Prossemica
- Testo
- Bibliografia3
- Voci correlate
Autore: Pier Cesare Rivoltella
È la semiologia dello spazio, ovvero lo studio della valenza comunicativa delle relazioni spaziali tra gli individui nelle situazioni sociali e, per esteso, nelle situazioni di rappresentazione (soprattutto le performance che come la danza e il teatro mettono in gioco la compresenza fisica degli attori e degli spettatori).
L’intuizione originaria da cui la p. trae origine è il programma di ricerca avviato dall’etnoantropologo americano Edward T. Hall negli anni Cinquanta. Hall, muovendo da una considerazione della cultura come sistema di comunicazione e condividendo con McLuhan la tesi secondo cui lo sviluppo dell’uomo sarebbe da connettersi alla produzione di estensioni del suo organismo (il computer come estensione del cervello, la scrittura e il telefono come estensione della voce, ecc.), si interessa alle relazioni che legano, nel mondo animale, il comportamento con la distanza fisica che intercorre tra i membri di un gruppo. Il risultato sono osservazioni di enorme interesse sul rapporto tra sovrappopolazione e depressione del sistema immunitario, prossimità fisica e aggressività, la priorità delle percezioni tattili e olfattive in relazione al possesso del territorio. L’obiettivo di Hall è di fondare una vera e propria antropologia dello spazio attraverso la quale studiare i mondi sensoriali differenti delle diverse culture, favorendo in questo modo anche il dialogo interculturale: conoscere culture dello spazio diverse dalla propria significa automaticamente sapere come entrare in relazioni con individui che vi appartengano.
Oggi questa accezione altamente culturologica della p. si può dire superata, mentre essa è particolarmente funzionale allo studio della performance risultando una delle aree di interesse più significative della semiotica teatrale.
In questa prospettiva, sulla scorta di Hall, si distinguono:
1) uno spazio preordinato, cioè il luogo fisico della rappresentazione, di cui è importante rilevare carattere, dimensioni, prerogative particolari (non è indifferente che la performance sia ambientata in un teatro stabile, in una chiesa sconsacrata o in una piazza);
2) uno spazio semideterminato, cioè la scenografia e l’illuminazione o la sistemazione cui viene costretto uno spazio informale non progettato per il teatro (un conto è l’allestimento verista del teatro borghese, altro è la scena geometrica e scolpita dalla luce di Adolphe Appia, tra i massimi teorici delle avanguardie teatrali del primo Novecento);
3) uno spazio informale, che è lo spazio delle relazioni tra gli individui sui tre assi scena-scena (attore-attore), platea-scena (attore-spettatore), platea-platea (spettatore-spettatore). A quest’ultimo livello quattro potranno essere le distanze previste dal metteur en scène: la distanza intima, personale, sociale, pubblica.
A ciascuno di questi livelli, è evidente, determinate scelte di articolazione dello spazio corrispondono ad altrettante precise scelte comunicative.
L’intuizione originaria da cui la p. trae origine è il programma di ricerca avviato dall’etnoantropologo americano Edward T. Hall negli anni Cinquanta. Hall, muovendo da una considerazione della cultura come sistema di comunicazione e condividendo con McLuhan la tesi secondo cui lo sviluppo dell’uomo sarebbe da connettersi alla produzione di estensioni del suo organismo (il computer come estensione del cervello, la scrittura e il telefono come estensione della voce, ecc.), si interessa alle relazioni che legano, nel mondo animale, il comportamento con la distanza fisica che intercorre tra i membri di un gruppo. Il risultato sono osservazioni di enorme interesse sul rapporto tra sovrappopolazione e depressione del sistema immunitario, prossimità fisica e aggressività, la priorità delle percezioni tattili e olfattive in relazione al possesso del territorio. L’obiettivo di Hall è di fondare una vera e propria antropologia dello spazio attraverso la quale studiare i mondi sensoriali differenti delle diverse culture, favorendo in questo modo anche il dialogo interculturale: conoscere culture dello spazio diverse dalla propria significa automaticamente sapere come entrare in relazioni con individui che vi appartengano.
Oggi questa accezione altamente culturologica della p. si può dire superata, mentre essa è particolarmente funzionale allo studio della performance risultando una delle aree di interesse più significative della semiotica teatrale.
In questa prospettiva, sulla scorta di Hall, si distinguono:
1) uno spazio preordinato, cioè il luogo fisico della rappresentazione, di cui è importante rilevare carattere, dimensioni, prerogative particolari (non è indifferente che la performance sia ambientata in un teatro stabile, in una chiesa sconsacrata o in una piazza);
2) uno spazio semideterminato, cioè la scenografia e l’illuminazione o la sistemazione cui viene costretto uno spazio informale non progettato per il teatro (un conto è l’allestimento verista del teatro borghese, altro è la scena geometrica e scolpita dalla luce di Adolphe Appia, tra i massimi teorici delle avanguardie teatrali del primo Novecento);
3) uno spazio informale, che è lo spazio delle relazioni tra gli individui sui tre assi scena-scena (attore-attore), platea-scena (attore-spettatore), platea-platea (spettatore-spettatore). A quest’ultimo livello quattro potranno essere le distanze previste dal metteur en scène: la distanza intima, personale, sociale, pubblica.
A ciascuno di questi livelli, è evidente, determinate scelte di articolazione dello spazio corrispondono ad altrettante precise scelte comunicative.
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Bibliografia
- ELAM Keir, Semiotica del teatro, Il Mulino, Bologna 1988.
- HALL Edward T., Il linguaggio silenzioso, Bompiani, Milano 1969.
- HALL Edward T., La dimensione nascosta. Il significato delle distanze tra i soggetti umani, Bompiani, Milano 1968.
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Note
Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Prossemica, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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