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Autore: Giovanni Antonucci
Sostantivo che definisce i componenti artistici, tecnici e amministrativi dell’organismo costituito per la rappresentazione teatrale. Nel senso moderno della parola il termine è usato solo dalla metà circa del Cinquecento, quando nacquero le prime c. professionistiche della Commedia dell’Arte. Ma c. costituite ad hoc per la messinscena di testi tragici e comici esistevano già nel teatro greco, forse non nel V secolo a.C., ma certamente nel IV a.C., se Aristotele poté notare che ai suoi tempi gli attori erano divenuti più importanti dei drammaturghi. Comunque, nonostante la scarsità di documenti rimastici, sembra che le c. si spostassero nell’Attica e nelle isole greche per recitare. Nel III secolo a.C. è certa la costituzione di c. di "artisti dionisiaci" che comprendevano attori, comparse, musicisti, scenografi, costumisti e perfino autori.
La stessa carenza di documenti riguarda il teatro latino, ma anche in quest’ultimo è sicura l’esistenza di c. il cui capocomico, che ne era il primo attore e l’impresario, veniva chiamato significativamente dominus gregis. Gli interpreti, a differenza di quelli greci che godevano di una condizione sociale prestigiosa, erano per lo più schiavi o schiavi affrancati. Della c. facevano parte, oltre agli attori, i suonatori di flauto, i cantanti e le comparse. Gli interpreti (anche dei personaggi femminili) erano per lo più di sesso maschile, con l’esclusione delle c. di mimi nelle quali alle donne erano affidate le situazioni più scabrose e più oscene.
Il teatro medioevale, che nel Trecento e nel Quattrocento diventò estremamente complesso sul piano della messinscena, si avvaleva di attori dilettanti e, forse, in qualche caso semi-professionisti, ma i compensi, di cui è stata trovata traccia, erano talmente insignificanti, quasi simbolici da rendere impossibile l’esistenza dell’attore professionista.
Il professionismo delle c. è così un fenomeno strettamente legato alla Commedia dell’Arte e alla sua nascita a metà del Cinquecento. In questo secolo le c. di attori professionisti si organizzano secondo una struttura assai libera, ma fondata su una serie di principi: ogni attore interpreta e si identifica in una maschera; il nomadismo è la base dell’attività della c.; il repertorio è assai vario, dai canovacci propri della Commedia dell’Arte alle commedie ‘colte’; le possibilità di guadagno aleatorie e legate al successo di ogni singola c. In una situazione di questo genere, non deve stupire che il passaggi degli attori da una c. all’altra fosse assai frequente e determinato per lo più da ragioni economiche.
La galassia delle c. della Commedia dell’Arte è talmente varia da rendere impossibile ogni tentativo di schematizzazione. Si passa, infatti, da c. di infimo livello, che battevano le terre più periferiche del nostro Paese, a c. di grande prestigio, apprezzate non solo dal pubblico ma anche, e soprattutto, dai potenti, che ne diventavano i protettori e spesso anche i finanziatori. C. come i Gelosi, i Confidenti, gli Uniti, i Desiosi, gli Accesi, i Fedeli, per citare solo quelle di maggior livello artistico e interpretativo, raggiunsero una popolarità eccezionale, che si tradusse in guadagni talvolta esorbitanti. La fama dei maggiori attori della Commedia dell’Arte era tale che dilagò in tutta Europa. Il talento e la bellezza di Isabella Andreini furono cantati dai poeti. Quando essa morì, ebbe onori addirittura regali. Ma tutte le maggiori c. della Commedia dell’Arte diventarono un fenomeno di straordinario successo che le condusse sui palcoscenici di tutta Europa e di tutte le corti, anche quelle più lontane come la Russia. Il Seicento, il secolo più sterile per la drammaturgia italiana, è dominato dal ruolo sempre maggiore delle c. della Commedia dell’Arte che si affidano sempre di più alla spettacolarità e alla macchineria scenica. Le maschere continuano ad avere, con i loro lazzi e con i loro stereotipi, grande successo, ma i canovacci sono ormai sostenuti da scenografie stupefacenti e da costumi sempre più ricchi.
Se nel Seicento molte c. furono alle strette dipendenze delle corti, nel Settecento la loro situazione cominciò a cambiare con la nascita di una figura nuova, quella dell’impresario. Una figura che dà un nuovo impulso alla vita teatrale e che, soprattutto a Venezia, cambiò la condizione degli attori. Ma il vero rivoluzionario della c., almeno di come essa era stata concepita da due secoli, fu non un impresario, ma il maggiore drammaturgo del secolo, Carlo Goldoni. La sua riforma teatrale, infatti, e le sue straordinarie commedie mutarono radicalmente la struttura delle c., trasformando le maschere in personaggi che avevano bisogno di interpreti sensibili.
Maschere, saltimbanchi e ballerine, che costituivano ancora a metà del secolo l’ossatura delle c., furono sostituiti da attori veri e propri che, diretti dal capocomico (ma con l’apporto determinante del poeta di c.), erano in grado di interpretare testi assai complessi come quelli goldoniani. Le c. dei comici dell’Arte tentarono di resistere, talvolta con successo (basti pensare a quella di Antonio Sacco che portò al successo le fiabe di Carlo Gozzi), ma alla fine del Settecento la vecchia formazione dell’Arte era praticamente scomparsa.
Le c. dell’Ottocento si mossero sulle linee della riforma settecentesca e furono per lo più a struttura capocomicale. Il capocomico, che in generale ne era il primo attore, era insieme l’impresario e il direttore. Egli scritturava gli interpreti per un triennio, interpreti divisi rigorosamente in ruoli (la primattrice, il primo attore, il brillante, il promiscuo, l’attrice giovane, l’attore giovane e così via), con paghe in genere modeste, esclusi gli attori più popolari che guadagnavano somme notevoli, anche perché spesso erano impresari di se stessi. D’altra parte, gli attori dovevano farsi carico dei propri costumi e per molto tempo perfino delle spese di viaggio per recarsi da un teatro all’altro. L’organico di una c. era ampio e variava dalle venti alle trenta persone, compreso il personale tecnico e amministrativo. La c. tipica dell’Ottocento era una c. di giro, che faceva numerosi debutti e cambiava testo quasi ogni sera. Il repertorio era costituito di almeno venti copioni, in modo da avere sempre la possibilità di alternarli.
Il nomadismo che fu una caratteristica della c. ottocentesca e poi anche di quella del primo Novecento, ebbe un’alternativa nella creazione di grandi c. stabili sovvenzionate dagli Stati dai quali erano state promosse. Fra esse sono da ricordare a Milano, la Compagnia dei Commedianti Ordinari di Sua Maestà Imperiale Regia (1808-1814) diretta da Salvatore Fabbrichesi e soprattutto, a Torino, la Compagnia Reale Sarda (1821-1854) che costituì un fondamentale punto di riferimento per la drammaturgia e la scena italiana. Bisogna, tuttavia, ricordare che i maggiori interpreti del secolo, da Adelaide Ristori a Tommaso Salvini fino a Eleonora Duse, operarono nell’ambito delle c. non sovvenzionate.
Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vi furono vari tentativi di creare c. stabili (il Teatro d’arte di Torino, la Casa di Goldoni di Roma, la C. Stabile del Teatro Argentina di Roma, la C. Stabile del Teatro Manzoni di Milano), ma esse ebbero vita breve e, se più lunga, travagliata. La struttura portante della scena italiana rimase la c. di giro, anche per la qualità dei suoi primi attori. Del resto, la c. capocomicale dimostrò di essere in grado di rinnovarsi, puntando tanto sul repertorio commerciale che su quello di maggiori ambizioni. Alla metà circa del Novecento nacquero grandi c. semistabili come quella del Teatro Quirino, diretta da Orazio Costa, e la C. Morelli-Stoppa, diretta da Luchino Visconti, che produssero spettacoli memorabili, a dimostrazione che il teatro privato aveva una grande spregiudicatezza nella scelta di repertorio e nella messinscena. I Teatri Stabili, finanziati dallo Stato e nati nell’immediato dopoguerra (il Piccolo Teatro di Milano viene fondato nel 1947, il Piccolo Teatro di Roma nel 1948) fra grandi speranze di rinnovamento della scena italiana, pur avendo raggiunto in qualche caso (il Piccolo di Milano) grandi risultati, hanno mancato sostanzialmente i loro obiettivi, primo fra tutti quello di promuovere e sostenere la drammaturgia italiana contemporanea. D’altra parte, la loro politicizzazione e la loro elefantiasi burocratica sono cresciute con il passare degli anni. Ma oggi, se i Teatri Stabili sono in una grave impasse, anche le c. di giro, che pure sono sovvenzionate dallo Stato (peraltro in misura assai minore), sono in crisi. Le ragioni sono costituite dagli alti costi delle c. (gli interpreti del nostro Paese hanno paghe fra le più alte del mondo) e dal fatto che le sovvenzioni vengono erogate con ritardi fortissimi. Il rischio nel gestire una c. è diventato alto e solo pochi accorti e abili impresari sono in grado di farlo.
La stessa carenza di documenti riguarda il teatro latino, ma anche in quest’ultimo è sicura l’esistenza di c. il cui capocomico, che ne era il primo attore e l’impresario, veniva chiamato significativamente dominus gregis. Gli interpreti, a differenza di quelli greci che godevano di una condizione sociale prestigiosa, erano per lo più schiavi o schiavi affrancati. Della c. facevano parte, oltre agli attori, i suonatori di flauto, i cantanti e le comparse. Gli interpreti (anche dei personaggi femminili) erano per lo più di sesso maschile, con l’esclusione delle c. di mimi nelle quali alle donne erano affidate le situazioni più scabrose e più oscene.
Il teatro medioevale, che nel Trecento e nel Quattrocento diventò estremamente complesso sul piano della messinscena, si avvaleva di attori dilettanti e, forse, in qualche caso semi-professionisti, ma i compensi, di cui è stata trovata traccia, erano talmente insignificanti, quasi simbolici da rendere impossibile l’esistenza dell’attore professionista.
Il professionismo delle c. è così un fenomeno strettamente legato alla Commedia dell’Arte e alla sua nascita a metà del Cinquecento. In questo secolo le c. di attori professionisti si organizzano secondo una struttura assai libera, ma fondata su una serie di principi: ogni attore interpreta e si identifica in una maschera; il nomadismo è la base dell’attività della c.; il repertorio è assai vario, dai canovacci propri della Commedia dell’Arte alle commedie ‘colte’; le possibilità di guadagno aleatorie e legate al successo di ogni singola c. In una situazione di questo genere, non deve stupire che il passaggi degli attori da una c. all’altra fosse assai frequente e determinato per lo più da ragioni economiche.
La galassia delle c. della Commedia dell’Arte è talmente varia da rendere impossibile ogni tentativo di schematizzazione. Si passa, infatti, da c. di infimo livello, che battevano le terre più periferiche del nostro Paese, a c. di grande prestigio, apprezzate non solo dal pubblico ma anche, e soprattutto, dai potenti, che ne diventavano i protettori e spesso anche i finanziatori. C. come i Gelosi, i Confidenti, gli Uniti, i Desiosi, gli Accesi, i Fedeli, per citare solo quelle di maggior livello artistico e interpretativo, raggiunsero una popolarità eccezionale, che si tradusse in guadagni talvolta esorbitanti. La fama dei maggiori attori della Commedia dell’Arte era tale che dilagò in tutta Europa. Il talento e la bellezza di Isabella Andreini furono cantati dai poeti. Quando essa morì, ebbe onori addirittura regali. Ma tutte le maggiori c. della Commedia dell’Arte diventarono un fenomeno di straordinario successo che le condusse sui palcoscenici di tutta Europa e di tutte le corti, anche quelle più lontane come la Russia. Il Seicento, il secolo più sterile per la drammaturgia italiana, è dominato dal ruolo sempre maggiore delle c. della Commedia dell’Arte che si affidano sempre di più alla spettacolarità e alla macchineria scenica. Le maschere continuano ad avere, con i loro lazzi e con i loro stereotipi, grande successo, ma i canovacci sono ormai sostenuti da scenografie stupefacenti e da costumi sempre più ricchi.
Se nel Seicento molte c. furono alle strette dipendenze delle corti, nel Settecento la loro situazione cominciò a cambiare con la nascita di una figura nuova, quella dell’impresario. Una figura che dà un nuovo impulso alla vita teatrale e che, soprattutto a Venezia, cambiò la condizione degli attori. Ma il vero rivoluzionario della c., almeno di come essa era stata concepita da due secoli, fu non un impresario, ma il maggiore drammaturgo del secolo, Carlo Goldoni. La sua riforma teatrale, infatti, e le sue straordinarie commedie mutarono radicalmente la struttura delle c., trasformando le maschere in personaggi che avevano bisogno di interpreti sensibili.
Maschere, saltimbanchi e ballerine, che costituivano ancora a metà del secolo l’ossatura delle c., furono sostituiti da attori veri e propri che, diretti dal capocomico (ma con l’apporto determinante del poeta di c.), erano in grado di interpretare testi assai complessi come quelli goldoniani. Le c. dei comici dell’Arte tentarono di resistere, talvolta con successo (basti pensare a quella di Antonio Sacco che portò al successo le fiabe di Carlo Gozzi), ma alla fine del Settecento la vecchia formazione dell’Arte era praticamente scomparsa.
Le c. dell’Ottocento si mossero sulle linee della riforma settecentesca e furono per lo più a struttura capocomicale. Il capocomico, che in generale ne era il primo attore, era insieme l’impresario e il direttore. Egli scritturava gli interpreti per un triennio, interpreti divisi rigorosamente in ruoli (la primattrice, il primo attore, il brillante, il promiscuo, l’attrice giovane, l’attore giovane e così via), con paghe in genere modeste, esclusi gli attori più popolari che guadagnavano somme notevoli, anche perché spesso erano impresari di se stessi. D’altra parte, gli attori dovevano farsi carico dei propri costumi e per molto tempo perfino delle spese di viaggio per recarsi da un teatro all’altro. L’organico di una c. era ampio e variava dalle venti alle trenta persone, compreso il personale tecnico e amministrativo. La c. tipica dell’Ottocento era una c. di giro, che faceva numerosi debutti e cambiava testo quasi ogni sera. Il repertorio era costituito di almeno venti copioni, in modo da avere sempre la possibilità di alternarli.
Il nomadismo che fu una caratteristica della c. ottocentesca e poi anche di quella del primo Novecento, ebbe un’alternativa nella creazione di grandi c. stabili sovvenzionate dagli Stati dai quali erano state promosse. Fra esse sono da ricordare a Milano, la Compagnia dei Commedianti Ordinari di Sua Maestà Imperiale Regia (1808-1814) diretta da Salvatore Fabbrichesi e soprattutto, a Torino, la Compagnia Reale Sarda (1821-1854) che costituì un fondamentale punto di riferimento per la drammaturgia e la scena italiana. Bisogna, tuttavia, ricordare che i maggiori interpreti del secolo, da Adelaide Ristori a Tommaso Salvini fino a Eleonora Duse, operarono nell’ambito delle c. non sovvenzionate.
Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vi furono vari tentativi di creare c. stabili (il Teatro d’arte di Torino, la Casa di Goldoni di Roma, la C. Stabile del Teatro Argentina di Roma, la C. Stabile del Teatro Manzoni di Milano), ma esse ebbero vita breve e, se più lunga, travagliata. La struttura portante della scena italiana rimase la c. di giro, anche per la qualità dei suoi primi attori. Del resto, la c. capocomicale dimostrò di essere in grado di rinnovarsi, puntando tanto sul repertorio commerciale che su quello di maggiori ambizioni. Alla metà circa del Novecento nacquero grandi c. semistabili come quella del Teatro Quirino, diretta da Orazio Costa, e la C. Morelli-Stoppa, diretta da Luchino Visconti, che produssero spettacoli memorabili, a dimostrazione che il teatro privato aveva una grande spregiudicatezza nella scelta di repertorio e nella messinscena. I Teatri Stabili, finanziati dallo Stato e nati nell’immediato dopoguerra (il Piccolo Teatro di Milano viene fondato nel 1947, il Piccolo Teatro di Roma nel 1948) fra grandi speranze di rinnovamento della scena italiana, pur avendo raggiunto in qualche caso (il Piccolo di Milano) grandi risultati, hanno mancato sostanzialmente i loro obiettivi, primo fra tutti quello di promuovere e sostenere la drammaturgia italiana contemporanea. D’altra parte, la loro politicizzazione e la loro elefantiasi burocratica sono cresciute con il passare degli anni. Ma oggi, se i Teatri Stabili sono in una grave impasse, anche le c. di giro, che pure sono sovvenzionate dallo Stato (peraltro in misura assai minore), sono in crisi. Le ragioni sono costituite dagli alti costi delle c. (gli interpreti del nostro Paese hanno paghe fra le più alte del mondo) e dal fatto che le sovvenzioni vengono erogate con ritardi fortissimi. Il rischio nel gestire una c. è diventato alto e solo pochi accorti e abili impresari sono in grado di farlo.
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Bibliografia
- CAMILLERI Andrea, I teatri stabili in Italia (1898-1918), Cappelli, Bologna 1959.
- DOGLIO Federico, Il teatro pubblico in Italia, Bulzoni Editore, Roma 1969.
- TRIFONE Pietro, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Istituti Editoriali e Poligrafici, Roma 2000.
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Antonucci Giovanni , Compagnia, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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