Psicodramma

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J. L. Moreno (1892-1974), psicologo-sociologo-teatrante rumeno
Espressione composta dal greco psyché e da drama che riprende il termine inglese psychodrama proposto da J. L. Moreno. Indica un metodo psicoterapico e pedagogico di risoluzione di determinati complessi e conflitti inconsci, finalizzato alla realizzazione totale e spontanea della psiche nell’azione, e quindi a una migliore comprensione di sé e a un’accresciuta capacità comunicativa; viene attuato mediante la messa in scena teatrale di una situazione, per lo più traumatica, passata, presente o futura del paziente. Due sono in particolare gli aspetti che attirano maggiormente l’attenzione dei terapeuti: il grande coinvolgimento emotivo dei protagonisti e il carattere sociale del suo svolgimento, che ne fa una terapia di gruppo. Sottolineando l’importanza della spontaneità creativa, lo p. consente l’esteriorizzazione del proprio vissuto psichico e lo sviluppo di una buona comunicazione interpersonale svincolata dalle distorsioni del transfert.

1. Lo p. terapeutico

Questa tecnica terapeutica fu messa a punto da J. L. Moreno (1892-1974), psicologo-sociologo-teatrante rumeno che esercitò a Vienna, dove conobbe il pensiero freudiano. Qui tra il 1921 e il 1924 fece l’esperienza del teatro della spontaneità (Das Stegreiftheater), basato sull’improvvisazione drammatica e vero laboratorio psicotecnico, che può essere considerato come la matrice dello p. e della psicoterapia di gruppo. Scopo del teatro della spontaneità era agire all’interno di situazioni di degrado e disagio al fine di migliorare l’interazione, l’espressione e la coscienza di sé dei soggetti coinvolti. L’idea di un teatro terapeutico si perfeziona successivamente negli Stati Uniti, al Beacon Institut (Stato di New York), dove Moreno emigra nel 1925. La teoria dello p. si radica in una duplice convinzione di Moreno: da un lato un modello di analisi del soggetto umano differente da quello freudiano, di cui critica aspramente la frammentazione della personalità, e poggiante sul concetto di ruolo; dall’altro un nuovo modello di terapia non più fondato sul linguaggio ma sull’azione e l’interazione all’interno di un gruppo. L’ipotesi fondante di questo teatro terapeutico è che nell’azione e nella recitazione, più che nella parola, i conflitti rimossi e le difficoltà relazionali si mostrano con evidenza e possono quindi essere investigati e risolti. Ciò è possibile perché, nel momento in cui il soggetto è sottoposto allo sguardo altrui, recupera coscienza di sé. Il paziente agisce improvvisando sotto la guida di uno o più psicoterapeuti (i direttori del gioco) e alla presenza di un pubblico, composto dagli altri pazienti incaricati di sostenerlo e all’occorrenza intervenire, come ego ausiliari. In questa situazione egli drammatizza alcuni avvenimenti della propria storia personale nel tentativo di far emergere i conflitti inconsci che lo turbano. All’interno della messa in scena il terapeuta può poi intervenire operando delle trasformazioni drammaturgiche che ne modifichino l’andamento. L’idea fondamentale sottesa alla teoria dello p. è quella di una catarsi dell’attore e dell’efficacia terapeutica dell’improvvisazione drammatica, che oltre a essere liberatoria può divenire anche momento analitico e formativo. Lo spazio dello p. può essere tanto lo spazio quotidiano che un luogo specificamente designato. Il tempo dello p. è prevalentemente il passato che viene rivissuto nel presente.

2. Lo p. pedagogico

Oltre che metodologia di trattamento psicologico, lo p. viene utilizzato anche come uno strumento pedagogico in un contesto di apprendimento dei ruoli, di educazione al reinserimento sociale e all’interazione comunicazionale. Si tratta di differenti tipi di p. rispetto a quello moreniano. Lo p. triadico è il momento di incontro di tre differenti prospettive: quella propriamente psicodrammatica, quella della psicoterapia di gruppo e infine quella della sociometria o dinamica di gruppo. Lo p. analitico, che tenta una sintesi tra Moreno e Freud, prende in considerazione, più che la realtà, l’immaginario del paziente per analizzarlo su di un piano simbolico-reale e resta maggiormente legato all’interpretazione rispetto a quello moreniano, sempre ricondotto alla verbalizzazione e alla comprensione. Tuttavia ciò che l’opzione analitica rifiuta è l’efficacia terapeutica dell’educazione alla spontaneità, che è al contrario il punto di partenza dell’originaria riflessione di Moreno. In Italia la pratica dello p. analitico è stata adottata, tra gli altri, da Cesare Musatti e successivamente sviluppata dalla SIPsA (Società Italiana di Psicodramma Analitico).

3. P. e teatro

Per estensione si parla di p. in riferimento a una rappresentazione drammatica che evidenzia particolarmante i conflitti psicologici, oppure, in un contesto antropologico, a qualunque cerimonia emotivamente coinvolgente per i partecipanti.
Spesso ogni situazione di teatro terapeutico viene ricondotta allo p. Occorre tuttavia sottolineare la distanza tra il percorso di Moreno e la drammatizzazione del delirio di un malato, oppure il teatro manicomiale di matrice ottocentesca (si pensi all’esperienza del marchese De Sade a Charenton), finalizzati alla scomparsa del sintomo, senza alcuna preoccupazione per la risoluzione del conflitto: qui la componente drammatica si risolve in una finzione ingannevole.

Bibliografia

  • BORIA Gianni, Manuale di psicodramma classico, Franco Angeli, Milano 1997.
  • MORENO Jacob Levy, Manuale di psicodramma. Il teatro come terapia, Astrolabio, Roma 1985.
  • SCHUTZENBERGER Anne Ancelin, Lo psicodramma, Martinelli, Firenze 1972.

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Come citare questa voce
Scandone Erika , Psicodramma, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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