Simbolo

  • Testo
  • Bibliografia8
  • Voci correlate
1) Insieme all’icona e all’ indice, è una delle tre funzioni segniche individuate dal filosofo americano C.S. Peirce. Più precisamente, il s. è un segno il cui rapporto con l’oggetto significato è istituito in termini puramente convenzionali e immotivati. È questa l’accezione che diviene d’uso comune in campo linguistico designando, in sostanza, quel particolare tipo di segni che sono i segni propri della lingua (lettere alfabetiche, segni di interpunzione) e dei linguaggi formalizzati (logica, matematica).
2) La neoretorica (Przywara, Tytecha) e l’ontologia linguistica (Melchiorre, Ricoeur) hanno favorito un ripensamento profondo del significato del s. emancipandolo dall’idea impoverente fornitane dalla linguistica.
Il s. non si può identificare con il segno, poiché sostanzialmente diversa ne è la struttura. La struttura del segno è caratterizzata dal rinvio a un significato, nel quale soltanto risiede la possibilità del segno di significare: il segno non ha mai significato in sé, ma solo in virtù di ciò a cui rimanda (il segnale stradale, privato del significato cui esso rinvia, non significa nulla). Il s., invece, pur essendo anch’esso caratterizzato dalla struttura del rimando (Heidegger), non esaurisce il proprio significato in ciò a cui rinvia, ma possiede esso stesso un significato in sé.
L’etimologia del termine consente di comprendere meglio questo fatto. La parola s. proviene dal greco symballein, che significa mettere insieme. Il verbo fa riferimento a una pratica diffusa nel mondo antico in virtù della quale gli amici dividevano una tessera di terracotta ricavandone due metà (tesserae hospitalitatis) che, ricongiunte, avrebbero consentito in futuro a loro e ai loro discendenti di ricomporre il significato della reciproca amicizia (la stessa idea è presenta nel mito dell’androgino che Platone narra nel Convito – uomo e donna, originariamente indistinti nell’androgino, si possono considerare come le due metà simboliche di quella originaria unità).
Tutto questo si può esprimere nella definizione del s. come figura dal senso duplice che, attraverso un significato primo, rinvia a un senso secondo non contenuto nel significato primo. Un esempio potrà aiutare a capire. Dire che l’acqua è s. della purezza significa riferirsi al suo essere immagine di pulizia e trasparenza (senso secondo), cui però è possibile risalire solo a partire dal fatto che la trasparenza e la capacità di lavare sono le caratteristiche proprie di ciò a cui si pensa quando si parla di questo elemento (senso primo).
Nella prospettiva dell’ontologia linguistica questa relazione stretta che esiste tra il significato primo e secondo del s. non è di secondaria importanza. Infatti essa indica l’esistenza di un’intimità ontologica profonda tra, in questo caso, l’acqua e ciò di cui è s.: un’intimità che, a differenza di quanto succede per l’allegoria, non è introdotta per convenzione, ma trovata in re.
Considerare in questo modo il s. significa attribuirvi un significato diverso rispetto a quello che gli veniva riconosciuto dalla tradizione letteraria: esso non è più un abbellimento del discorso, ma un modo per dire l’essere. E allo stesso modo possono essere riconsiderate le altre figure, dalla sineddoche alla metafora: rispetto a esse il s. presenta il massimo grado di intimità tra senso primo e secondo e, per questo, si deve considerare la figura più perfetta.
3) In virtù di questa riconcettualizzazione filosofica del significato del s. è possibile comprenderne anche il valore teologico. La tradizione simbolica che accompagna il rituale liturgico e scandisce la vita sacramentale, non va pensata nel senso debole proprio dei linguisti, ma in quello forte precisato dall’ontologia del linguaggio. Per tornare all’esempio dell’acqua, si pensi al suo valore di s. della cancellazione del peccato di Adamo nella liturgia battesimale: un valore che, anche in virtù dell’evocazione della scena del Giordano, è ontologicamente e non solo convenzionalmente legato alla realtà fisica dell’elemento.

Bibliografia

  • BUTTITTA Ignazio E., Verità e menzogna dei simboli, Meltemi, Roma 2008.
  • CHINNICI Giuseppe - Gli Iconoclasti, A-cerchiata. Storia veridica ed esiti imprevisti di un simbolo, Elèuthera, Milano 2008.
  • DIODATO Luciana, Il linguaggio del cibo. Simboli e significati del nostro comportamento alimentare, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2000.
  • MANETTI Giovanni - BARCELLONA Laura - RAMPOLDI Cora (edd.), Il contagio e i suoi simboli. Saggi semiotici, ETS, Pisa 2003.
  • MELCHIORRE Virgilio, Essere e parola, Vita e Pensiero, Milano 1984.
  • NARDELLA Carlo, La migrazione dei simboli. Pubblicità e religione, Guerini Scientifica, Milano 2015.
  • RICOEUR Paul, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica, per un linguaggio di rivelazione, Jaca Book, Milano 1981.
  • TURNER Victor, The Forest of Symbols: Aspects of Ndembu Ritual, Cornell University Press, Ithaca (NY) 1970.

Documenti

Non ci sono documenti per questa voce

Note

Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Simbolo, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (19/04/2024).
CC-BY-NC-SA Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
1150