Mass media
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Autore: Fausto Colombo
Per m.m. (o mezzi di comunicazione di massa) si intendono gli strumenti tecnologici finalizzati alla trasmissione comunicativa su larga scala. Per la loro natura organizzativa, derivata dalle forme dell’industrializzazione, essi non si limitano a fungere da veicoli di messaggi, ma si costituiscono come una componente ambientale e insieme come una agenzia di conoscenza e culturalizzazione.
Per quanto concerne questa natura organizzativa, di solito essa viene descritta dagli studiosi in base ai medesimi caratteri della cosiddetta ‘industria culturale’: standardizzazione delle routine produttive (si pensi alla divisione del lavoro nel cinema di Hollywood), articolazione dei prodotti per tipi predefiniti (per esempio i generi letterari, cinematografici o televisivi), organizzazione della distribuzione su larga scala per pubblici almeno potenzialmente vasti, primato dei meccanismi della domanda e dell’offerta. Non a caso la stessa definizione di ‘m.m.’ è coeva a quella di ‘produzione di massa’, utilizzata dal fordismo a proposito della grande produzione industriale ‘hard’ (automobili e così via).
La definizione scientifica di m.m. ha avuto nel passato una grande fortuna, legata soprattutto ad alcune posizioni teoriche catastrofiste della prima metà del Novecento, che attribuivano ai mezzi di comunicazione un ruolo essenziale nella trasformazione del genere umano in una massa senza speranza di passivi consumatori, governabili attraverso la propaganda e la pubblicità. Un altro versante teorico che di fatto confermò questa interpretazione del ruolo dei media fu quello della ricerca amministrativa, tesa soprattutto negli Stati Uniti a individuare i meccanismi persuasivi più funzionali. Questa nozione di m.m., tuttavia, ha in seguito cominciato a entrare in crisi a partire dal secondo dopoguerra (finita quindi la stagione dei grandi totalitarismi che sembravano confermare con il loro uso dei media le più nere previsioni catastrofiste), fino a sopravvivere sostanzialmente solo come ‘termine ombrello’ per indicare due insiemi:
a) in primo luogo i mezzi di comunicazione in cui la tecnologia svolge un ruolo essenziale. In questo caso rientrano nella definizione tanto i mezzi in cui la tecnologia agisce nella distribuzione (Cinema;Televisione;Radio,Rete telematica), tanto quelli in cui essa pur non svolgendo un ruolo essenziale nell’organizzazione distributiva rende di fatto possibile la produzione del supporto (editoria libraria e giornalistica, editoria discografica, per esempio);
b) dall’altro lato il termine può indicare la porzione di mezzi di comunicazione aperti a un consumo collettivo e contemporaneo, sostanzialmente passivo: ecco allora far parte dei media tutti i mezzi di comunicazione istantanea: la radio e la televisione, soprattutto, e in seconda istanza il giornale, il cinema, il prodotto musicale...
Ciò che gli studiosi a partire dagli anni Settanta stanno portando avanti è una progressiva scomposizione degli elementi ritenuti caratteristici dei mezzi di comunicazione, riservando la nozione di comunicazione di massa a una certa fase storica.
In effetti, i m.m. tradizionali vedono la loro genesi a partire da un’innovazione tecnologica adeguata a determinati bisogni di ricezione, sfruttata commercialmente da mediatori culturali su un pubblico molto vasto. Ma è soltanto il cocktail tra questi elementi a costituire in tutto e per tutto i media. Per esempio, l’invenzione della stampa a caratteri mobili si sposa perfettamente con la necessità di una lettura diretta della Bibbia propugnata dalla Riforma luterana (Gutenberg; Storia della comunicazione), ma non può incontrare un’organizzazione distributiva così massiccia e capillare da far assumere al libro la natura di medium di massa. Oppure, il telegrafo ottico alla fine dell’Ottocento (Telegrafo; Teoria dell’informazione), pur costituendo una preziosa innovazione tecnologica ed essendo capillarmente distribuito, non si configura come medium di massa per la mancanza di una sua destinazione propriamente mercantile (prevale infatti il suo uso istituzionale, soprattutto militare).
Se si osserva la genesi dei quotidiani moderni nell’Ottocento, invece, si riconosce perfettamente il cocktail tra tutti gli elementi: l’esistenza di macchine a stampa che consentono una produzione giornaliera, l’applicazione delle funzioni informative tipiche già delle Gazzette sei e settecentesche alle necessità di un pubblico più numeroso, la mentalità commerciale di editori che mostrano di intendere perfettamente e di saper sfruttare i meccanismi del mercato (per esempio abbassando i prezzi e utilizzando la risorsa pubblicitaria). Comincia qui una lunga rivoluzione che di fatto trasforma i canali della distribuzione e del consumo di cultura, rendendoli vicini ai meccanismi di circolazione delle merci peraltro tipici dell’età industriale. In effetti quasi tutti i mezzi di comunicazione vedranno un contrasto tra un uso artigianale e una progressiva messa a punto di un sistema industrializzato di comunicazione. Avviene così per il cinema, nel suo passaggio dalla dimensione europea a quella tipicamente statunitense, per la radio, da giocattolo amatoriale a canale broadcasting, e così via. Spesso la prospettiva artigianale si sposa anche ai sogni delle avanguardie, che vedono nei nuovi mezzi tecnologici nuovi campi di applicazione artistica. Con il progressivo radicamento industriale, gli stessi mezzi divengono invece terreno per la burocratizzazione delle professioni creative.
Ciò che si afferma in questa lunga fase è su un versante il primato dell’organizzazione produttiva, sull’altro una certa attitudine al consumo passivo e progressivamente individualizzato. Il processo è lento e coinvolge le radicali modificazioni che si determinano grazie anche all’industrializzazione nella vita quotidiana, anch’essa via via più parcellizzata e individualizzata. La radio, la televisione e la riproduzione musicale, via via passati da modelli di consumo collettivo e familiare a modelli di consumo personale, sono esempi sintomatici di questa trasformazione.
Tuttavia, a partire dal secondo dopoguerra e in particolare dagli anni Sessanta-Settanta, i Paesi occidentali conoscono una nuova svolta che mette in discussione i fondamenti dei m. m. come fino a quel momento si erano assestati. Non è in discussione la parcellizzazione del consumo; anzi. Sotto certi profili l’individualizzazione delle scelte di ricezione e di acquisto si fa ancora più marcata. È la logica del consumo a cambiare, assegnando sempre di più alla soddisfazione del consumatore un ruolo centrale. Quello che viene chiamato prosumerismo, ossia la tendenza di chi fruisce a richiedere prodotti, più che individuali, personali, ossia tarati sulle proprie esigenze, si applica in modo sempre più massiccio ai media: le grandi tendenze del consumo si fanno meno prevedibili, le grandi audience lasciano via via spazio alla somma di nicchie sempre più segmentate, infine cresce la richiesta per media appunto personalizzati. È così per la televisione, che vede la funzione dell’apparato ricevente trasformarsi sempre di più da semplice terminale a strumento polifunzionale, interfaccia con sistemi informativi (il televideo), con l’intrattenimento casalingo (la videocassetta), con offerte mirate (gli impianti satellitari o via cavo, soprattutto se criptati).
È così, soprattutto, per i nuovi mezzi legati alla nascita del computer, ossia per quella tecnologia chiamata abitualmente ICT (Information and Communication Technology). In questi casi la passività del consumo viene decisamente superata da un atteggiamento di ‘navigazione’ che nulla ha a che vedere con la vera e propria gestione delle emozioni che la storica industria cinematografica o televisiva era in grado di garantire nei suoi periodi aurei: si pensi alle BBS, a Internet e a tutte le forme di comunicazione telematica. Ovviamente questa attitudine alla fruizione più attiva e libera non esclude che anche Internet sia utilizzato secondo le forme più tradizionali dell’offerta broadcasting: basta osservare il proliferare di servizi cosiddetti push, che cioè tendono a offrire contenuti all’utente prima che egli sia in grado di cercarli. Ma resta il fatto che i media telematici mantengono una disponibilità al dialogo con l’utente del tutto sconosciuta alle altre grandi tecnologie della comunicazione.
Ciò che avviene, insomma, è che i grandi m.m. cominciano ad avere pubblici sempre più limitati e diversificati, mentre media che non hanno caratteristiche propriamente di massa (si pensi al telefono e soprattutto al telefono cellulare) conoscono una fortuna straordinaria e una diffusione apparentemente inarrestabile.
Oggi la definizione di m.m. si applica dunque in senso stretto soprattutto all’organizzazione del mercato culturale in aree non occidentali, non raggiunte dalle vasta trasformazioni della distribuzione e del consumo.
Un altro aspetto importante che ha visto un cambio di paradigma nello studio dei media consiste nella crisi progressiva del cosiddetto ‘determinismo tecnologico’, intendendo con questa locuzione la convinzione che l’introduzione di nuove tecnologie implichi sempre trasformazioni cognitive rilevanti nel pubblico. La differenza di questa posizione teorica rispetto a quelle sopra definite catastrofiste consiste nel fatto che queste ultime si soffermano sulla capacità dei media di ‘insufflare’ contenuti e convinzioni, mentre il determinismo tecnologico sottolinea i cambiamenti degli ‘a priori’ conoscitivi. Esemplare di questa prospettiva è Marshall McLuhan, che ha, a più riprese, legato la sua interpretazione dei vari ‘strumenti del comunicare’ alla loro appartenenza alla sfera della scrittura o dell’oralità, sostenendo che ognuna di queste due dimensioni comporta differenti attitudini psicocognitive.
Oggi, in alternativa, si tende a relativizzare l’impatto dei media sulle culture. Si parla, in alternativa, di culturalità dei media, oppure di capacità delle culture presenti in un determinato ambiente di integrare le potenzialità tecnologiche. Anche qui, come si vede, la nozione ‘assoluta’ di m.m. tende a lasciare il posto a una rivalutazione delle componenti sistemiche della comunicazione nella società complessa, rivalutando il ruolo di filtro e di integrazione svolto dalle relazioni sociali. (Comunicazione;Comunication research;Effetti dei media; Massa;Teorie sociali della comunicazione)
Per quanto concerne questa natura organizzativa, di solito essa viene descritta dagli studiosi in base ai medesimi caratteri della cosiddetta ‘industria culturale’: standardizzazione delle routine produttive (si pensi alla divisione del lavoro nel cinema di Hollywood), articolazione dei prodotti per tipi predefiniti (per esempio i generi letterari, cinematografici o televisivi), organizzazione della distribuzione su larga scala per pubblici almeno potenzialmente vasti, primato dei meccanismi della domanda e dell’offerta. Non a caso la stessa definizione di ‘m.m.’ è coeva a quella di ‘produzione di massa’, utilizzata dal fordismo a proposito della grande produzione industriale ‘hard’ (automobili e così via).
La definizione scientifica di m.m. ha avuto nel passato una grande fortuna, legata soprattutto ad alcune posizioni teoriche catastrofiste della prima metà del Novecento, che attribuivano ai mezzi di comunicazione un ruolo essenziale nella trasformazione del genere umano in una massa senza speranza di passivi consumatori, governabili attraverso la propaganda e la pubblicità. Un altro versante teorico che di fatto confermò questa interpretazione del ruolo dei media fu quello della ricerca amministrativa, tesa soprattutto negli Stati Uniti a individuare i meccanismi persuasivi più funzionali. Questa nozione di m.m., tuttavia, ha in seguito cominciato a entrare in crisi a partire dal secondo dopoguerra (finita quindi la stagione dei grandi totalitarismi che sembravano confermare con il loro uso dei media le più nere previsioni catastrofiste), fino a sopravvivere sostanzialmente solo come ‘termine ombrello’ per indicare due insiemi:
a) in primo luogo i mezzi di comunicazione in cui la tecnologia svolge un ruolo essenziale. In questo caso rientrano nella definizione tanto i mezzi in cui la tecnologia agisce nella distribuzione (Cinema;Televisione;Radio,Rete telematica), tanto quelli in cui essa pur non svolgendo un ruolo essenziale nell’organizzazione distributiva rende di fatto possibile la produzione del supporto (editoria libraria e giornalistica, editoria discografica, per esempio);
b) dall’altro lato il termine può indicare la porzione di mezzi di comunicazione aperti a un consumo collettivo e contemporaneo, sostanzialmente passivo: ecco allora far parte dei media tutti i mezzi di comunicazione istantanea: la radio e la televisione, soprattutto, e in seconda istanza il giornale, il cinema, il prodotto musicale...
Ciò che gli studiosi a partire dagli anni Settanta stanno portando avanti è una progressiva scomposizione degli elementi ritenuti caratteristici dei mezzi di comunicazione, riservando la nozione di comunicazione di massa a una certa fase storica.
In effetti, i m.m. tradizionali vedono la loro genesi a partire da un’innovazione tecnologica adeguata a determinati bisogni di ricezione, sfruttata commercialmente da mediatori culturali su un pubblico molto vasto. Ma è soltanto il cocktail tra questi elementi a costituire in tutto e per tutto i media. Per esempio, l’invenzione della stampa a caratteri mobili si sposa perfettamente con la necessità di una lettura diretta della Bibbia propugnata dalla Riforma luterana (Gutenberg; Storia della comunicazione), ma non può incontrare un’organizzazione distributiva così massiccia e capillare da far assumere al libro la natura di medium di massa. Oppure, il telegrafo ottico alla fine dell’Ottocento (Telegrafo; Teoria dell’informazione), pur costituendo una preziosa innovazione tecnologica ed essendo capillarmente distribuito, non si configura come medium di massa per la mancanza di una sua destinazione propriamente mercantile (prevale infatti il suo uso istituzionale, soprattutto militare).
Se si osserva la genesi dei quotidiani moderni nell’Ottocento, invece, si riconosce perfettamente il cocktail tra tutti gli elementi: l’esistenza di macchine a stampa che consentono una produzione giornaliera, l’applicazione delle funzioni informative tipiche già delle Gazzette sei e settecentesche alle necessità di un pubblico più numeroso, la mentalità commerciale di editori che mostrano di intendere perfettamente e di saper sfruttare i meccanismi del mercato (per esempio abbassando i prezzi e utilizzando la risorsa pubblicitaria). Comincia qui una lunga rivoluzione che di fatto trasforma i canali della distribuzione e del consumo di cultura, rendendoli vicini ai meccanismi di circolazione delle merci peraltro tipici dell’età industriale. In effetti quasi tutti i mezzi di comunicazione vedranno un contrasto tra un uso artigianale e una progressiva messa a punto di un sistema industrializzato di comunicazione. Avviene così per il cinema, nel suo passaggio dalla dimensione europea a quella tipicamente statunitense, per la radio, da giocattolo amatoriale a canale broadcasting, e così via. Spesso la prospettiva artigianale si sposa anche ai sogni delle avanguardie, che vedono nei nuovi mezzi tecnologici nuovi campi di applicazione artistica. Con il progressivo radicamento industriale, gli stessi mezzi divengono invece terreno per la burocratizzazione delle professioni creative.
Ciò che si afferma in questa lunga fase è su un versante il primato dell’organizzazione produttiva, sull’altro una certa attitudine al consumo passivo e progressivamente individualizzato. Il processo è lento e coinvolge le radicali modificazioni che si determinano grazie anche all’industrializzazione nella vita quotidiana, anch’essa via via più parcellizzata e individualizzata. La radio, la televisione e la riproduzione musicale, via via passati da modelli di consumo collettivo e familiare a modelli di consumo personale, sono esempi sintomatici di questa trasformazione.
Tuttavia, a partire dal secondo dopoguerra e in particolare dagli anni Sessanta-Settanta, i Paesi occidentali conoscono una nuova svolta che mette in discussione i fondamenti dei m. m. come fino a quel momento si erano assestati. Non è in discussione la parcellizzazione del consumo; anzi. Sotto certi profili l’individualizzazione delle scelte di ricezione e di acquisto si fa ancora più marcata. È la logica del consumo a cambiare, assegnando sempre di più alla soddisfazione del consumatore un ruolo centrale. Quello che viene chiamato prosumerismo, ossia la tendenza di chi fruisce a richiedere prodotti, più che individuali, personali, ossia tarati sulle proprie esigenze, si applica in modo sempre più massiccio ai media: le grandi tendenze del consumo si fanno meno prevedibili, le grandi audience lasciano via via spazio alla somma di nicchie sempre più segmentate, infine cresce la richiesta per media appunto personalizzati. È così per la televisione, che vede la funzione dell’apparato ricevente trasformarsi sempre di più da semplice terminale a strumento polifunzionale, interfaccia con sistemi informativi (il televideo), con l’intrattenimento casalingo (la videocassetta), con offerte mirate (gli impianti satellitari o via cavo, soprattutto se criptati).
È così, soprattutto, per i nuovi mezzi legati alla nascita del computer, ossia per quella tecnologia chiamata abitualmente ICT (Information and Communication Technology). In questi casi la passività del consumo viene decisamente superata da un atteggiamento di ‘navigazione’ che nulla ha a che vedere con la vera e propria gestione delle emozioni che la storica industria cinematografica o televisiva era in grado di garantire nei suoi periodi aurei: si pensi alle BBS, a Internet e a tutte le forme di comunicazione telematica. Ovviamente questa attitudine alla fruizione più attiva e libera non esclude che anche Internet sia utilizzato secondo le forme più tradizionali dell’offerta broadcasting: basta osservare il proliferare di servizi cosiddetti push, che cioè tendono a offrire contenuti all’utente prima che egli sia in grado di cercarli. Ma resta il fatto che i media telematici mantengono una disponibilità al dialogo con l’utente del tutto sconosciuta alle altre grandi tecnologie della comunicazione.
Ciò che avviene, insomma, è che i grandi m.m. cominciano ad avere pubblici sempre più limitati e diversificati, mentre media che non hanno caratteristiche propriamente di massa (si pensi al telefono e soprattutto al telefono cellulare) conoscono una fortuna straordinaria e una diffusione apparentemente inarrestabile.
Oggi la definizione di m.m. si applica dunque in senso stretto soprattutto all’organizzazione del mercato culturale in aree non occidentali, non raggiunte dalle vasta trasformazioni della distribuzione e del consumo.
Un altro aspetto importante che ha visto un cambio di paradigma nello studio dei media consiste nella crisi progressiva del cosiddetto ‘determinismo tecnologico’, intendendo con questa locuzione la convinzione che l’introduzione di nuove tecnologie implichi sempre trasformazioni cognitive rilevanti nel pubblico. La differenza di questa posizione teorica rispetto a quelle sopra definite catastrofiste consiste nel fatto che queste ultime si soffermano sulla capacità dei media di ‘insufflare’ contenuti e convinzioni, mentre il determinismo tecnologico sottolinea i cambiamenti degli ‘a priori’ conoscitivi. Esemplare di questa prospettiva è Marshall McLuhan, che ha, a più riprese, legato la sua interpretazione dei vari ‘strumenti del comunicare’ alla loro appartenenza alla sfera della scrittura o dell’oralità, sostenendo che ognuna di queste due dimensioni comporta differenti attitudini psicocognitive.
Oggi, in alternativa, si tende a relativizzare l’impatto dei media sulle culture. Si parla, in alternativa, di culturalità dei media, oppure di capacità delle culture presenti in un determinato ambiente di integrare le potenzialità tecnologiche. Anche qui, come si vede, la nozione ‘assoluta’ di m.m. tende a lasciare il posto a una rivalutazione delle componenti sistemiche della comunicazione nella società complessa, rivalutando il ruolo di filtro e di integrazione svolto dalle relazioni sociali. (Comunicazione;Comunication research;Effetti dei media; Massa;Teorie sociali della comunicazione)
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Come citare questa voce
Colombo Fausto , Mass media, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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