Narrazione
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Autore: Pier Cesare Rivoltella
1. Definizione
Si possono fornire almeno due definizioni del fatto narrativo, la prima più attenta agli aspetti pragmatici, la seconda a quelli strutturali: 1) l’atto di comunicare a qualcuno un evento rendendolo partecipe di tale conoscenza; 2) una serie di eventi che, in un determinato contesto narrativo, qualcuno fa succedere (o a qualcuno succedono).Nel primo caso, la n. viene concepita come una pratica comunicativa: ciò che interessa è il fatto che venga messa in comune un’esperienza, che attraverso il raccontare chi narra interagisca ‘in presenza’ con un determinato contesto di comunicazione.
Nel secondo caso, invece, la n. è pensata come un sistema di fatti, una concatenazione di eventi: l’attenzione passa all’organizzazione di ciò che viene raccontato, alle strutture di cui è costituito.
La conseguenza è che per occuparsi di entrambe occorre attivare un doppio itinerario di riflessione che metta in gioco prima categorie socio-antropologiche, poi semiotiche.
2. I significati dell’attività narrativa
Antropologicamente parlando la n. è una necessità quasi biologica. All’origine di ogni società e di ogni cultura esiste un bisogno profondo di n., che è bisogno di raccontare e di raccontarsi: in fondo le religioni stesse sono e si esprimono in grandi racconti, dalla Bibbia per la cultura giudaico-cristiana al Mahabharata per quella indiana. Le ragioni di questo bisogno sono diverse. Anzitutto c’è la volontà di un radicamento sociale: raccontare significa ricordarsi di appartenere a un gruppo, a una comunità, significa sentirsi inseriti dentro una tradizione che proprio grazie al racconto può essere ereditata dalle generazioni precedenti e trasmessa a quelle future. Un processo che garantisce alla comunità stessa di sopravvivere ai propri membri, di perpetuarsi, come si può osservare in culture orali come quella della Grecia omerica in cui affidare al racconto il proprio vissuto, le proprie certezze, il proprio sapere significa continuare a vivere.Ma il bisogno di n. incarna anche un desiderio di riconoscimento: raccontare significa prendere coscienza di sé, dei propri problemi, della realtà che ci circonda. Attraverso la n. l’io scopre se stesso, si comprende, mette a distanza le cose, fa l’esperienza di sentirsi vivo. Esiste un rapporto strettissimo tra la n. e la morte. Lo scrittore francese Ferdinand Celine lo ha espresso molto bene: "Solo dopo aver raccontato tutto si potrà morire". Fino a quando abbiamo qualcosa da raccontare c’è vita: l’unica cosa che non possiamo raccontare è la nostra morte. L’atto del raccontare è dunque un gesto simbolico che consiste nel differire l’idea della morte, il momento stesso della nostra morte. Si tratta di una valenza quasi biologica dell’atto narrativo, la stessa che si manifesta nella domanda del bambino alla propria madre prima di addormentarsi: in entrambi i casi si tratta di sedare l’angoscia che nasce dal fatto di dover affrontare la notte, cioè la morte.
Il bisogno di n., infine, risponde anche a una richiesta di orientamento. Raccontare, in questo senso, significa costruire in forma semplice, e quindi accessibile a tutti, rappresentazioni del mondo, chiavi di lettura per decifrarlo. Un’esigenza alla quale hanno risposto da sempre i miti (il significato greco della parola mythos è appunto quello di racconto), la letteratura e a cui oggi sembrano rispondere i media: specialmente il cinema, la televisione, il teatro.
Per quanto riguarda il cinema, la sua vocazione narrativa è iscritta quasi nelle sue stesse origini: sia l’arrivo del treno dei Lumière che il viaggio sulla luna di Meliès sono a loro modo racconti; il racconto della vita così com’è, la manifestazione di ciò che è visibile della società della fine del secolo scorso, e il racconto della fantasia, la materializzazione della voglia di sognare del regista. Cinema della realtà e cinema dell’ immaginario, le due ‘anime’ del cinema, divengono così i due grandi paradigmi narrativi della nuova arte: il racconto come luogo del ricordo, del ‘come eravamo’, ma anche come luogo del presente, della riflessione sull’oggi.
Anche la televisione non sfugge a una lettura del suo ruolo sociale che la lega al bisogno di n. Secondo una celebre definizione, essa sarebbe uno story telling system, una macchina per raccontare, la cui funzione pare riconducibile nelle nostre società a quella del cantastorie di un recente passato: la televisione, insomma, come bardo elettronico. In quest’ottica l’intera produzione di fiction che passa in televisione si presta a essere interpretata in analogia con l’immaginario mitologico del passato.
Da ultimo anche il teatro svolge un’importante funzione narrativa: anzi, soprattutto nel caso del teatro sembra che la n. ritorni anche nella nostra cultura con la stessa forza sociale e rituale che le veniva assegnata dentro le culture orali. Per capirlo occorre tenere presenti le coordinate socio-culturali del nostro tempo, e cioè il dispiegamento tecnologico da una parte, l’eclissi del sacro dall’altra. Il teatro, in particolare il teatro di n., risponde alla tecnologizzazione mostrando l’intimità del soggetto, mettendo in gioco una comunicazione diretta, recuperando il valore dell’ oralità, innescando la fantasia ed elabora la perdita del sacro celebrandone la nostalgia, raccogliendo la comunità nel segno del fare memoria, surrogando la funzione stessa della religione.
3. La struttura e le forme della n.
La seconda definizione che abbiamo fornito consente di evidenziare tre elementi strutturali di ogni racconto: c’è qualcuno che fa o subisce qualcosa (il personaggio), qualcosa che succede (un evento), e un contesto in cui questo qualcosa accade (l’ambiente). L’insieme di questi tre elementi costituisce la favola (Aristotele) che è il contenuto di ogni n. In rapporto alla sua articolazione si devono fare almeno tre rilievi, ciascuno relativo a un’importante categoria narratologica.3.1. Diegesi e dramma.
La teoria letteraria tradizionale ha sempre distinto la diegesi dal dramma insistendo sulla differenza tra il racconto e la performance. Di Aspettando Godot si può raccontare la trama e mettere in scena il testo: nel primo caso si parlerebbe di diegesi, nel secondo di dramma. A ben vedere una simile distinzione è inadeguata perché costruita sulla confusione dell’atto di narrare con il contenuto narrativo: una cosa è la forma-racconto, altra cosa è il suo contenuto, indipendente dalle modalità, diegetiche o drammatiche, attraverso le quali si può realizzare. Così, Biancaneve e i sette nani ha carattere e struttura narrative sia nel racconto di mio nonno che nel film disneyano: non implica nulla per il suo carattere di ‘storia’ l’essere raccontata da una voce narrante o animata con disegni. Diegesi e dramma, in sostanza, più che espressione del racconto e del non-racconto sono modi diversi di narrare che potremmo definire n. fabulatoria e n. agita. Una distinzione che originariamente, nella cultura orale, non si poneva neppure, nella misura in cui l’aedo, nell’atto del suo cantare (diegesi) si serviva sicuramente della gestualità, della mimica, e del tono di voce per rappresentare quanto andava raccontando (dramma).
3.2. Punto di vista.
Categoria narratologica fondamentale, quella del punto di vista fa riferimento alla posizione tenuta dall’autore nei confronti di ciò che viene raccontato. Seguendo Genette (1976), si danno, nell’universo narrativo, quattro fondamentali categorie: il racconto eterodiegetico è quello in cui colui che narra è esterno rispetto alla vicenda narrata; omodiegetico quello in cui vi è presente come personaggio; il racconto intradiegetico è quello svolto da un narratore che appartiene allo stesso livello narrativo della vicenda; quello extradiegetico da un narratore che appartiene a un livello narrativo differente. Incrociandoli si ottengono quattro tipi di racconto: 1) un racconto in cui il narratore è assente dalla vicenda narrata (eterodiegetico-extradiegetico); 2) un racconto in cui la vicenda viene raccontata da un narratore esterno rispetto a essa; 3) un racconto in cui la vicenda viene raccontata da un narratore che appartiene a essa (intradiegetico-omodiegetico); 4) un racconto in cui un narratore che appartiene alla vicenda narra un’altra vicenda (intradiegetico-eterodiegetico).
3.3. Focalizzazione.
Strettamente connesso a quello di punto di vista, il termine indica la localizzazione dell’enunciazione, cioè la posizione che l’autore implicito (Cooperazione testuale) assume all’interno del testo. Può essere di tre tipi: 1) la focalizzazione di grado zero che si verifica quando l’enunciazione non si disloca su nessun personaggio del racconto; 2) la focalizzazione interna, quando questo succede; 3) la focalizzazione esterna, quando i personaggi della vicenda sembrano agire senza che l’enunciatore sappia nulla del loro agire.
4. L’analisi della n.
Elaborate da una disciplina specifica, la narratologia, le tecniche per analizzare il racconto costituiscono un campo di studio realmente vasto e complesso in cui è possibile mettere ordine (Casetti, Di Chio, 1990) attraverso la individuazione di due criteri organizzativi: l’attenzione agli elementi strutturali (personaggio, eventi, trasformazioni) e il tipo di punto di vista assunto (fenomenologico, formale, astratto). Dato che il punto di vista può riguardare ciascuno degli elementi strutturali individuati, si può definire l’analisi della n. un processo metodologico che consiste in una analisi fenomenologica, formale e astratta del personaggio, degli eventi e delle trasformazioni di un racconto.4.1. L’analisi del personaggio.
Individuati i personaggi essenziali per la comprensione della vicenda, occorre definirne, oltre al nome, lo statuto sociale all’interno del racconto (povero, ricco, padre, ecc.) e le caratteristiche psico-fisiche: corporatura, comportamenti, profilo di personalità (piano fenomenologico). Dall’attenzione all’identità psicologicamente determinata del personaggio si passa poi a considerarne il ruolo all’interno della vicenda (piano formale), indicando la sua funzione di protagonista o di antagonista, agente o paziente, la sua possibile classificazione in uno stereotipo (buono, cattivo, vittima, ecc.). Infine (piano astratto) si indica la sua funzione attanziale (Attante) nel racconto. Seguendo il modello di Greimas (Narratologia) è possibile individuare tre coppie di ruoli attanziali nel racconto: 1) un soggetto, in virtù di un mandato che gli viene assegnato e della capacità di rispettarlo (competenza), desidera un oggetto; il racconto si concluderà con la sanzione, positiva o negativa, all’eroe per avere (o non avere) raggiunto il bene; 2) un adiuvante sostiene il soggetto nel suo compito, mentre un opponente esercita su di lui un’azione di senso contrario ostacolandolo; 3) un destinante, depositario della competenza del soggetto e della possibilità di sanzionarlo per il suo comportamento, affida un mandato a un destinatario e sanziona la sua capacità di adempierlo.
4.2. L’analisi degli eventi.
In virtù dell’analogia che si può istituire tra la società e l’universo del racconto (Goffman), in esso è possibile cogliere la volontà degli attori di realizzare comportamenti al fine di raggiungere determinati scopi. Gli eventi, dunque, a un primo e più elementare livello (piano fenomenologico) sono comportamenti. Di tali comportamenti si tratterà di descrivere il tipo (volontario, cosciente, singolo, individuale...) e il rilievo sociale (conformista, innovativo, rivoluzionario, eversivo, ecc.). A livello di analisi superiore (piano formale) il comportamento viene ricompreso nei termini di una funzione. Sarà così possibile configurare il racconto come il passaggio (miglioramento o peggioramento) da uno stato iniziale a uno stato finale (Bremond, 1977). Tale passaggio si può descrivere in molte forme: come una privazione (il passato da recuperare in Nuovo cinema Paradiso di Tornatore), un allontanamento (il futuro da inventare in Barry Lindon di Kubrick), ecc. Tutte queste funzioni possono infine essere considerate (piano astratto) come atti. Tali atti, secondo Greimas, si esprimono in due categorie fondamentali di enunciati narrativi: enunciati di essere ed enunciati di fare. I primi indicano quattro situazioni così simbolizzate: il possesso di un oggetto da parte di un soggetto (S Ù O), la sua perdita (Ø S Ù O), la mancanza di un oggetto a un soggetto (S Ú O), il fatto che venga colmata (Ø S Ú O). Quanto agli enunciati di fare essi si risolvono nella indicazione di una trasformazione di una qualsiasi di queste situazioni e si rappresentano con il simbolo Þ. Ad esempio, la vicenda di Ulisse nell’Odissea omerica, in questa prospettiva, può essere espressa nella formula: (Ø S Ù O) Þ (S Ù O); Ulisse (S), che partecipando alla guerra di Troia ha perso il controllo sulla sua terra e la vicinanza dei suoi cari (O), attraverso un rocambolesco viaggio di ritorno, lo riacquista (S Ù O).
4.3. L’analisi delle trasformazioni.
Ogni personaggio, attraverso il suo comportamento, produce nella vicenda dei cambiamenti che contribuiscono a mutare il suo stato psicologico o sociale descrivendo un processo di crisi o di maturazione (piano fenomenologico). Analizzati a un livello più astratto (piano formale) tali cambiamenti si possono ricondurre a un processo in tre tappe di cui ogni racconto sarebbe costituito: l’esistenza di un problema, la sua elaborazione, la sua soluzione (dove, ancora una volta, l’elaborazione si può intendere o come un miglioramento o come un peggioramento). Questo processo, infine, si può leggere nel segno di alcune tipologie di variazione strutturale (piano astratto): la saturazione (A Þ A), in cui, come nel feuilleton o nel cinema classico hollywoodiano, l’ happy end è già implicito nelle premesse da cui la n. muove; la stasi narrativa (A rimane in A), propria di n. in cui non succede assolutamente nulla (come la telenovela); l’inversione (A Þ Ø A), cioè il caso di racconti con finale a sorpresa (come nella tragicommedia o nel thriller); la sospensione, quando ci si trova in presenza o di un finale tronco (A Þ 0) o di un finale aperto a tutte le soluzioni (A Þ ?).
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Bibliografia
- BREMOND Claude, Logica del racconto, Bompiani, Milano 1977.
- BRUNI Augusto - FORLAI Luigi, Detective thriller e noir. Teoria e tecnica della narrazione, Dino Audino, Roma 1980.
- CASETTI Francesco - DI CHIO Federico, Analisi del film, Bompiani, Milano 1990.
- CASETTI Francesco - DI CHIO Federico, Analisi della televisione. Strumenti, metodi e pratiche di ricerca, Bompiani, Milano 1998.
- GENETTE G., Nuovo discorso del racconto, Einaudi, Torino 1983.
- GENETTE G., Figure III. La parola letteraria, Einaudi, Torino 1976.
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- GUCCINI Gerardo (ed.), La bottega dei narratori: storie, laboratori e metodi, Audino, Roma 2005.
- JEDLOWSKI Paolo, Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Mondadori, Milano 2000.
- LORENZETTI Roberta - STAME Stefania, Narrazione e identità, Laterza, Roma 2004.
- MARRONE Gianfranco - DUSI N. - LO FEUDO G., Narrazione ed esperienza. Intorno a una semiotica della vita quotidiana, Meltemi, Roma 2007.
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- SIDOTI Beniamino, Giochi con le storie, La Meridiana, Molfetta (BA) 2001.
- VOGLER Christopher, Il viaggio dell’eroe, Audino, Roma 2005.
- ZANNONER Paola, La storia attraverso le storie, Mondadori, Milano 2002.
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Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Narrazione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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