Ricezione
- Testo
- Bibliografia14
- Voci correlate
Autore: Ugo Volli
1. Definizione
Si definisce come r. l’atto con cui un certo testo è fatto suo da un essere umano (o da un altro essere vivente o da un qualche dispositivo adatto) che in questo caso viene definito destinatario, ricettore o ricevente, lettore. La r. è dunque il momento in cui, in una certa porzione del mondo, che per l’appunto l’atto della r. qualifica come testo, emerge per qualcuno un senso, il punto di partenza del complicato processo di interpretazione. Di conseguenza si tratta dell’atto decisivo della comunicazione. Si può facilmente ammettere infatti che vi sia comunicazione senza emittente, per esempio nei casi in cui dalla lettura di uno strumento scientifico o dai sintomi di una malattia o da altri indizi, cioè configurazioni rilevanti del mondo, qualcuno tragga un senso (esempi classici di indizi sono il fumo per il fuoco, la febbre per la malattia, l’impronta digitale per l’assassino). Ma al contrario non vi è comunicazione efficace, anzi non vi è comunicazione affatto, senza r. Gli stessi indizi che abbiamo citato senza nessuno che li interpreti, sono semplici fatti del mondo, privi di effetti comunicativi. E lo stesso vale per strumenti di misura, allarmi automatici, cioè dispositivi costruiti apposta per comunicare un segnale a qualcuno: senza destinatario (o un dispositivo automatico che risponda loro secondo modelli predisposti da un progetto), questi strumenti funzionano materialmente, ma non creano senso: un termometro che non è letto (o non serve come input per un sistema di rilevamento automatico), può funzionare perfettamente, ma non ha senso, resta una colonna di mercurio in un tubo di vetro. Solo un’interpretazione (magari incorporata in un termostato) mette in relazione la sua espansione con il livello della temperatura. L’universo è pieno di indizi o sistemi di misura potenziali, che nessuno rileverà mai.Il concetto inverso è vero per l’esempio più tipico della comunicazione volontaria, la produzione linguistica di un essere umano, che non può logicamente essere pensata senza un polo ricettivo. Anche chi grida da solo nel deserto o prova a scrivere una lettera che poi non spedirà, mette in opera necessariamente una qualche r. parziale del suo stesso testo, se non altro per controllarlo; e comunque si figura una possibile r. futura, si regola su un ricevente virtuale ma non per questo inefficace (per esempio sceglie di usare una certa lingua e certe espressioni, in funzione di chi pensa potrà ricevere il suo messaggio). Se guardiamo all’organizzazione di una comunicazione normale, per esempio di una telefonata o di una conversazione, troviamo che senza una r. effettiva, si tratta solo di tentativi di comunicazione: in presenza di rumore o altri disturbi, il tentativo di comunicare continuerà finché non si sarà avuta una r. (e la relativa conferma, esercitata spesso attraverso la funzione fàtica in ogni conversazione). Solo allora la comunicazione si sarà realizzata. L’emittente produce il tentativo; solo l’avvenuta r. realizza la comunicazione vera e propria.
Esistono certamente degli oggetti culturali che sono compiuti prima della loro effettiva comunicazione al pubblico: è il caso di opere letterarie e delle altre arti. La Divina Commedia ha avuto certamente un senso prima delle complesse vicende della sua r. Ma si tratta qui di oggetti comunicativi molto peculiari, seppure importanti, che si possono qualificare più come eccezioni che come casi tipici. E anche allora bisogna pensare che l’artista, nel suo lavoro di riscrittura e di perfezionamento, agisca anche e soprattutto come recettore primo del suo lavoro. Ogni comunicazione presuppone dunque, a diversi livelli, un atto di r.: una r. empirica, negli atti comunicativi riusciti; un’autoricezione e un certo modello di r. virtuale (cioè certe ipotesi sul possibile ricettore) in ogni altro caso.
2. La r., atto semiotico fondamentale
Lo stesso testo che viene comunicato, a rigore, si forma solo nell’atto della r. È infatti il ricettore a deciderne definitivamente i confini, cioè a stabilire col suo atto di lettura qual è esattamente il testo recepito (per esempio un articolo di giornale, un titolo o un’intera pagina; un libro letto da cima a fondo e di seguito o scorso velocemente; un verso o una cantica intera; una trasmissione televisiva isolata o il montaggio di uno zapping). È il ricettore a contestualizzare il testo alla sua enciclopedia, cioè ad attualizzare certi suoi significati a differenza di altri (per esempio a leggere l’Antigone di Sofocle come un testo sul conflitto fra libertà individuale e Stato, piuttosto che sul conflitto fra diritto della polis e diritto divino, o fra valori maschili e femminili). È infine il recettore che colma gli inevitabili buchi del testo con la sua attività figurativa, che gode del testo trasformandolo da oggetto inerte in relazione sociale.L’atto semiotico fondamentale non consiste dunque nella produzione di segni, ma nella comprensione di un senso. Questo non significa innanzitutto ricondurre un oggetto significante o rappresentamen (il termine usato da Peirce per indicare la materialità del segno) a una legge generale di tipo ipotetico (se c’è questo, allora quello), ma semmai porlo come un testo e cioè interrogarsi sul perché di quell’oggetto, dunque innanzitutto sulla sua differenza rispetto al contesto differenza sintagmatica (Sintagma) sulla sua differenza rispetto a quel che potrebbe essere al suo posto differenza paradigmatica (Paradigma) e sulla ragione di queste differenze che sono sempre ragioni, rete di ipotesi principali e accessorie che costituiscono la testualità dell’oggetto. Alla base di questo atto semiotico c’è dunque la meraviglia, l’essere stupiti base di tutta la filosofia e della scienza. Il principio di efficacia di questa meraviglia è la rilevanza o salienza nel contesto. Il suo modo di funzionamento consiste nel rilevare identità e differenze di tipi. La produzione di segni è invece dell’ordine della manipolazione: si tratta di realizzare degli oggetti che, per il modo in cui sono fatti o la loro posizione ‘chiedano’ di essere interpretati.
3. Il destinatario immaginato, rappresentato, enunciato
La ricerca semiotica ha mostrato che si possono ricostruire in ogni testo dei simulacri della r. virtuale immaginata dall’autore come possibile interlocutore: è quel che Umberto Eco chiama lettore modello, cioè una certa competenza linguistica e di genere, un certo atteggiamento ideologico, un certo bagaglio enciclopedico che permette di dare per scontata una certa forma del mondo e così via. Nessun testo può fare a meno di un lettore modello perché necessariamente esso deve formularsi secondo un codice linguistico e dare per scontate certe conoscenze sulla realtà, che sono presupposte comuni al destinatario.Dal lettore modello bisogna tener distinto un altro tipo di simulacro della r. che è presente spesso anche se non sempre nelle comunicazioni letterarie, giornalistiche, televisive, pittoriche ecc. Si tratta del destinatario rappresentato, che consiste in una certa figura (o più d’una) che sta nel testo esplicitamente a marcare enunciativamente il lettore o lo spettatore: per esempio il pubblico in studio di una trasmissione televisiva, il lettore cui si rivolge eventualmente in seconda persona un narratore, i vari soggetti delle rubriche di ‘lettere’ su un giornale e così via. In questi casi siamo di fronte a un’enunciazione enunciata, in cui l’atto della comunicazione (e in esso la figura della r.) viene rappresentato oltre che eseguito. Non sempre, però, la r. enunciata e prevista dall’autore secondo il filtro del lettore modello corrisponde alla r. effettiva.
4. La r., un processo complesso
Da quel che si è detto risulta chiaro che la r. è certamente un atto del recettore e non solo una sua passiva condizione, e soprattutto che non si tratta per nulla di un atto semplice e puntuale. Si tratta piuttosto di un processo complesso, che coinvolge numerose tappe e verifiche, che viene compiuto non nella solitudine di un soggetto astratto, ma in un rapporto stretto e dialogico col testo, con la società in cui la r. si svolge, con gli altri testi che il ricettore conosce e da cui è influenzato. La cosiddetta ‘estetica della r.’ ha mostrato che alla base di ogni atto ricettivo esiste un ‘orizzonte d’attesa’ del soggetto, che consiste in conoscenze, gusti, interessi, definizioni di genere, che egli condivide con la società cui appartiene. Ogni nuovo messaggio, e in particolare ogni nuova opera d’arte, si staglia su questo orizzonte d’attesa, in parte innovandolo, spesso semplicemente confermandolo. Il suo senso dipende da questo complesso rapporto con ciò che al recettore è già dato, in particolare con l’intertestualità in cui è immerso (Intertesto).La complessità della r. si realizza in diversi modi, che implicano diversi modi di lavoro da parte del ricettore. Innanzitutto vi è una complessità di dimensione. Vi è una r. quasi esclusivamente percettiva, per esempio nel momento in cui ci accorgiamo di una spia di allarme che si accende in un pannello di controllo. Il lavoro del riconoscimento del testo è qui estremamente semplice, anche se magari la r. completa può comportare un’attività deduttiva molto complessa e una serie di reazioni molto estese (le cose sono diverse se la spia che si accende è quella che indica nel cruscotto di un’automobile, che il carburante sta scendendo ‘in riserva’ oppure quella che sta a dire che vi è un’anomalia in una centrale nucleare). Al polo opposto della complessità di dimensione abbiamo la r. di testi molto ricchi ed estesi, La Divina Commedia, ad esempio, gli affreschi della Cappella Sistina o il Don Giovanni. Qui, prima del difficile lavoro di comprensione semantica del testo, vi è una ricca attività di percezione e di ricostruzione della forma del testo.
Un secondo livello di complessità della r. riguarda i diversi canali e codici su cui avviene il lavoro percettivo. Vi è r. visiva, auditiva, tattile ecc.; vi è r. iconica, indicale, simbolica. Vi sono ricezioni multimediali e sinestetiche. Vi è r. di testi fortemente codificati, e r./percezione di parti del mondo naturale, senza forti vincoli di codificazione. Di solito si tende ad attribuire queste caratteristiche al messaggio, ma poiché è la r. a determinarlo come tale, bisogna ammettere che anche queste caratteristiche ne dipendono. Da questa complessità di codice, e dal modo in cui essa è usata, dipende anche naturalmente quella dei contenuti del messaggio e del modo in cui essi sono attualizzati. La tradizione ermeneutica, che si è formata innanzitutto intorno allo studio della Bibbia, distingue per esempio un certo numero di ‘sensi’ del testo (nella tradizione prevalente in Occidente, essi sono quattro: letterale, anagogico, morale e allegorico). Questi sono, per così dire, diversi meta-codici che vengono applicati dal lettore al testo per mettere in evidenza (si potrebbe dire per costruire) altrettanti strati di senso, coi loro codici e contenuti.
Vi sono infine diversi atteggiamenti del lettore. I cultural studies anglosassoni si sono occupati a lungo di caratterizzare diverse strategie di lettura a seconda del modo in cui il destinatario reagisce al suo testo. Vi può essere, a un estremo, una lettura succube, che si china all’autorità del testo e non dubita dei suoi contenuti. All’altro estremo abbiamo una lettura resistente, che si sforza di criticare il testo, di demitizzarlo o di decostruirlo per comprendere gli interessi per cui esso sarebbe stato prodotto. Fra questi due estremi sono possibili numerosi modi intermedi di utilizzazione e di piacere del testo. Un campo di ricerca molto interessante sulle comunicazione di massa riguarda per l’appunto ‘gli usi e le gratificazioni’ che il ricettore fa del testo mediatico: non bisogna chiedersi, afferma questa teoria, che cosa il testo fa del suo lettore, ma al contrario che cosa il lettore fa del testo ( Uses and gratifications theory).
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Bibliografia
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Come citare questa voce
Volli Ugo , Ricezione, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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