Blob
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Autore: Pier Cesare Rivoltella
Nato da Vent’anni prima, un programma Tv che dal gennaio 1988 all’aprile 1989 all’ora del telegiornale accompagnava il telespettatore alla scoperta di piccoli frammenti di memoria collettiva, B. è diventato col tempo un vero e proprio programma di culto (Cult movie) capace di costituirsi a genere autonomo e di inventare un nuovo modo di fare televisione.
Questo programma, ideato da Enrico Ghezzi e Marco Giusti, prende come nome il titolo di un classico della cinematografia fantascientifica. In inglese il termine significa macchia, frammento, ma nel linguaggio dei cinefili indica persone appiccicose, pesanti, forse in riferimento al suo valore onomatopeico (blob), che rinvia al ribollire di qualcosa di unto, vischioso.
In questi due significati della parola si possono rintracciare le due caratteristiche distintive del programma. Anzitutto quella di essere un lavoro di montaggio, in tutti i sensi: sia perché è il risultato della scelta e del riordino intenzionale di frammenti di televisione e di cinema presenti e passati, sia perché questo riordino è guidato dalle leggi classiche del montaggio intellettuale, che costruisce significati secondi sfruttando le analogie o le contraddizioni tra le singole immagini. Oltre a questo, B. è anche un testo-magma, in cui per venti minuti ogni sera scorrono immagini e suoni senza soluzione di continuità che ‘dicono’ solo in virtù del loro succedersi nel loro stesso fluire, secondo un modello di comunicazione decisamente aggressivo.
È quest’ultimo aspetto a consentire alcuni rilievi sul suo significato socio-culturale.
È stato detto più volte che B. è archeologia e insieme critica televisiva, dove risulta difficile distinguere la prima dalla seconda perché nel programma anche la citazione più arcaica viene resa presente, mentre spesso, al contrario, la contemporaneità televisiva viene messa a distanza fino alla storicizzazione. B. è un’eco e insieme una denuncia impietosa della televisione: il suo funzionamento semiotico, infatti, fatto di detestualizzazioni e ritestualizzazioni continue, riesce a far risaltare ciò che spesso nel flusso della programmazione passa inosservato e a evidenziare l’oscenità di cui, per via del contesto o dell’abitudine, non si coglie la disturbante opacità.
Infine, B. è anche un processo di significazione autoreferenziale in cui la realtà che viene mostrata è la realtà stessa dell’immagine televisiva: un processo in cui il mostrare, in ossequio ai canoni estetici del postmodernismo, risponde alla logica della citazione, ora seria ora ironica, del ritaglio, della contaminazione.
In virtù di tutto questo B. è anche metatelevisione, anzi è il doppio della televisione: un flusso, una ‘marmellata’ elettronica, in cui il passato si appiattisce sul presente e l’immagine, eticamente indifferente al valore, tende sempre più a essere simulacro di se stessa.
Questo programma, ideato da Enrico Ghezzi e Marco Giusti, prende come nome il titolo di un classico della cinematografia fantascientifica. In inglese il termine significa macchia, frammento, ma nel linguaggio dei cinefili indica persone appiccicose, pesanti, forse in riferimento al suo valore onomatopeico (blob), che rinvia al ribollire di qualcosa di unto, vischioso.
In questi due significati della parola si possono rintracciare le due caratteristiche distintive del programma. Anzitutto quella di essere un lavoro di montaggio, in tutti i sensi: sia perché è il risultato della scelta e del riordino intenzionale di frammenti di televisione e di cinema presenti e passati, sia perché questo riordino è guidato dalle leggi classiche del montaggio intellettuale, che costruisce significati secondi sfruttando le analogie o le contraddizioni tra le singole immagini. Oltre a questo, B. è anche un testo-magma, in cui per venti minuti ogni sera scorrono immagini e suoni senza soluzione di continuità che ‘dicono’ solo in virtù del loro succedersi nel loro stesso fluire, secondo un modello di comunicazione decisamente aggressivo.
È quest’ultimo aspetto a consentire alcuni rilievi sul suo significato socio-culturale.
È stato detto più volte che B. è archeologia e insieme critica televisiva, dove risulta difficile distinguere la prima dalla seconda perché nel programma anche la citazione più arcaica viene resa presente, mentre spesso, al contrario, la contemporaneità televisiva viene messa a distanza fino alla storicizzazione. B. è un’eco e insieme una denuncia impietosa della televisione: il suo funzionamento semiotico, infatti, fatto di detestualizzazioni e ritestualizzazioni continue, riesce a far risaltare ciò che spesso nel flusso della programmazione passa inosservato e a evidenziare l’oscenità di cui, per via del contesto o dell’abitudine, non si coglie la disturbante opacità.
Infine, B. è anche un processo di significazione autoreferenziale in cui la realtà che viene mostrata è la realtà stessa dell’immagine televisiva: un processo in cui il mostrare, in ossequio ai canoni estetici del postmodernismo, risponde alla logica della citazione, ora seria ora ironica, del ritaglio, della contaminazione.
In virtù di tutto questo B. è anche metatelevisione, anzi è il doppio della televisione: un flusso, una ‘marmellata’ elettronica, in cui il passato si appiattisce sul presente e l’immagine, eticamente indifferente al valore, tende sempre più a essere simulacro di se stessa.
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Bibliografia
- FAVA Vladimir (ed.), Il libro di Blob, Nuova ERI, Torino 1993.
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Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Blob, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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