Polaroid
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Autore: Franco Lever
Nel 1934 una piccola società statunitense mise a punto un nuovo materiale: una lastra di celluloide, capace di polarizzare la luce. Di qui il nome: polaroid (da polarizer celluloid, celluloide polarizzante). La piccola società produttrice, con sede in Boston, era costituita esclusivamente da un gruppo di giovani tecnici geniali, guidati da Edwin H. Land. Nel 1937 il nome del prodotto divenne anche il nome della società, la Polaroid Corporation.
Al centro dell’interesse del gruppo, in quegli anni, c’era lo studio della polarizzazione della luce con relative applicazioni. Il primo vero cliente fu la Kodak, che valutò positivamente l’effetto determinato sull’immagine fotografica da un filtro, costruito con questo materiale. Il gruppo non riuscì invece a convincere l’industria automobilistica ad applicare il suo prodotto sui fari e sui vetri delle automobili così da eliminare ogni forma di abbagliamento notturno e dunque molti incidenti. Fu poi l’industria degli occhiali da sole a capire la validità del nuovo materiale, divenendo così per vari anni il migliore cliente e, quindi, il principale sostenitore finanziario della società di Land.
Durante la guerra anche la P. lavorò soprattutto per l’esercito statunitense, che sollecitava la soluzione dei problemi più diversi: dalla produzione di sintesi del tannino (per i soldati, contro la malaria) fino alla messa a punto di bombe a puntamento ‘intelligente’. L’azienda arrivò a triplicare le sue dimensioni, con il rischio però che la fine della guerra comportasse anche un suo drastico ridimensionamento.
Land non attese quel momento per mettere allo studio un progetto che garantisse la sopravvivenza della società anche in tempo di pace. La ‘macchina fotografica a un solo stadio’ (in grado cioè di produrre immediatamente l’immagine, senza bisogno di inviare il negativo al laboratorio), nelle sue linee generali, era già definita nel dicembre 1943: lo studio portava la sigla SX-70. Il prototipo venne presentato alla stampa nel febbraio del 1947; la commercializzazione dell’apparecchio iniziò nell’autunno dell’anno successivo (si chiamava Modello 95, perché doveva costare 95 $). Il successo fu così straordinario che il termine P. finì per identificarsi con il nome di questo tipo di macchina fotografica.
L’idea di una macchina capace di fornire direttamente l’immagine, senza interventi successivi, non era nuova. Già verso il 1890, in USA, era stato messo in vendita un sistema fotografico, chiamato Nodark, che prevedeva lo sviluppo della pellicola all’interno stesso dell’apparecchio. Non ebbe però fortuna, soprattutto perché la Kodak accusò i concorrenti di avere contraffatto il suo nome e i suoi brevetti, Il giudice diede ragione alla Kodak e il marchio Nodark venne ritirato. Nel 1928 anche un grande produttore tedesco, l’AGFA, realizzò una pellicola a sviluppo istantaneo, ma non credette nella validità dell’idea e non ne avviò la produzione industriale.
Nel 1948 la macchina di Land, in un minuto, dava una stampa color seppia. Negli anni successivi la P. lavorò per rendere la macchina più leggera (il primo modello pesava più di due chili), per ridurre il tempo di sviluppo, per ottenere una stampa bianco/nero stabile (le prime fotografie in b/n, introdotte nel 1951, col tempo sbiancavano); per ridurre la quantità di materiale che il fotografo gettava via dopo ogni scatto. È interessante notare che in tutti questi anni con la Kodak non c’era soltanto un rapporto commerciale (produceva il materiale sensibile secondo le specifiche P.); nell’ambito dello studio e dello sviluppo della pellicola c’era infatti un vera e propria collaborazione.
La sfida teorica e tecnologica per arrivare alla fotografia istantanea a colori era enorme, cosicché passarono vari anni prima che il traguardo venisse conseguito: nel 1963 la macchina funzionava, ma era ancora ingombrante e lontana dall’idea che se ne era fatto Land nel 1943. Il progetto siglato SX-70 continuava, infatti, il suo sviluppo. Nel frattempo la Kodak cominciava a soffrire della concorrenza, tanto che nel 1969 interruppe ogni collaborazione, avviando in segreto lo studio di una propria macchina a sviluppo istantaneo.
La nuova macchina della P. battezzata significativamente SX-70 venne presentata il 26 ottobre 1972: leggera, tascabile (per una tasca grande!), a colori, automatica, dotata di flash.
La linea della Kodak invece, in forte ritardo di progettazione, fu presentata agli specialisti e al settore vendite soltanto nell’aprile del 1976: era costituita da due apparecchi Istant (l’EK-4 e l’EK-6) e dalla pellicola a colori PR-10. Pochi giorni dopo, il tempo necessario per esaminare a fondo le macchine e il materiale sensibile del concorrente, la P. dava inizio a una causa legale per la evidente violazione dei suoi brevetti. Secondo la denuncia, le macchine Kodak non erano nient’altro che una copia neppure troppo riuscita della SX-70. Il dibattimento, incominciato nel 1981, si concluse con la sentenza il 13 settembre 1985: la Kodak veniva condannata per la violazione di una decina di brevetti P.; le era imposto sia il ritiro totale e immediato delle macchine Istant sia il risarcimento dei danni.
Oggi la P. opera in due settori molto diversi tra loro: uno riguarda i prodotti per il mercato consumer, con macchine di facile utilizzazione; l’altro si occupa del mondo professionale, dove, in molti campi dalla ricerca, alla diagnostica, alla fotografica si utilizzano pellicole e carte a sviluppo istantaneo. Come altre case che si occupano di fotografia, anche la P. ha fatto, recentemente, grandi investimenti nello studio e nello sviluppo di apparecchiature destinate al trattamento digitale delle immagini.
Uno degli aspetti più innovativi della società fondata da E. H. Land, per questo assai studiata dalle scuole di management, era il forte connubio tra industria e ricerca scientifica (i suoi laboratori e la sua biblioteca erano quanto di meglio uno studioso potesse avere a disposizione), con un pressoché totale reinvestimento dei profitti nella ricerca più avanzata e un doppio impegno: offrire ai dipendenti un ambiente di lavoro stimolante e al cliente il migliore prodotto possibile.
Al centro dell’interesse del gruppo, in quegli anni, c’era lo studio della polarizzazione della luce con relative applicazioni. Il primo vero cliente fu la Kodak, che valutò positivamente l’effetto determinato sull’immagine fotografica da un filtro, costruito con questo materiale. Il gruppo non riuscì invece a convincere l’industria automobilistica ad applicare il suo prodotto sui fari e sui vetri delle automobili così da eliminare ogni forma di abbagliamento notturno e dunque molti incidenti. Fu poi l’industria degli occhiali da sole a capire la validità del nuovo materiale, divenendo così per vari anni il migliore cliente e, quindi, il principale sostenitore finanziario della società di Land.
Durante la guerra anche la P. lavorò soprattutto per l’esercito statunitense, che sollecitava la soluzione dei problemi più diversi: dalla produzione di sintesi del tannino (per i soldati, contro la malaria) fino alla messa a punto di bombe a puntamento ‘intelligente’. L’azienda arrivò a triplicare le sue dimensioni, con il rischio però che la fine della guerra comportasse anche un suo drastico ridimensionamento.
Land non attese quel momento per mettere allo studio un progetto che garantisse la sopravvivenza della società anche in tempo di pace. La ‘macchina fotografica a un solo stadio’ (in grado cioè di produrre immediatamente l’immagine, senza bisogno di inviare il negativo al laboratorio), nelle sue linee generali, era già definita nel dicembre 1943: lo studio portava la sigla SX-70. Il prototipo venne presentato alla stampa nel febbraio del 1947; la commercializzazione dell’apparecchio iniziò nell’autunno dell’anno successivo (si chiamava Modello 95, perché doveva costare 95 $). Il successo fu così straordinario che il termine P. finì per identificarsi con il nome di questo tipo di macchina fotografica.
L’idea di una macchina capace di fornire direttamente l’immagine, senza interventi successivi, non era nuova. Già verso il 1890, in USA, era stato messo in vendita un sistema fotografico, chiamato Nodark, che prevedeva lo sviluppo della pellicola all’interno stesso dell’apparecchio. Non ebbe però fortuna, soprattutto perché la Kodak accusò i concorrenti di avere contraffatto il suo nome e i suoi brevetti, Il giudice diede ragione alla Kodak e il marchio Nodark venne ritirato. Nel 1928 anche un grande produttore tedesco, l’AGFA, realizzò una pellicola a sviluppo istantaneo, ma non credette nella validità dell’idea e non ne avviò la produzione industriale.
Nel 1948 la macchina di Land, in un minuto, dava una stampa color seppia. Negli anni successivi la P. lavorò per rendere la macchina più leggera (il primo modello pesava più di due chili), per ridurre il tempo di sviluppo, per ottenere una stampa bianco/nero stabile (le prime fotografie in b/n, introdotte nel 1951, col tempo sbiancavano); per ridurre la quantità di materiale che il fotografo gettava via dopo ogni scatto. È interessante notare che in tutti questi anni con la Kodak non c’era soltanto un rapporto commerciale (produceva il materiale sensibile secondo le specifiche P.); nell’ambito dello studio e dello sviluppo della pellicola c’era infatti un vera e propria collaborazione.
La sfida teorica e tecnologica per arrivare alla fotografia istantanea a colori era enorme, cosicché passarono vari anni prima che il traguardo venisse conseguito: nel 1963 la macchina funzionava, ma era ancora ingombrante e lontana dall’idea che se ne era fatto Land nel 1943. Il progetto siglato SX-70 continuava, infatti, il suo sviluppo. Nel frattempo la Kodak cominciava a soffrire della concorrenza, tanto che nel 1969 interruppe ogni collaborazione, avviando in segreto lo studio di una propria macchina a sviluppo istantaneo.
La nuova macchina della P. battezzata significativamente SX-70 venne presentata il 26 ottobre 1972: leggera, tascabile (per una tasca grande!), a colori, automatica, dotata di flash.
La linea della Kodak invece, in forte ritardo di progettazione, fu presentata agli specialisti e al settore vendite soltanto nell’aprile del 1976: era costituita da due apparecchi Istant (l’EK-4 e l’EK-6) e dalla pellicola a colori PR-10. Pochi giorni dopo, il tempo necessario per esaminare a fondo le macchine e il materiale sensibile del concorrente, la P. dava inizio a una causa legale per la evidente violazione dei suoi brevetti. Secondo la denuncia, le macchine Kodak non erano nient’altro che una copia neppure troppo riuscita della SX-70. Il dibattimento, incominciato nel 1981, si concluse con la sentenza il 13 settembre 1985: la Kodak veniva condannata per la violazione di una decina di brevetti P.; le era imposto sia il ritiro totale e immediato delle macchine Istant sia il risarcimento dei danni.
Oggi la P. opera in due settori molto diversi tra loro: uno riguarda i prodotti per il mercato consumer, con macchine di facile utilizzazione; l’altro si occupa del mondo professionale, dove, in molti campi dalla ricerca, alla diagnostica, alla fotografica si utilizzano pellicole e carte a sviluppo istantaneo. Come altre case che si occupano di fotografia, anche la P. ha fatto, recentemente, grandi investimenti nello studio e nello sviluppo di apparecchiature destinate al trattamento digitale delle immagini.
Uno degli aspetti più innovativi della società fondata da E. H. Land, per questo assai studiata dalle scuole di management, era il forte connubio tra industria e ricerca scientifica (i suoi laboratori e la sua biblioteca erano quanto di meglio uno studioso potesse avere a disposizione), con un pressoché totale reinvestimento dei profitti nella ricerca più avanzata e un doppio impegno: offrire ai dipendenti un ambiente di lavoro stimolante e al cliente il migliore prodotto possibile.
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Bibliografia
- WENSBERG P.C., Edwin H. Land e la Polaroid, Sperling & Kupfer, Milano 1989.
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Note
Come citare questa voce
Lever Franco , Polaroid, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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