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l termine può essere usato in modo piuttosto generico per indicare la forma e le dimensioni di un oggetto. Ad esempio si parla di f. tabloid per indicare le dimensioni più contenute di alcuni quotidiani, rispetto ai quotidiani tradizionali.
In vari settori del mondo della comunicazione però la parola acquista una significato molto tecnico e preciso, che suppone una vera e propria ‘normalizzazione’ delle caratteristiche che quel determinato ‘oggetto’ deve avere. Alcune rare volte sono le leggi del mercato che determinano di fatto la norma: è il caso in cui un prodotto si afferma a tal punto che tutti lo considerano prodotto di riferimento. Al riguardo esempi di un tale successo sono la cassetta audio lanciata dalla Philips nel 1962, i videoregistratori U-matic e VHS.
Nella normalità delle cose soprattutto oggi, in condizioni di globalizzazione dell’economia la definizione delle caratteristiche che fissano un f. sono il risultato di accordi tra grandi aziende, di approfonditi studi da parte di gruppi di specialisti e di associazioni professionali, di decisioni prese da enti, a ciò delegati da singoli Stati o da un consenso internazionale.
Prima di elencare una serie di esempi vale la pena notare che nei libri e negli articoli di settore, come anche nel linguaggio degli specialisti, non è raro trovare uno scambio tra i termini ‘f.’ e ‘standard’. Noi qui ci atterremo a quella che sembra essere una chiave di distinzione: si usa la parola f. nei casi in cui l’oggetto ha una forma e delle dimensioni tangibili e quando, usando la parola standard, si andrebbe incontro a confusione (vedi sotto, nel caso dei f. del segnale video digitale); si parla invece di standard quando la normalizzazione riguarda la definizione delle specifiche di un insieme complesso di segnali, come nel caso degli standard televisivi PAL, SECAM e NTSC e negli standard di compressione JPEG, M-JPEG, MPEG (Norma).
Il termine è usato in editoria per definire il f. della carta: si parla di fogli f. A4, A3, A2, A1, ecc. La normalizzazione è di origine tedesca, si tratta infatti di norme DIN.
In fotografia, serve a precisare le dimensioni del materiale sensibile utilizzato e con ciò stesso le dimensioni della macchina fotografica che lo utilizza. Per la fotografia amatoriale e il fotogiornalismo due sono i f. classici: il 24 x 36, detto anche il f. Leica e il f. 6 x 6.
Anche nel cinema il termine indica le dimensioni della pellicola: il 35 mm, eccezionalmente il 70 mm, per la grande industria; il 16 mm per i documentari; il doppio 8 o l’8 mm, poi il super 8, per il cinema amatoriale.
In ambito televisivo il termine è molto usato:
a) per indicare le dimensioni dello schermo: il televisore tradizionale ha uno schermo f. 4:3 (largo 4 parti, alto 3); ora le industrie propongono televisori con uno schermo panoramico di f. 16:9 (notevolmente più largo di quello tradizionale, dove si possono vedere meglio i film). Ovviamente anche le telecamere devono rispettare il f. quando riprendono per questo tipo di televisori.
b) per indicare le dimensioni del nastro magnetico, la relativa cassetta e quindi le macchine che li usano: a livello amatoriale Betamax, VHS, Video2000, S-VHS, Video-8, Hi-8; a livello professionale: B, C, U-matic, BVU, Betacam...; in relazione alle macchine digitali: D1, D2..., Digital Betamax, D5, MiniDV, DVCAM, DVCPro, ecc.
In ambito professionale si usa il termine f. anche quando si parla dei diversi tipi di segnali televisivi all’interno dei diversi standard (PAL, SECAM, NTSC): nel caso del segnale analogico, in tutti e tre gli standard si devono distinguere i f. RGB, component e composito; così, quando si tratta della conversione analogico/digitale, ci sono i f. 4:4:4; 4:2:2, 4:2:0 e 4:1:1. La serie di numeri indica contemporaneamente il tipo di segnale che è stato campionato e il livello di campionamento a cui è stato sottoposto: nel caso del f. 4:4:4 di assoluta qualità il segnale è costituito da tre componenti (il primo per la luminanza, gli altri due per la crominanza) e tutti e tre sono stati campionati alla massima frequenza di campionamento (13,5 Mhz); anche nel f. 4:2:2 i componenti sono tre, ma per i due della crominanza il valore di campionamento è stato dimezzato (il segnale resta ottimo); nel f. 4:2:0 (preferito in ambiente PAL) i componenti sono solo due, il primo (il segnale della luminanza) campionato alla frequenza massima, il secondo (la crominanza) a una frequenza dimezzata; nel f. 4:1:1 (più usato nello standard NTSC) la luminanza è campionata alla frequenza massima, mentre gli altri due componenti sono campionati a una frequenza quattro volte inferiore.
In vari settori del mondo della comunicazione però la parola acquista una significato molto tecnico e preciso, che suppone una vera e propria ‘normalizzazione’ delle caratteristiche che quel determinato ‘oggetto’ deve avere. Alcune rare volte sono le leggi del mercato che determinano di fatto la norma: è il caso in cui un prodotto si afferma a tal punto che tutti lo considerano prodotto di riferimento. Al riguardo esempi di un tale successo sono la cassetta audio lanciata dalla Philips nel 1962, i videoregistratori U-matic e VHS.
Nella normalità delle cose soprattutto oggi, in condizioni di globalizzazione dell’economia la definizione delle caratteristiche che fissano un f. sono il risultato di accordi tra grandi aziende, di approfonditi studi da parte di gruppi di specialisti e di associazioni professionali, di decisioni prese da enti, a ciò delegati da singoli Stati o da un consenso internazionale.
Prima di elencare una serie di esempi vale la pena notare che nei libri e negli articoli di settore, come anche nel linguaggio degli specialisti, non è raro trovare uno scambio tra i termini ‘f.’ e ‘standard’. Noi qui ci atterremo a quella che sembra essere una chiave di distinzione: si usa la parola f. nei casi in cui l’oggetto ha una forma e delle dimensioni tangibili e quando, usando la parola standard, si andrebbe incontro a confusione (vedi sotto, nel caso dei f. del segnale video digitale); si parla invece di standard quando la normalizzazione riguarda la definizione delle specifiche di un insieme complesso di segnali, come nel caso degli standard televisivi PAL, SECAM e NTSC e negli standard di compressione JPEG, M-JPEG, MPEG (Norma).
Il termine è usato in editoria per definire il f. della carta: si parla di fogli f. A4, A3, A2, A1, ecc. La normalizzazione è di origine tedesca, si tratta infatti di norme DIN.
In fotografia, serve a precisare le dimensioni del materiale sensibile utilizzato e con ciò stesso le dimensioni della macchina fotografica che lo utilizza. Per la fotografia amatoriale e il fotogiornalismo due sono i f. classici: il 24 x 36, detto anche il f. Leica e il f. 6 x 6.
Anche nel cinema il termine indica le dimensioni della pellicola: il 35 mm, eccezionalmente il 70 mm, per la grande industria; il 16 mm per i documentari; il doppio 8 o l’8 mm, poi il super 8, per il cinema amatoriale.
In ambito televisivo il termine è molto usato:
a) per indicare le dimensioni dello schermo: il televisore tradizionale ha uno schermo f. 4:3 (largo 4 parti, alto 3); ora le industrie propongono televisori con uno schermo panoramico di f. 16:9 (notevolmente più largo di quello tradizionale, dove si possono vedere meglio i film). Ovviamente anche le telecamere devono rispettare il f. quando riprendono per questo tipo di televisori.
b) per indicare le dimensioni del nastro magnetico, la relativa cassetta e quindi le macchine che li usano: a livello amatoriale Betamax, VHS, Video2000, S-VHS, Video-8, Hi-8; a livello professionale: B, C, U-matic, BVU, Betacam...; in relazione alle macchine digitali: D1, D2..., Digital Betamax, D5, MiniDV, DVCAM, DVCPro, ecc.
In ambito professionale si usa il termine f. anche quando si parla dei diversi tipi di segnali televisivi all’interno dei diversi standard (PAL, SECAM, NTSC): nel caso del segnale analogico, in tutti e tre gli standard si devono distinguere i f. RGB, component e composito; così, quando si tratta della conversione analogico/digitale, ci sono i f. 4:4:4; 4:2:2, 4:2:0 e 4:1:1. La serie di numeri indica contemporaneamente il tipo di segnale che è stato campionato e il livello di campionamento a cui è stato sottoposto: nel caso del f. 4:4:4 di assoluta qualità il segnale è costituito da tre componenti (il primo per la luminanza, gli altri due per la crominanza) e tutti e tre sono stati campionati alla massima frequenza di campionamento (13,5 Mhz); anche nel f. 4:2:2 i componenti sono tre, ma per i due della crominanza il valore di campionamento è stato dimezzato (il segnale resta ottimo); nel f. 4:2:0 (preferito in ambiente PAL) i componenti sono solo due, il primo (il segnale della luminanza) campionato alla frequenza massima, il secondo (la crominanza) a una frequenza dimezzata; nel f. 4:1:1 (più usato nello standard NTSC) la luminanza è campionata alla frequenza massima, mentre gli altri due componenti sono campionati a una frequenza quattro volte inferiore.
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Bibliografia
- COASSIN Gabriele, Video digitale. La ripresa, Apogeo, Milano 2007.
- CORAZZA Gian M. - ZENATTI Sergio, Dentro la televisione. Strumenti, tecniche e segreti della TV, Gremese, Roma 1999.
- SOLARINO Carlo, Video produzione digitale. Il segnale, le apparecchiature, gli studi, Vertical Editrice, Milano 1999.
- STERNE Jonathan, MP3. The meaning of a format (Sign, Storage, Transmission), Duke University Press, Durham NC 2012.
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Come citare questa voce
Formato, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/12/2024).
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