte la crisi della catechesi fatta nelle forme tradizionali e la consapevolezza che era necessario coinvolgere in modo attivo il destinatario aveva dato grande importanza al lavoro di gruppo; dall’altra si andava superando una concezione strumentale dei media, scoprendone il valore comunicativo, espressivo e coinvolgente, esattamente all’opposto del linguaggio intellettuale e freddo dei catechismi di cui ogni giorno più si coglievano i limiti. L’audiovisivo dagli educatori più avvertiti era colto come la scelta adatta per superare l’impasse e dare spazio alla creatività del singolo e dell’interno gruppo. Significativo il titolo dell’articolo con cui Pierre Babin, famoso catecheta francese e leader nella promozione dei g.m., proclamò la sua ‘conversione’: "Perché abbandono la catechesi" (1968).
Nel 1978 ebbe luogo a Monaco di Baviera il convegno internazionale delle due organizzazioni cattoliche internazionali OCIC e UNDA che si interessavano al cinema, alla radio e alla televisione, sul tema Audiovisivo ed Evangelizzazione. I lavori del convegno evidenziarono da subito una fortetensione tra chi aveva sposato l’opzione g.m. e gli altri europei e soprattutto statunitensi che non accettavano la radicalizzazione della contrapposizione g.m./ mass media. In ogni caso il convegno sancì la validità della proposta dei g.m., dando vita a un ufficio centrale pariteticamente finanziato dalle due organizzazioni per sostenere e diffondere l’uso dei g.m.
L’attività di questo ufficio non è stata particolarmente influente (infatti dopo qualche anno venne chiuso); in ogni caso la proposta dei g.m. ha guadagnato sempre più spazio, sostenuta dal centro CREC-AVEX di Lione (fondatore e capo carismatico Pierre Babin), dall’ACNAV di Parigi (espressione del Centro catechistico nazionale francese), dall’editrice Elledici di Torino, dall’Istituto di Catechetica dell’Università Salesiana di Roma, dalla rivista AUCA di Madrid per quanto riguarda l’Europa; soprattutto dal gruppo SERPAL per l’America Latina.
La novità della proposta sta nella qualità comunicativa del programma, audiovisivo o radiofonico che sia; ed è una novità così affascinante che viene colta sia da chi ascolta alla radio sia da parte del gruppo riunito per un incontro di catechesi:
a) non viene proposto un pacchetto di idee da memorizzare, ma una parabola, una storia, un fatto concreto con varie possibili soluzioni;
b) il ricevente è considerato parte attiva del programma; al singolo e al gruppo viene data la parola, in modo da conquistare porzioni di verità, espresse nel proprio linguaggio, lontane da formulazioni teoriche;
c) l’animatore non è un docente tradizionale ma un animatore dell’attività di gruppo, un facilitatore di comunicazione;
d) gli autori del programma affrontano la sfida più grande: devono aver approfondito il messaggio da proporre, con in mente le domande anticipate dei destinatari a cui si rivolgono; e quindi inventare un formato capace di piacere e di favorire l’intervento creativo di chi si metterà in ascolto o parteciperà al lavoro di gruppo.
Come si vede alla base c’è una concezione non lineare della comunicazione, dove il ricevente è collaboratore nella costruzione del messaggio.
a) La proposta non è un prodotto audiovisivo ma un tipo di comunicazione attivo, creativo, liberante: per questa ragione al cuore della proposta sta la formazione di nuovi operatori. In questa direzione non sempre si è lavorato abbastanza da parte degli editori che hanno messo sul mercato questo tipo di audiovisivo. Quasi sempre sono stati preparati dei libretti di istruzioni, utili per l’applicazione immediata del prodotto, ancora poca cosa però per far cogliere all’educatore il cambio di prospettiva. SERPAL ha lavorato molto in questo senso in America Latina; non altrettanto gli editori che in Europa hanno proposto alcuni prodotti ispirati a questa metodologia.
b) La seconda condizione è ancora più importante. Questa metodologia ha un grande svantaggio rispetto alla catechesi e all’educazione religiosa tradizionale. Quella presenta come punto di partenza un testo garantito dal punto di vista dell’ortodossia (il catechismo, o comunque, un testo munito di imprimatur) e come misura dei risultati raggiunti valuta il livello di memorizzazione raggiunto da parte dei partecipanti, esaminando le risposte giuste o sbagliate secondo la loro corrispondenza con il testo di riferimento. Se queste risposte abbiano raggiunto il cuore e la vita del destinatario non è oggetto di valutazione.
Nel caso invece della nuova proposta il punto di partenza non contiene in modo esplicito il messaggio, a volte può scandalizzare (come scandalizza la parabola raccontata da Gesù del servo infedele che scoperto in fragrante continua a imbrogliare il suo padrone: Luca 16, 1-8), a volte è una vera e propria provocazione. In questo caso l’ortodossia della proposta non deve essere misurata soltanto sulla base del programma ‘catalizzatore’ del lavoro di gruppo; va preso in considerazione l’insieme del progetto comunicativo, la crescita del gruppo, le intuizioni emerse, il cammino fatto insieme. Un esempio può chiarire quanto affermato. In una delle prima puntate del programma Un tal Jesus (una produzione SERPAL), ascoltando un lungo e affascinante dialogo tra Gesù e suo cugino Giovanni Battista, si viene a sapere che Giuseppe, il papà di Gesù, sarebbe morto ucciso dall’antiterrorismo romano. Affermazione gratuita, storicamente non giustificata, certo; ma anche provocazione utilissima, capace di far riflettere attraverso il dibattito che si apre nel gruppo su quanto artificiosa sia anche l’immagine tradizionale di Giuseppe (vecchio e perennemente in disparte) e sulla necessità di rivalutarne la figura. Se si valuta solo il pezzo drammatizzato, si deve dire che non è storicamente accurato; se invece si considera l’intero processo comunicativo si resta sorpresi della validità dei risultati a cui arriva il gruppo seguendo questo metodo. Certo il gruppo non è da solo e sa in partenza che ascolterà una storia attualizzata e provocatoria, non le parole stesse del Vangelo di Gesù: ascolterà con la Scrittura a portata di mano, pronto a verificare quanto viene affermato.
Se l’autorità non tiene conto di tutto questo, possono nascere degli equivoci pericolosi e dolorosi. È precisamente questo che è avvenuto con il gruppo SERPAL, qualche tempo dopo aver distribuito il programma Un tal Jesus (la storia di Gesù in 144 puntate di 15 minuti ciascuna). Benché avesse l’imprimatur del card. Tarancón della Spagna, dove l’opera era stata registrata, e fosse patrocinata da uomini come mons. Romero e Ignacio Ellacuría, nonostante la diffusione molto ampia e crescente in America Latina, la Conferenza Episcopale latino-americana e Roma fermarono l’esperimento. Questo a livello ufficiale, perché la base ha continuato a usare questo programma, che si è dimostrato efficace sia come trasmissione radiofonica (con una audience di ‘massa’) sia come strumento di di animazione di gruppo. (Educomunicazione; Media education)
1. Due matrici: America Latina, Europa
L’espressione è nata alla fine degli anni Sessanta e ha due matrici assai diverse tra loro, una latino-americana, l’altra europea. Per quanto riguarda l’America Latina la scelta di lavorare a livello di piccoli gruppi, con strumenti tecnicamente e finanziariamente ‘poveri’ (serie di fotografie,registratore audio, proiettore di diapositive, più tardi le videocassette ...) era dettata da un rifiuto radicale nei confronti dei mass media, ritenuti inutilizzabili nell’azione educativa e pastorale. Questa tesi critica non dipendeva soltanto da una concezione apocalittica a proposito degli effetti dei media allora diffusa negli ambienti ecclesiali (nonostante il fatto che la ricerca scientifica avesse già messo a disposizione valutazioni meno drammatiche al riguardo), ma era frutto diretto della situazione culturale e politica di un’America Latina sottomessa a governi militari (anni Settanta e Ottanta): le dittature oligarchiche e militari usavano i mass media come sostegno diretto ed esclusivo della loro presa sulla società e non ammettevano alcun spazio alla critica o a proposte alternative. In questa situazione l’unico spazio di libertà era il gruppo, la comunità di base, con gli strumenti audiovisivi liberamente gestibili a questo livello privato.In Europa la scelta dei g.m. ha un’altra matrice: da una parte la crisi della catechesi fatta nelle forme tradizionali e la consapevolezza che era necessario coinvolgere in modo attivo il destinatario aveva dato grande importanza al lavoro di gruppo; dall’altra si andava superando una concezione strumentale dei media, scoprendone il valore comunicativo, espressivo e coinvolgente, esattamente all’opposto del linguaggio intellettuale e freddo dei catechismi di cui ogni giorno più si coglievano i limiti. L’audiovisivo dagli educatori più avvertiti era colto come la scelta adatta per superare l’impasse e dare spazio alla creatività del singolo e dell’interno gruppo. Significativo il titolo dell’articolo con cui Pierre Babin, famoso catecheta francese e leader nella promozione dei g.m., proclamò la sua ‘conversione’: "Perché abbandono la catechesi" (1968).
Nel 1978 ebbe luogo a Monaco di Baviera il convegno internazionale delle due organizzazioni cattoliche internazionali OCIC e UNDA che si interessavano al cinema, alla radio e alla televisione, sul tema Audiovisivo ed Evangelizzazione. I lavori del convegno evidenziarono da subito una fortetensione tra chi aveva sposato l’opzione g.m. e gli altri europei e soprattutto statunitensi che non accettavano la radicalizzazione della contrapposizione g.m./ mass media. In ogni caso il convegno sancì la validità della proposta dei g.m., dando vita a un ufficio centrale pariteticamente finanziato dalle due organizzazioni per sostenere e diffondere l’uso dei g.m.
L’attività di questo ufficio non è stata particolarmente influente (infatti dopo qualche anno venne chiuso); in ogni caso la proposta dei g.m. ha guadagnato sempre più spazio, sostenuta dal centro CREC-AVEX di Lione (fondatore e capo carismatico Pierre Babin), dall’ACNAV di Parigi (espressione del Centro catechistico nazionale francese), dall’editrice Elledici di Torino, dall’Istituto di Catechetica dell’Università Salesiana di Roma, dalla rivista AUCA di Madrid per quanto riguarda l’Europa; soprattutto dal gruppo SERPAL per l’America Latina.
2. L’originalità della proposta
Vale la pena soffermarsi sulla proposta di quest’ultimo gruppo, perché consente di evidenziare dove stava la vera e grande novità contenuta nella proposta dei g.m. SERPAL (Servicio radiofonico para America Latina) era un’organizzazione nata in Germania con lo scopo di produrre programmi da distribuire alle radio latino-americane. Il tipo di produzione cambiò radicalmente quando l’attività venne presa in mano dall’uruguaiano Manuel Olivera S. J.: non più programmi scritti in Germania, tradotti e prodotti in Spagna, distribuiti in America Latina, ma programmi radiofonici di tipo ‘radionovelas’, fatti su misura per rispondere alle domande religiose (e non) della povera gente, scritti da autori ‘indigeni’ di grandissimo talento (Mario Kaplún, Vigil Lopez), registrati con voci dall’accento tipico delle varie popolazioni latino-americane. La progettazione del prodotto comunicativo andava oltre tutto questo: si voleva offrire un prodotto ‘liberante’ anche nel tipo di comunicazione messa in atto. Non veniva proposta esplicitamente una tesi, ma un vissuto con i suoi problemi. Non delle risposte, ma i problemi e i materiali necessari per riflettere: l’ascoltatore doveva schierarsi e prendere posizione. Significativa ad esempio la serie Jurado 13 dove si immaginava una giuria chiamata a decidere su varie questioni: ogni puntata dopo un vivace e, spesso, drammatico dibattito finiva immancabilmente per vedere schierati sei giurati contro gli altri sei: il tredicesimo giurato, quello dal voto decisivo, era lo spettatore. Dopo alcuni anni di produzione e di grandi successi a livello radiofonico quasi per caso si scoprì che la formula aveva una grande validità per promuovere la riflessione nei gruppi. Inizialmente gli stessi autori rimasero perplessi: credevano al loro prodotto come prodotto radiofonico, eppure le comunità di base lo stavano chiedendo per una utilizzazione del tutto diversa da quella programmata.La novità della proposta sta nella qualità comunicativa del programma, audiovisivo o radiofonico che sia; ed è una novità così affascinante che viene colta sia da chi ascolta alla radio sia da parte del gruppo riunito per un incontro di catechesi:
a) non viene proposto un pacchetto di idee da memorizzare, ma una parabola, una storia, un fatto concreto con varie possibili soluzioni;
b) il ricevente è considerato parte attiva del programma; al singolo e al gruppo viene data la parola, in modo da conquistare porzioni di verità, espresse nel proprio linguaggio, lontane da formulazioni teoriche;
c) l’animatore non è un docente tradizionale ma un animatore dell’attività di gruppo, un facilitatore di comunicazione;
d) gli autori del programma affrontano la sfida più grande: devono aver approfondito il messaggio da proporre, con in mente le domande anticipate dei destinatari a cui si rivolgono; e quindi inventare un formato capace di piacere e di favorire l’intervento creativo di chi si metterà in ascolto o parteciperà al lavoro di gruppo.
Come si vede alla base c’è una concezione non lineare della comunicazione, dove il ricevente è collaboratore nella costruzione del messaggio.
3. Condizioni indispensabili
Per funzionare bene questa proposta e questo tipo di prodotti audiovisivi hanno bisogno di due condizioni: a) la presenza nel gruppo di un animatore capace di sostenere il lavoro comune; b) la comprensione da parte dell’autorità che nella Chiesa (locale e non) presiede alla catechesi della metodologia utilizzata; condizione questa non così facile da ottenere, perché il messaggio da valutare non è il prodotto iniziale, ma la dinamica comunicativa messa in atto, la crescita del gruppo, i risultati raggiunti nel tempo.a) La proposta non è un prodotto audiovisivo ma un tipo di comunicazione attivo, creativo, liberante: per questa ragione al cuore della proposta sta la formazione di nuovi operatori. In questa direzione non sempre si è lavorato abbastanza da parte degli editori che hanno messo sul mercato questo tipo di audiovisivo. Quasi sempre sono stati preparati dei libretti di istruzioni, utili per l’applicazione immediata del prodotto, ancora poca cosa però per far cogliere all’educatore il cambio di prospettiva. SERPAL ha lavorato molto in questo senso in America Latina; non altrettanto gli editori che in Europa hanno proposto alcuni prodotti ispirati a questa metodologia.
b) La seconda condizione è ancora più importante. Questa metodologia ha un grande svantaggio rispetto alla catechesi e all’educazione religiosa tradizionale. Quella presenta come punto di partenza un testo garantito dal punto di vista dell’ortodossia (il catechismo, o comunque, un testo munito di imprimatur) e come misura dei risultati raggiunti valuta il livello di memorizzazione raggiunto da parte dei partecipanti, esaminando le risposte giuste o sbagliate secondo la loro corrispondenza con il testo di riferimento. Se queste risposte abbiano raggiunto il cuore e la vita del destinatario non è oggetto di valutazione.
Nel caso invece della nuova proposta il punto di partenza non contiene in modo esplicito il messaggio, a volte può scandalizzare (come scandalizza la parabola raccontata da Gesù del servo infedele che scoperto in fragrante continua a imbrogliare il suo padrone: Luca 16, 1-8), a volte è una vera e propria provocazione. In questo caso l’ortodossia della proposta non deve essere misurata soltanto sulla base del programma ‘catalizzatore’ del lavoro di gruppo; va preso in considerazione l’insieme del progetto comunicativo, la crescita del gruppo, le intuizioni emerse, il cammino fatto insieme. Un esempio può chiarire quanto affermato. In una delle prima puntate del programma Un tal Jesus (una produzione SERPAL), ascoltando un lungo e affascinante dialogo tra Gesù e suo cugino Giovanni Battista, si viene a sapere che Giuseppe, il papà di Gesù, sarebbe morto ucciso dall’antiterrorismo romano. Affermazione gratuita, storicamente non giustificata, certo; ma anche provocazione utilissima, capace di far riflettere attraverso il dibattito che si apre nel gruppo su quanto artificiosa sia anche l’immagine tradizionale di Giuseppe (vecchio e perennemente in disparte) e sulla necessità di rivalutarne la figura. Se si valuta solo il pezzo drammatizzato, si deve dire che non è storicamente accurato; se invece si considera l’intero processo comunicativo si resta sorpresi della validità dei risultati a cui arriva il gruppo seguendo questo metodo. Certo il gruppo non è da solo e sa in partenza che ascolterà una storia attualizzata e provocatoria, non le parole stesse del Vangelo di Gesù: ascolterà con la Scrittura a portata di mano, pronto a verificare quanto viene affermato.
Se l’autorità non tiene conto di tutto questo, possono nascere degli equivoci pericolosi e dolorosi. È precisamente questo che è avvenuto con il gruppo SERPAL, qualche tempo dopo aver distribuito il programma Un tal Jesus (la storia di Gesù in 144 puntate di 15 minuti ciascuna). Benché avesse l’imprimatur del card. Tarancón della Spagna, dove l’opera era stata registrata, e fosse patrocinata da uomini come mons. Romero e Ignacio Ellacuría, nonostante la diffusione molto ampia e crescente in America Latina, la Conferenza Episcopale latino-americana e Roma fermarono l’esperimento. Questo a livello ufficiale, perché la base ha continuato a usare questo programma, che si è dimostrato efficace sia come trasmissione radiofonica (con una audience di ‘massa’) sia come strumento di di animazione di gruppo. (Educomunicazione; Media education)
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Bibliografia
- BABIN Pierre, J'abandonne la catéchèse in «Cathéchistes», 19 (1968) 76, pp.415-428.
- BABIN Pierre, L'audiovisivo e la fede, ELLEDICI, Leumann (TO) 1971.
- BABIN Pierre - MCLUHAN Marshall, Uomo nuovo, cristiano nuovo nell’era elettronica, Edizioni Paoline, Roma 1979.
- BROOKS Peter, La comunicazione della fede nell’era dei media elettronici, ELLEDICI, Leumann (TO) 1989.
- LEVER Franco - SCHWERZ N., Un modello di catechesi per adulti con i mass-media e i group-media. L'esperienza del SERPAL: Servizio Radiofonico per l'America Latina in «Catechesi», 55 (1986) 4, pp.33-39.
- NEUMANN Laurício, Educação e comunicação alternativa, Petrópolis, Vozes 1990.
- OLIVERA Manuel, La discusión de grupo (foro grupal), Don Bosco Argentina - Proa, Buenos Aires 1987.
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Note
Come citare questa voce
Lever Franco , Olivera Manuel , Group media, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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