Circuito integrato
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Autori: Franco Lever, Giuseppe Fortunato
Per c.i. si intende un circuito miniaturizzato costruito non assemblando uno dopo l’altro singoli componenti preesistenti (resistenze, condensatori, diodi... e collegamenti), ma producendoli attraverso la modifica dello stesso materiale di base (il silicio) così che risultino integrati in un tutto unico. Per una migliore comprensione è utile ripercorrere la strada che ha portato a questa importantissima innovazione tecnologica.
Un circuito elettrico o elettronico (i sistemi che consentono l’illuminazione di una stanza, il funzionamento di un ascensore, la decodifica di un segnale radio, ecc.) è un insieme di componenti, opportunamente scelti e collegati tra loro in vista di un determinato risultato. Per molti decenni i collegamenti in un circuito sono stati fatti con veri e propri cavi, più o meno grossi, di colore diverso, spesso numerati per evitare il pericolo di confusione; i componenti erano collocati su propri sostegni e lo spazio occupato era proporzionale alla complessità del circuito e alla grandezza dei componenti.
Il circuito stampato determinò una grande semplificazione, soprattutto per le produzioni su vasta scala. Tutto il circuito si riduce a una scheda a cui sono fissati i vari componenti; i collegamenti sono ottenuti con piccole strisce di rame, tracciate con procedimento analogo alla serigrafia sulla sottile tavoletta di plastica isolante. Il progettista fornisce il disegno con tutte le tracce da riprodurre; per costruire il circuito non occorrono conoscenze specifiche, la produzione può essere automatizzata.
La messa a punto del transistor nei laboratori della Bell nel 1948 ha costituito una vera rivoluzione anche per la costruzione dei circuiti. In pratica quello fu il primo passo nello sfruttamento dell’eccezionale caratteristica del silicio. Questo materiale molto diffuso in natura può svolgere tutte le funzioni dei vari componenti elettronici, se opportunamente modificato (‘drogato’): è conduttore e isolante; è resistenza, condensatore, diodo amplificatore. A partire dagli anni Sessanta l’industria ha cominciato a costruire interi circuiti su singole piastrine di silicio (): tutti i collegamenti e ciascun componente non preesistono, ma sono letteralmente costruiti integrati modificando piccolissime porzioni del silicio di cui è fatto il chip, lavorando anche su vari strati. Di qui il termine.
I primi c.i. integravano pochi elementi, ma già dopo qualche anno si riuscì a produrre chip denominati LSI (large scale integration) con 100- 5000 elementi; poi vennero i VLSI (very large scale integration), i SLSI (super large scale integration); oggi si parla di chip ULSI (ultra large scale integration): su una superficie di pochi millimetri quadrati integrano milioni di componenti. È il caso, ad esempio, dei microprocessori Intel 486, Pentium e successivi.
Il c.i., per essere operativo, viene incapsulato in un contenitore di plastica o di ceramica, dotato di una doppia serie di piedini che costituiscono i contatti elettrici, in modo da poter essere montato su un circuito stampato mediante saldatura o, più spesso, tramite un opportuno ‘zoccolo’.
È evidente l’enorme vantaggio che i c.i. hanno offerto alla tecnologia attuale in termini di miniaturizzazione, di controllo dei costi nella produzione su grande scala, di costruzione di macchine sempre più ‘intelligenti’.
Un esempio del rapido sviluppo della tecnica di produzione dei c.i. è la CPU (Central Processing Unit) del computer: un tempo i calcolatori contenevano molte schede diverse, che implementavano l’unità di elaborazione centrale; oggi il tutto può essere integrato in un unico microprocessore un chip ULSI così potente da rendere un portatile attuale eguale o anche superiore, in termini di potenza, a un PC.
Un circuito elettrico o elettronico (i sistemi che consentono l’illuminazione di una stanza, il funzionamento di un ascensore, la decodifica di un segnale radio, ecc.) è un insieme di componenti, opportunamente scelti e collegati tra loro in vista di un determinato risultato. Per molti decenni i collegamenti in un circuito sono stati fatti con veri e propri cavi, più o meno grossi, di colore diverso, spesso numerati per evitare il pericolo di confusione; i componenti erano collocati su propri sostegni e lo spazio occupato era proporzionale alla complessità del circuito e alla grandezza dei componenti.
Il circuito stampato determinò una grande semplificazione, soprattutto per le produzioni su vasta scala. Tutto il circuito si riduce a una scheda a cui sono fissati i vari componenti; i collegamenti sono ottenuti con piccole strisce di rame, tracciate con procedimento analogo alla serigrafia sulla sottile tavoletta di plastica isolante. Il progettista fornisce il disegno con tutte le tracce da riprodurre; per costruire il circuito non occorrono conoscenze specifiche, la produzione può essere automatizzata.
La messa a punto del transistor nei laboratori della Bell nel 1948 ha costituito una vera rivoluzione anche per la costruzione dei circuiti. In pratica quello fu il primo passo nello sfruttamento dell’eccezionale caratteristica del silicio. Questo materiale molto diffuso in natura può svolgere tutte le funzioni dei vari componenti elettronici, se opportunamente modificato (‘drogato’): è conduttore e isolante; è resistenza, condensatore, diodo amplificatore. A partire dagli anni Sessanta l’industria ha cominciato a costruire interi circuiti su singole piastrine di silicio (): tutti i collegamenti e ciascun componente non preesistono, ma sono letteralmente costruiti integrati modificando piccolissime porzioni del silicio di cui è fatto il chip, lavorando anche su vari strati. Di qui il termine.
I primi c.i. integravano pochi elementi, ma già dopo qualche anno si riuscì a produrre chip denominati LSI (large scale integration) con 100- 5000 elementi; poi vennero i VLSI (very large scale integration), i SLSI (super large scale integration); oggi si parla di chip ULSI (ultra large scale integration): su una superficie di pochi millimetri quadrati integrano milioni di componenti. È il caso, ad esempio, dei microprocessori Intel 486, Pentium e successivi.
Il c.i., per essere operativo, viene incapsulato in un contenitore di plastica o di ceramica, dotato di una doppia serie di piedini che costituiscono i contatti elettrici, in modo da poter essere montato su un circuito stampato mediante saldatura o, più spesso, tramite un opportuno ‘zoccolo’.
È evidente l’enorme vantaggio che i c.i. hanno offerto alla tecnologia attuale in termini di miniaturizzazione, di controllo dei costi nella produzione su grande scala, di costruzione di macchine sempre più ‘intelligenti’.
Un esempio del rapido sviluppo della tecnica di produzione dei c.i. è la CPU (Central Processing Unit) del computer: un tempo i calcolatori contenevano molte schede diverse, che implementavano l’unità di elaborazione centrale; oggi il tutto può essere integrato in un unico microprocessore un chip ULSI così potente da rendere un portatile attuale eguale o anche superiore, in termini di potenza, a un PC.
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Bibliografia
- SEITZ Frederick - EINSPRUCH Norman G., La storia del silicio. Elettronica e comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
- WINSTON Brian, Media technology and society. A history: from the telegraph to the Internet, Routledge, London 1998.
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Note
Come citare questa voce
Lever Franco , Fortunato Giuseppe , Circuito integrato, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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