Commedia

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Dipinto raffigurante Carlo Goldoni

1. Origini ed etimologie

Complesse e controverse sono le ipotesi sulle origini dello spettacolo comico che, per quanto ne sappiamo, appare per la prima volta in epoca storica nelle regioni del Mediterraneo orientale. Grazie alle testimonianze della pittura vascolare s’intravede un rapporto suggestivo e ambiguo con i riti religiosi, in particolare con i riti di fecondità. Nell’età predorica, infatti, gli studiosi hanno individuato figurazioni di demoni fallici in un costume che diverrà poi tipico degli attori greci d’Italia, i ‘fliàci’. Allo stesso periodo arcaico, VII-VI secolo a.C., risalgono le maschere votive in terracotta reperite presso il santuario d’Artemide Ortis a Sparta, maschere che verranno adottate poi nella successiva c. attica. Pare che inizialmente gli attori comici recitassero solo coi gesti (pantomimi), in seguito cantarono e recitarono testi. Il repertorio antico comprendeva due diversi ambiti tematici: scene di vita quotidiana e parodie mitologiche. Il più noto fra gli autori dell’epoca arcaica è Epicarmo (Siracusa, 528-431), che superò i modi preesistenti della farsa megarese, popolare in Sicilia, e le improvvisazioni dei fliàci, componendo gustosi ritratti ‘realistici’ e argute parodie di miti.
L’etimologia di c. è riferibile alla più tarda codificazione del genere letterario del periodo comico attico. Aristotele, nella Poetica, propone due etimologie: comos = gioia dionisiaca che segue il banchetto e come = canto del villaggio; complessivamente: comos-odé significa canto del corteo celebrante la festività dionisiaca (che aveva sostituito quella arcaica dedicata ai demoni fecondatori). La festività religiosa che in origine aveva dato occasione e spunto per danze, mimi, scambi satirici e parodie di uomini e dei, divenne l’annuale contenitore ufficiale degli spettacoli offerti al pubblico ateniese.
Il passaggio dalla fase arcaica alla fase successiva (attica) della c. è contrassegnato dalla presenza del coro.

2. Evoluzione storica

2.1. Antichità greco-romana.
Gli studiosi hanno distinto la c. greca classica in ‘antica’, ‘di mezzo’ e ‘nuova’. Nella c. antica personaggi e temi sono collegati alla vita della ‘polis" (guerre, paci, amministrazione della giustizia); in quella mediana, di cui sono rimasti solo frammenti, era prevalente la satira letteraria e mitologica; la nuova porta in scena personaggi e vicende familiari, sentimentali, erotiche.
I più celebri autori dell’antica furono Cratino, Eupoli – delle cui c. restano solo frammenti – e Aristofane. Aristofane (445-380 a.C.), cui furono attribuite quarantaquattro c., undici delle quali giunte fino a noi (Acarnesi, Cavalieri, Vespe, Pace, Nuvole, Uccelli, Lisistrata, Termoforiazuse, Rane, Ecclesiazuse, Pluto), è considerato il più creativo autore comico dell’antichità. Egli, infatti, seppe con geniale versatilità coniugare la forza satirica, con cui attaccava i potenti della politica, della finanza e persino della cultura (nelle Nuvole schernì addirittura Socrate), con le innumerevoli invenzioni di una fantasia surreale. Aristofane consolidò la struttura drammatica della c. attica, caratterizzata da quadri scenici ideati secondo uno schema costante: all’inizio "uno stato di disagio e di calamità (la guerra, la prepotenza di un demagogo, abusi legali, un regime maschilista), cui seguono eventi curiosi nell’intento di rimediare ai guai, in ultimo un ordine giusto viene ristabilito. A metà della c. vi è la ‘parabasi’ nella quale il capo-coro si presenta senza la maschera insieme ai coreuti, ed espone idee e spregiudicate convinzioni dell’autore" (Albini, 1991).
La c. di mezzo si sviluppò negli ottant’anni successivi all’attività di Aristofane; quantitativamente assai rilevante (si ricordano ottocento titoli), rappresentò, con autori come Eubolo, Antifane e Alessi, la situazione sociale e culturale della Grecia del IV secolo, ma anche la vita quotidiana dei ceti medio-bassi disegnata con realismo.
Massimo esponente della c. nuova fu Menandro (342-290 a.C.). Compose oltre cento testi, dei quali sono giunte sino a noi scene di cinque c.: L’Eroe, L’Arbitrato, La Ragazza tosata, Lo Scudo, La Samia e l’intero testo del Misantropo. I suoi personaggi interpretano aspetti della vita borghese quotidiana dell’Atene del IV e III secolo: "esporre figli illegittimi era una prassi comune, le cause per eredità erano all’ordine del giorno, la dura esistenza dei piccoli coltivatori nelle campagne, come l’agiatezza dei commercianti e dei proprietari terrieri non sono invenzioni letterarie, arruolarsi negli eserciti mercenari dei sovrani ellenistici era un mezzo per arricchirsi" (Id.). Menandro fu apprezzato soprattutto per le qualità letterarie e per l’accurato disegno psicologico dei personaggi.
Nell’anno 240, nell’ambito dei Ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo, Livio Andronico, greco di Taranto, fatto prigioniero e condotto a Roma, presenta il suo primo testo drammatico tradotto in latino. Fu dunque Livio il tramite per la conoscenza e la diffusione del repertorio greco fra i romani. Nevio, d’origine campana (270-201), fu il primo autore drammatico latino e gli sono attribuiti trentacinque titoli d’opere comiche di derivazione greca, ma ricche di forme linguistiche e di innovativi caratteri romani che anticipano la successiva c. ‘togata’; fra i suoi testi più celebri la Tarentilla, brillante ritratto di una seducente ragazza di Taranto, che affascina i suoi ammiratori con il muto linguaggio del viso favorito dall’assenza della maschera.
Plauto, d’origine umbra (Sarsina, 251-184), fu il più popolare e fortunato autore comico latino, di cui sono giunte sino a noi venti c. complete e una frammentaria (Amphitruo, Asinaria, Aulularia, Bacchides, Captivi, Casina, Cistellaria, Curculio, Epidicus, Maenechmi, Mercator, Miles gloriosus, Mostellaria, Persa, Poenulus, Pseudolus, Rudens, Tricus, Trinummus, Truculentus e Vidularia). Sono opere complesse in cui le suggestioni e i modelli del repertorio greco vengono riproposti con ricchezza inventiva, grazie all’esperienza diretta del palcoscenico che Plauto aveva in quanto attore e capocomico. Componendo c. ‘palliate’, che fingono di rappresentare personaggi e ambienti greci, egli giuoca abilmente sulle licenze morali che gli schiavi, veri motori delle sue azioni sceniche, possono permettersi per giovare ai loro giovani padroni, sempre in conflitto con gli anziani o i prepotenti – conflitto infine "risolto nell’alveo di una normalità che va ripristinata" (Petrone, 1992).
A giudizio dei critici latini, il migliore autore comico fu Cecilio Stazio, forse di una ventina d’anni più giovane di Plauto, che, dall’iniziale condizione di schiavitù, seppe progredire diventando colto e rispettato autore drammatico. Purtroppo, delle quaranta c. a lui attribuite ci restano soltanto trecento versi; i titoli rimandano a opere di Menandro, mentre i frammenti confermano la suggestiva qualità del suo linguaggio.
Terenzio (184? - 159), un giovane schiavo cartaginese liberato dal senatore Terenzio Lucano, avrebbe composto ancora adolescente, nell’ambiente del circolo ellenizzante di Scipione Emiliano, le sue prime c. d’imitazione menandrea. Nella sua breve vita (Svetonio scrive che morì a soli venticinque anni) compose sei c.: Andria, Hecyra, Heautontimoroumenos, Eunucus, Phormio, Adelphoe. Pur utilizzando temi e personaggi della tradizione, Terenzio la rinnovò sostanzialmente con la creazione di caratteri seri, riflessivi, di notevole spessore psicologico e talvolta animati da un’autentica sensibilità morale. Queste peculiarità, che resero lenta e contrastata l’affermazione delle c. terenziane presso il pubblico del tempo, nel corso dei secoli successivi, caratterizzati dalla cultura cristiana, ne favorirono l’apprezzamento e la diffusione nei principali Paesi d’Europa. Nell’XI secolo la monaca sassone Rosvita ne imitò lo stile, per comporre drammi edificanti.

2.2. Rinascimento ed età barocca.
La fine delle istituzioni pubbliche dell’impero romano, le invasioni, poi le condanne ecclesiastiche nei confronti del teatro pagano, interruppero per un intero millennio la pratica del teatro drammatico in Europa. Si svilupparono invece le rappresentazioni religiose, prima in latino nelle chiese, poi sulle piazze nelle varie lingue nazionali. La c. antica (con l’eccezione di quella terenziana, sempre commentata nelle scuole), venne studiata e imitata dagli autori della cosiddetta c. ‘elegiaca’ del XII-XIII secolo, sorta nelle scuole ecclesiastiche della Valle della Loira, in seguito ripresa nelle università italiane del Quattrocento a opera degli umanisti, infine nuovamente diffusa fra il pubblico colto con le prime edizioni a stampa e le rappresentazioni effettuate nelle accademie e nelle corti, a Roma, Firenze, Ferrara. Qui l’Ariosto compose, nel 1508, la prima c. ‘regolare’ (cioè fedele al modello di quella classica definito da Aristotele e Orazio): La Cassaria.
Nel corso del Cinquecento, gli autori italiani, dal Bibiena al Caro, dal Lasca al Cecchi, travasano nei vecchi schemi materia contemporanea, attingendola non solo dalla vita ma anche dalla vivace novellistica del tempo. La satira del costume contemporaneo assume toni sarcastici nelle c. dell’Aretino, accenti di amara denuncia nel capolavoro del Machiavelli La Mandragola (1518), forte risentimento morale ne Il Candelai del filosofo Giordano Bruno.
I modelli classici e quelli italiani si diffondono nei principali Paesi europei; citiamo solo gli autori più rappresentativi, a cominciare dall’inglese William Shakespeare (1564 - 1616), di geniale versatilità nel genere comico e tragico. Egli passa dall’imitazione plautina (The comedy of errors 1592), alla c. all’italiana (Love’s labours lost e The two gentlemen of Verona), a quella fantastica (A midsummer night’s dream, 1595), alla magica allegoria della vita umana (The Tempest, 1609-11). Fra gli emuli di Shakespeare ricordiamo Ben Jonson, creatore di personaggi grandiosi nel cinismo, come il veneziano Volpone or the fox (1606) e i quattro gaglioffi di The Alchemist (1611).
In Spagna, durante il Cinquecento, pesò, oltre l’influenza delle opere degli umanisti italiani, quella degli attori dell’Improvvisa (o C. dell’Arte), eccezionali intrattenitori che, inventando dialoghi e vivacissime azioni sulla base di un ‘canovaccio’, affascinavano il pubblico dei principali Paesi d’Europa. Dopo Cervantes (l’autore del Don Chisciotte), che scrisse c. e intermezzi notevoli, il più celebre dei commediografi del tempo fu Lope de Vega (1562-1635), autore di centinaia di drammi e c., tragedie e autos sacramentales, definito ‘prodigio di natura’. Le sue c., scritte con grande libertà inventiva, disegnano innumerevoli ambienti e personaggi vitalissimi: Calle Major e Las Ferias de Madrid (1603), El Acero de Madrid (1609), La Dama boba (1614), L’Amo de Fenisa, Las Bizarias de Belisa (1634). Fra le centinaia d’autori spagnoli attivi durante quello che fu giustamente definito ‘Secolo d’oro’, ricordiamo le personalità eccezionali di Tirso da Molina (1583-1648), nome d’arte di un frate di grande esperienza di vita, autore di avventurose c. d’azione e inventore del prototipo del grande seduttore Don Giovanni (El burlador de Sevilla), e di Pedro Calderon de la Barca (1600-1681), il più autorevole drammaturgo del secolo, celebre per i suoi drammi filosofici e i testi religiosi, autore anche di significative c. sui problemi irrisolti della vita familiare (Casa con dos puertas mala es de guardar, La dama duende, No hay cosa como callar).
In Francia, durante il Medioevo, avevano avuto successo farse con personaggi e intrecci di carattere popolare, poi s’era fatta sentire l’influenza dell’umanesimo classicista e degli autori italiani. Nel corso del Cinquecento, la c. letteraria venne trascurata a vantaggio delle rappresentazioni dei comici italiani e anche delle tragicommedie e delle pastorali. Un salto di qualità si ebbe con l’avvento al potere del cardinale Richelieu che, nel 1635, invitò alcuni autori a comporre opere significative. Fra questi Pierre Corneille (1606-1684) fu il più celebre, soprattutto per le sue tragedie, ma inizialmente si era affermato come commediografo raffinato e brillante: Mélite ou les fausses lettres (1630), Clitandre ou l’innocence délivrée (1631), La Veuve ou le Traistre trahy (1631), La Galerie du Palais ou l’Amie rivale (1632) felice disegno realistico della borghesia cittadina, La Suivante (1633), intenso ritratto di una giovane sfortunata, poi La Place Royale ou l’Amour extravagant (1633), c. psicologica che tende al dramma nell’animo del protagonista timoroso d’amare una donna troppo affascinante, L’Illusion comique (1636), suggestiva parabola di un’avventurosa vocazione teatrale, infine le ultime creazioni brillanti, Le Menteur e La suite du Menteur (1643).
Il più significativo autore comico francese dell’età barocca fu però J. B. Poquelin detto Molière (1622-1673). Attore emulo degli improvvisatori italiani, diviene il più efficace e incisivo critico del costume familiare e sociale del suo tempo, con una serie d’opere che alternano le farse giocose alle satire, le parodie alle c. drammatiche di notevole risentimento morale. Con Les précieuses ridicules (1659) osa parodiare i vezzi dei circoli colti delle dame parigine e scherzare sui matrimoni imposti con la farsa Sganarelle ou le Cocu imaginaire (1660); sulle illusioni di un anziano tutore invaghito della ragazza in L’école des maris (1661), tema su cui ritorna con L’école des femmes (1662). Alle critiche ottuse dei moralisti, Molière replica con La critique de l’école des femmes e poi con L’Impromptu de Versailles (1663). Confortato dalla stima di Luigi XIV, osa satireggiare l’ipocrisia dei falsi devoti con Le tartuffe (1664), ma le violente reazioni dei conformisti fanno interrompere le recite; tuttavia Molière non si perde d’animo e attacca i nobili immorali e corruttori col dramma Don Juan ou le Festin de pierre (1665) e, subito dopo, l’inadeguatezza dei medici con L’Amour médecin (1665). Insidiato dalla malattia, che in seguito lo stroncherà, continua coraggiosamente a scrivere e recitare testi rivelatori della sua visione critica della società: Le Misanthrope (1666); allude alla propria infelice condizione coniugale in Georges Dandin (1668); descrive la grettezza di certi vecchi in L’Avare (1668) e la supponenza de Les Femmes savantes (1669). Infine, mentre interpreta Le Malade imaginaire, muore in scena (1673).
Troviamo la spregiudicata rappresentazione di costumi rilassati e corrotti (priva però delle istanze morali di Molière) anche nella contemporanea c. inglese della Restaurazione. L’autore più significativo è William Congreve (1670-1720) le cui opere (Love for love, 1695; The Way of the World, 1700) sono caratterizzate da trame avventurose, da cinici personaggi maschili, da affascinanti eroine e da un dialogo eccezionalmente vivace.

2.3. Il Settecento e il Romanticismo.
Un notevole cambiamento del costume inglese è rilevato dai commediografi dei primi decenni del secolo; infatti da un lato nasce la sentimental comedy di Cibber e di Steele, che diverrà noto per testi moraleggianti (The Conscious Lovers, 1723), dall’altra appare sulle scene, per la prima volta, una violenta c. di satira sociale e politica a opera di John Gay (The Beggar’s Opera, 1728).
Intanto in Italia, dove la c. letteraria era patrimonio delle accademie e dove la secolare fortuna dell’Improvvisa si era isterilita in schemi e tipi di maschere ormai ripetitivi, una riforma che ridonasse ai testi un rapporto con la realtà e ai personaggi consistenza sentimentale e psicologica fu realizzata con successo dall’autore veneziano Carlo Goldoni (1707-1793). Egli, lavorando con attori avvezzi alla recitazione improvvisata, gradita a spettatori che continuavano ad applaudirli, riuscì gradualmente a convincere gli uni e gli altri che si potevano creare spettacoli rappresentativi della vita contemporanea e tuttavia gradevoli.
Ispirandosi al ‘Mondo’, cioè alla vita, e al ‘Teatro’ ovvero alla magia del palcoscenico, cominciò a far apparire in scena, accanto alle maschere tradizionali, qualche personaggio realistico: da La Vedova Scaltra (1748-49) ad alcune protagoniste delle sedici c. nuove che compose l’anno seguente; dalla Pamela, prima c. priva di maschere (1750) alla Locandiera, incarnazione artistica dell’antica servetta. Creò opere corali come Il Campiello (1756), drammatiche, come Gli innamorati (1759), psicologicamente contrastate, come I rusteghi (1760), polifoniche, come Le baruffe chiozzotte (1760). Goldoni rinnovò il repertorio comico conferendogli dignità e autentico senso morale.
La sua fama superò i confini dell’Italia e influenzò l’evoluzione tematica della c. francese; infatti, dopo la Comédie larmoyante, che Nivelle de la Chaussée aveva creato per correggere radicati pregiudizi sociali, l’enciclopedista D. Diderot, seguendo Goldoni, scrisse opere d’impegno pedagogico, come Le Fils naturel (1757) e Le Père de famille (1758). Un memorabile salto di qualità fu poi realizzato da C. de Beaumarchais che, satireggiando la corruzione dei nobili con Le barbier de Séville (1775) e ancor più col temutissimo Le Mariage de Figaro (rappresentato solo nel 1784), prefigurò l’imminente rivoluzione.
Una risposta al tuttora dominante classicismo francese era, intanto, venuta da alcuni autori tedeschi, come Lessing (1729-81), teorico e sperimentatore di un nuovo teatro nazionale, con gli scritti pubblicati sull’Hamburghische Dramaturgie (1767) e con la c. drammatica Minna von Barnhelm (1763, rappresentata nel 1767). Un grande impulso alla letteratura drammatica di lingua tedesca venne dato, nei decenni successivi, dal massimo poeta del tempo J. W. Goethe (1749-1832). Ammiratore di Shakespeare, con i suoi drammi e romanzi iniziò il movimento dello Sturm und Drang e promosse l’avvio del grandioso rinnovamento estetico europeo che fu chiamato Romanticismo.

2.4. Tra Ottocento e Novecento.
Intanto, negli anni turbinosi e violenti della Rivoluzione francese, decine di autori parigini esprimono, con centinaia di testi grotteschi o satirici, le nuove ideologie sociopolitiche riformiste o libertarie, ma non creano opere d’arte. Un’autentica rivoluzione estetica fu, invece, realizzata dagli autori romantici dei principali Paesi europei, spesso in concomitanza con i moti politici d’indipendenza; essa consistette nel definitivo abbandono del patrimonio culturale e del linguaggio del classicismo, nel rinnovamento della tematica, che si ispirò alla storia e alla poesia del Medioevo europeo, nell’accentuazione dei caratteri psicologici e sentimentali dei personaggi.
Fu una rivoluzione che conseguì i risultati più evidenti nelle opere tragiche, ma che favorì anche la creazione dei ‘drammi’, testi sciolti dalla tradizione e realisticamente rappresentativi della vita borghese del tempo. La nascita dei drammi ridusse le distanze fra i temi tragici e quelli comici o, meglio, mescolò spunti e modi diversi e compresenti.
La c. in lingua tedesca, che era stata resa popolare dalle opere di A. von Kotzebue, formatosi alla scuola di Goethe, fra la fine e l’inizio del secolo, vanta testi artisticamente suggestivi come le fiabe di J. L. Tieck, fra cui Ritter Blaubart (Il cavaliere Barbablù) e Der gestiefelte Kater (Il gatto con gli stivali, 1796), e Der zerbrochene Krug (La brocca rotta, 1808) del poeta tragico H. Von Kleist.
In Francia, dove i giovani autori avevano partecipato alla rivolta romantica, dopo i successi delle popolari c. di R. G. de Pixérécourt, autori colti e raffinati, come P. Merimèe con la raccolta Le Théâtre de Clara Gazul (1825 e 1830) e A. de Musset, prima con brevi e sofisticati testi (Spectacle dans un fauteuil, 1832), poi con altri più complessi (come On ne badine pas avec l’amour, 1834), nobilitano il genere comico, cui contribuì anche un narratore come Balzac, con Le Faiseur (1850).
Agli eccessi romanzeschi e sentimentali del repertorio romantico reagì una nuova generazione di autori realisti e naturalisti. Ancora una volta, tuttavia, erano i testi intensamente drammatici a prevalere quantitativamente su quelli comici.
In Russia A. N. Ostrovskij (1832-1886) fu il drammaturgo realista che conseguì risultati significativi con intensi drammi familiari; fra le sue c., critiche del costume mercantile e borghese, è da ricordare almeno Na vsjako mudreca dovol’no prostoty (Anche il più furbo ci casca, 1868), efficace ritratto di un giovane adulatore. In Francia fra gli autori, interpreti ora critici ora indulgenti dei problemi della borghesia parigina, si ricordano Dumas figlio, E. Augier, V. Sardou, autori di drammi, mentre i testi di E. Labiche sono perfetti meccanismi satirici d’irresistibile comicità. Il naturalismo, teorizzato da E. Zola, trovò l’autore più efficace in H. Becque, con le sue amare c. di denuncia della corruzione dilagante: Les Corbeaux (1882) e La Parisienne (1884).
Il norvegese Ibsen (1828-1906), il miglior drammaturgo del secolo, compose drammi intensi e alcune sarcastiche c., come Kjaerlighedens Komedie (La c. dell’amore, 1862), De Unges Forbund (La lega dei giovani, 1869), Samfundets Stötter (Le colonne della società, 1877), En Folkefiende (Un nemico del popolo, 1882), mentre Fruen fra Havet (La donna del mare, 1889) rappresenta il superamento di una crisi esistenziale.
Anche in Italia vennero scritte c. realistiche e, in seguito, veriste. Il napoletano A. Torelli celebrava i meriti della borghesia ne I mariti (1867); il modenese P. Ferrari difendeva la dignità della donna in Cause ed effetti (1871), le assurde convenzioni dell’onore in Il duello (1868) e il conformismo politico con Il signor Lorenzo (1886); il veneziano G. Gallina continuava la tradizione goldoniana con c. e drammi di forte intensità, specie nella trilogia: Serenissima (1891), La famegia del Santolo (1892), La base de tuto (1894). A Milano, autori di diverse regioni, come Giacosa, Praga, Rovetta, Antona-Traversi, Bertolazzi rappresentano drammi veristi che denunciano il materialismo e la crisi dei valori borghesi.
Anche il successivo movimento estetico che, fra i due secoli, caratterizzò la nuova produzione drammatica, il simbolismo, favorì l’apparizione di testi prevalentemente seri e problematici, a cominciare da quelli dello svedese J. A. Strindberg. Tuttavia è in Russia che il realismo assunse caratteri simbolici negli intensi drammi ‘d’atmosfera’ di A. Cechov (1860-1904): Cajka (Il Gabbiano, 1896) parabola di un giovane artista ‘perdente’, Djadja Vania (Zio Vania, 1897) l’onesto che si sacrifica per gli altri, Tri sestry (Tre sorelle, 1900) vittime delle circostanze.
Un evidente ritorno al realismo come al linguaggio più idoneo alla satira sociale si osserva nelle molte, fortunate c. dell’irlandese G.B. Shaw (1856-1950) da Mrs. Warren’s Profession (1894) contro chi si arricchiva con la prostituzione, a Candida, ben modulata parodia della presunzione maschile, a The Man of the Destiny, che ironizza su Napoleone, a John Bull’s Other Island, brillante presa in giro dell’inglese ottuso, fino a Heartbreak House (1918), che satireggia l’Europa colta e sfaccendata dell’anteguerra.
Intanto, nei primi decenni del Novecento, cominciano a giungere in Europa i testi più significativi del repertorio statunitense, a cominciare da quelli tardo-romantici-esotici di D. Belasco Madame Butterfly (1900) e The Girl of the golden West (1905). Mentre si afferma per la qualità letteraria e i temi inquietanti un autore come O’Neill, dilaga il successo di una coppia di abili sceneggiatori: S. Kaufman e M. Hart, irresistibili nel mostrare i paradossi del mondo dello spettacolo e, pertanto, utilizzati dal cinema (si veda ad es. la celebre Once in the lifetime, 1930). Negli anni Trenta e Quaranta molti autori si impegnano a portare in scena temi e problemi irrisolti della vita sociale e politica: T. Wilder consegue un successo straordinario, trasfigurando i ricordi e i sentimenti di una ragazza di famiglia (Our Town, 1938); e W. Saroyan diviene popolare con le sue originali ricreazioni della vita quotidiana (My heart’s in the Highlands e The time of your life, 1939).
Intanto, in Italia si è affermato un autore versatile come Eduardo De Filippo (1900-1984), ma la sua vena è prevalentemente seria, come quella del più giovane D. Fabbri (1911-1980).
Appare evidente che, nel corso del Novecento, l’ispirazione comica che, in altri secoli, era stata capace di rappresentare allegramente e icasticamente i difetti della vita individuale e sociale, ormai soverchiata dall’inquietudine che pervade l’esistenza collettiva e dall’invadenza dei messaggi delle comunicazioni di massa, sopravvive solo negli esigui spazi della parodia esistenziale, come ad es. nelle prime opere di E. Ionesco La cantatrice chauve (1950) e Les Chaises (1954).

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Doglio Federico , Commedia, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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