Effetti dei media
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Autore: M. Britto Berchmans
Orson Welles durante lo sceneggiato radiofonico la Guerra dei Mondi. Trasmesso dalla CBS nell’ottobre del 1938 il radiodramma è rimasto famoso per aver scatenato il panico simulando la descrizione di un’invasione aliena
Sono dunque, i media, così potenti? La ricerca sulla comunicazione ha inizialmente elaborato il modello degli "effetti forti", un modello in seguito messo in discussione da ricerche come The people’s choice di Paul Lazarsfeld e i Payne fund studies che hanno introdotto il modello degli "effetti limitati". Oggi gli studiosi sembrano sostenere una posizione che sta a metà strada fra questi due modelli.
1. Una panoramica
Durante gli anni Trenta e Quaranta, gli studiosi di scienze politiche e di psicologia sociale elaborarono il modello degli "effetti forti" secondo cui i media erano ritenuti capaci di produrre ogni effetto possibile sul loro pubblico considerato passivo. La base teorica di questo modello era fornita dalle analisi delle tecniche di propaganda impiegate con efficacia nella prima e poi nella seconda guerra mondiale. Walter Lippmann, che aveva pubblicato nel 1922 il suo Public opinion in cui si introduceva il concetto di stereotipo ("l’immagine dentro le nostre menti"), contribuì in maniera rilevante alla diffusione del modello degli "effetti forti". L’evidenza sperimentale di questo modello fu fornita anche da Hovland e dai suoi colleghi alla fine degli anni Quaranta e nel corso degli anni Cinquanta, prima presso il Dipartimento di Informazione ed Educazione dell’Esercito e in seguito presso l’Attitude Center dell’Università di Yale. Attraverso molti esperimenti, Hovland e gli altri identificarono le caratteristiche che emittente, messaggio e ricettori dovevano avere per portare al cambiamento di opinione. Il loro lavoro ha sicuramente avuto un’influenza fondamentale nel campo della ricerca sulla comunicazione. Altro sostegno veniva da studi di Lazarsfeld e Stanton sugli effetti della radio, e da quelli di Cantril sugli effetti di panico suscitati dalla trasmissione di Orson Welles La guerra dei mondi, che fornivano a questo modello un’ulteriore evidenza.Nel loro studio sul comportamento elettorale, intitolato The people’s choice (1944), Lazarsfeld, Berelson e Gaudet sostengono invece che i media hanno poca influenza sulle scelte di voto degli individui. A partire da questo contributo, ha preso piede il modello degli "effetti limitati" o del "rinforzo". Il principale effetto riscontrato da Lazarsfeld e dai suoi colleghi è infatti quello secondo cui i media rafforzano le opinioni esistenti, mentre solo una piccola percentuale di elettori (l’8% nella ricerca indicata) è portata a cambiare completamente opinione, ma più per effetto degli opinion leaders che a causa dei media (Two-step flow). Lo studio di Lazarsfeld e dei suoi colleghi è seguito da molti altri che non fanno che confermarne le tesi e i risultati.
Nel 1960 Joseph Klapper con l’opera Gli effetti delle comunicazioni di massa (ed. it. 1965) giunge a una potente sintesi dei risultati raggiunti in oltre due decenni di ricerca sugli e.d.m. Scrive Klapper: "La comunicazione di massa non costituisce di solito una causa necessaria e sufficiente di particolari effetti sull’audience, ma fa piuttosto da mediazione tra fattori e influenze diverse". Appartiene alla tradizione degli effetti limitati anche l’approccio degli "usi e gratificazioni" (Uses and gratifications theory), secondo cui l’audience è costituita da individui attivi. Il lavoro di Klapper sembra perciò smentire definitivamente la validità del modello degli "effetti forti" dei media.
Nonostante ciò, questo modello non sparisce completamente. A partire dalla fine degli anni Sessanta esso riappare, seppure in forma diversa. In questo periodo gli interessi degli studiosi di comunicazione di massa non sono più rivolti alla trasformazione dei comportamenti e delle opinioni, ma al modo in cui gli individui socializzano attraverso i media: come si sviluppano i valori comuni, gli schemi comportamentali e le percezioni della realtà sociale attraverso le informazioni e le immagini offerte dai media.
Tre posizioni in particolare sostengono che la ricerca del passato sbagliava nel dichiarare che i media non sono potenti. Se infatti l’ipotesi di ricerca viene posta in modo diverso, scopriamo che i media sono in grado di produrre effetti forti. La prima posizione appartiene alla tradizione dell’agenda setting secondo cui la ricerca dovrebbe studiare "il ruolo che i media esercitano non tanto sulle nostre idee, quanto su quali idee pensare" (Katz, 1988). La seconda posizione è quella di McLuhan il quale sostiene che "i media non ci dicono cosa o quando dovremmo pensare, ma come dovremmo pensare". La terza posizione si innesta nella tradizione ideologica di Horkheimer e Adorno e trova la sua massima espressione nei lavori di Gerbner ed Elisabeth Noelle-Neumann. Mentre quest’ultima considera i media come una mafia non tanto di destra, quanto di sinistra e perciò interessata al cambiamento continuo e alla preservazione del mito dell’opposizione a oltranza, Gerbner sostiene che i media sono fondamentalmente conservatori e, in quanto tali, cercano in tutti i modi di preservare lo status quo. Così, se per Gerbner i media ci dicono cosa non pensare, secondo Noelle-Neumann essi ci dicono cosa non dire (Spirale del silenzio).
La ricerca contemporanea si è impegnata a studiare le molte aree in cui i vari tipi di audience vengono condizionati dai media "nella loro conoscenza delle questioni pubbliche e politiche, nella formazione della loro idea di realtà sociale, di identità personale e di quella degli altri, nella loro acquisizione di opinioni e atteggiamenti politici, nel loro uso del tempo libero, nei comportamenti anti-sociali (aggressione, violenza, pregiudizio) e in quelli pro-sociali (altruismo, solidarietà, ecc.), nell’apprendimento di abilità fisiche e cognitive, nella percezione dell’importanza di certe questioni (agenda setting), nel soddisfacimento di certi bisogni personali (evasione, divertimento, e altro)" (Tan, 1985).
2. Il contributo degli studi sugli e.d.m.
Per quanto studiosi come James Carey o Todd Gitlin abbiano rivolto pesanti critiche all’ossessione positivistica che domina gli studi sugli effetti, non è possibile ignorare una così ampia area di ricerca. Carey e Gitlin sostengono che tanti anni di ricerca sugli e.d.m. hanno causato una scarsità di elaborazione teorica e di approfondimento; tuttavia, pur ammettendo tale incapacità di riconoscere l’importante ruolo svolto dalla cultura nei processi comunicativi, non si può negare il fatto che questa ricerca ha contributo non poco agli studi sulla comunicazione.Rimane ancora da vedere se i media producono o meno effetti forti sul pubblico nei diversi contesti. Anche coloro che hanno attentamente passato in rassegna gli ultimi settant’anni di ricerca sugli e.d.m. non sono in grado di avanzare una conclusione definitiva. Alcuni studiosi sostengono che, per quanto ampiamente diffusi in una particolare area, gli e.d.m. hanno di solito un impatto minimo. Altri, come Noelle-Neumann, alla quale si deve la citata teoria della spirale del silenzio, sono invece del parere che i media esercitano un forte influsso in virtù di tre fattori principali:
1) La loro ubiquità. I media sono ovunque e dominano l’intero ambiente informativo, tanto che è pressoché impossibile sfuggire a un loro messaggio.
2) L’accumulazione dei messaggi. Anziché guardare agli effetti specifici di alcuni messaggi particolari, occorre considerare l’effetto cumulativo che si sviluppa nel corso del tempo. Se ripetuti costantemente, i messaggi mediali rafforzano il loro impatto.
3) La convergenza tra i giornalisti. Si registra spesso un notevole accordo e una vicinanza ‘demografica’ tra giornalisti e professionisti dei media in genere. Una tale convergenza non può che portare all’uguaglianza nei contenuti dei notiziari e quindi alla limitazione delle informazioni e delle conoscenze offerte all’audience.
Le diverse posizioni sugli e.d.m. hanno dato vita a nuove e diverse prospettive riguardo al processo di comunicazione. C’è da dire innanzitutto che nessuno studioso, come anche Gerbner sostiene, ha mai veramente creduto alla ‘teoria del proiettile magico’ (magic bullett theory). Come egli scrive: "Nessuno studioso responsabile ha mai seriamente sostenuto l’idea di un pubblico fatto di ricettori indifesi dinanzi a una grandinata di proiettili mediali. Una tale idea è stata avanzata più per fare una caricatura delle opinioni popolari sull’efficacia della propaganda in tempo di guerra (e non solo) e per richiamare l’attenzione verso quelle ricerche che invece tendevano a dimostrare la grande complessità dei processi di persuasione" (1981).
Secondo Katz (1988) l’avvicendarsi dei diversi modelli può essere spiegato ricorrendo a due concetti: la selettività e le relazioni interpersonali. La selettività si riferisce al processo socio-psicologico tramite cui gli individui si espongono ai media, ne percepiscono i messaggi e se li ricordano nel tempo. La selettività suggerisce che le differenze individuali contano e che l’esposizione ai media, e la relativa interpretazione dei messaggi, sono processi complessi strettamente legati alla personalità individuale. Le relazioni interpersonali si riferiscono invece alle varie formazioni e reti sociali cui gli individui appartengono e che fanno sì che i media non si trovino ad agire in una sorta di vacuum. L’uso dei media è infatti condizionato dalla nostra rete familiare e amicale, e da tutti gli altri gruppi cui apparteniamo.
Come si vede, la ricerca sulla comunicazione è passata dalle teorie sull’influenza uniformizzante dei media, secondo cui essi producono effetti forti su tutti i membri della società, alle teorie sull’influenza selettiva, all’interno delle quali possiamo distinguere tre posizioni fondamentali. La prima, conosciuta come teoria dell’influenza selettiva su base individuale, sostiene che "gli effetti dei media non sono né uniformi, né potenti, né diretti. La loro influenza è selettiva e limitata dalle differenze psicologiche individuali". La seconda posizione, conosciuta come teoria della selettività su base sociale, afferma che "gli effetti dei media non sono né uniformi, né potenti, né diretti, ma sono piuttosto selettivi e limitati dalle diverse categorie sociali esistenti". Infine, la terza posizione, quella della selettività basata sulle relazioni interpersonali, sostiene che "gli effetti dei media non sono né uniformi, né potenti, né diretti. La loro influenza è limitata e definita dalle interazioni sociali di un individuo con gli altri individui" (Lowery-DeFleur, 1988).
Oltre alle teorie sulla selettività, sono state elaborate anche due teorie sull’influenza indiretta. Innestandosi sulla tradizione della teoria dell’apprendimento sociale, la prima sostiene che l’esposizione ai modelli di comportamento offerti dai media può costituire per l’individuo una fonte di apprendimento che lo porta all’adozione di forme di azione che possono diventare una parte più o meno permanente del suo modo di affrontare i problemi della vita. La seconda teoria, conosciuta come ‘teoria del significato’, sostiene che i mass media sono una parte importante del processo di comunicazione e svolgono un ruolo significativo nella definizione e stabilizzazione dei significati che attribuiamo ai simboli del nostro linguaggio.
La scienza della comunicazione ha tratto ampi benefici dalle diverse vicissitudini della ricerca sugli e.d.m. Per quanto essa sia difficilmente riassumibile in una teoria unitaria, decenni di ricerca hanno fornito agli studi sulla comunicazione efficienti strumenti di indagine. Durante anni e anni di lavoro, i diversi ricercatori impegnati in studi come i Payne fund studies, gli American soldier studies e i Violence studies, hanno messo a punto una serie di metodi di ricerca alquanto sofisticati. Lazarsfeld, per esempio, ha elaborato la tecnica del panel, gli studi a ‘palla di neve’ e le interviste in profondità. Da ricordare anche il suo tentativo di conciliare il metodo quantitativo con il metodo qualitativo e la sua grande capacità di condurre sondaggi. Invece Blumer è ricordato per aver importato nel metodo qualitativo novità che sono rilevanti ancora oggi. Dal canto suo Hovland ha messo a punto sofisticate tecniche sperimentali come la fase pre- e post-test. Thurstone ha elaborato le scale degli atteggiamenti. L’analisi del contenuto, infine, è stata messa a punto nell’ambito degli studi sulla violenza in Tv (Content analysis).
Elisabeth Noelle-Neumann (1983) afferma che, grazie ai successi e ai fallimenti dei diversi studi sugli effetti, i ricercatori contemporanei di comunicazione possono contare su metodi di ricerca più sofisticati. Ciò vale soprattutto riguardo a otto aspetti in particolare.
1) A differenza dei primi studi sugli e.d.m., interessati solo ai casi singoli (per esempio, un singolo programma radiofonico come La guerra dei mondi), la ricerca contemporanea considera i case studies del tutto inadeguati. Stabiliti come punti di partenza alcuni nodi tematici chiave, i ricercatori oggi esaminano contemporaneamente più programmi offerti dall’intero sistema dei media.
2) La ricerca contemporanea è assai raramente a breve termine. Sono privilegiate le analisi tendenziali a lungo termine.
3) Mentre i primi studi preferivano gli esperimenti condotti in laboratorio, la ricerca contemporanea privilegia le analisi condotte ‘sul campo’.
4) L’ipotesi di ricerca è affrontata secondo tutte le prospettive possibili, in quanto gli approcci lineari non sono più considerati sufficienti.
5) Mentre i primi studi si interessavano soprattutto dei mezzi della carta stampata, la ricerca contemporanea affronta un po’ tutti i media coinvolti nell’analisi, comprese le agenzie di stampa e i libri di testo.
6) Mentre i primi studi miravano a rilevare i cambiamenti di opinione e di comportamento, la ricerca contemporanea è più interessata ad analizzare come cambia la percezione che gli individui hanno del loro contesto sociale di riferimento.
7) Gli effetti oggi sono valutati misurando gli atteggiamenti verso le persone, e questo è un ritorno alla ricerca dei primi anni.
8) Sempre più studiosi cercano di incorporare la ricerca di carattere longitudinale con progetti investigativi più vasti.
3. Conclusione
Si può concludere che non è possibile tracciare un quadro preciso di come i media influenzano gli spettatori, gli ascoltatori, i lettori. Se nella maggior parte dei casi gli effetti sono limitati e deboli, vi sono però dei casi in cui essi sono alquanto potenti. Ricordiamo a questo proposito le teorie dell’agenda setting e della spirale del silenzio. Certo, da questo enorme campo di ricerca si sollevano molte questioni di vitale importanza cui occorre dare risposta.La prima questione riguarda la società. Come va considerata? Secondo il modello degli effetti forti, la nozione di società di massa, importata dall’Europa (con l’idea di Le Bon della ‘folla’), rimanda a un agglomerato di individui atomizzati, senza alcuna relazione reciproca. Può la ricerca contemporanea permettersi di ignorare le innumerevoli reti sociali che esistono tra gli individui? Esiste un modo per non perdere di vista queste reti durante la nostra ricerca sulla comunicazione?
La seconda questione ha origine a partire dalle teorie sulla selettività e riguarda il modo in cui si compiono i processi di attenzione, ritenzione e ricordo. Se gli individui scelgono liberamente ciò a cui vogliono prestare attenzione, conservare e ricordare, come funzionano le tecniche di marketing? Quali sono le principali differenze tra gli studi sui media e gli studi di marketing? (Marketing; Ricerche di Marketing)
Con l’avvento del modello degli effetti limitati, alcuni studiosi hanno adottato l’approccio degli "usi e gratificazioni" con cui si presuppone la presenza di un’audience attiva. Mentre la teoria critica continua a concentrarsi sui testi e a ignorare altri aspetti, il modello degli usi e gratificazioni non si interessa tanto dei testi o della struttura delle istituzioni mediali, quanto dell’audience. Katz si chiede (1988) se è possibile conciliare la teoria critica con questo nuovo approccio.
I diversi studi sugli e.d.m. hanno prodotto una massa sterminata di dati sull’audience. Tuttavia, l’impressione è che questi studi non abbiano raggiunto risultati soddisfacenti per il semplice motivo che la ricerca è stata condotta in un modo eccessivamente frammentario. Ogni studio si è limitato ad analizzare un singolo effetto in maniera lineare, senza preoccuparsi di prendere in considerazione il quadro più generale. Sarebbero stati forse più efficaci questi studi se fossero stati condotti secondo un approccio un po’ più integrato? E quali sarebbero dovute essere le caratteristiche di questo approccio?
Lazarsfeld sosteneva che nei suoi lavori gli "effetti forti" risultano totalmente assenti. Dobbiamo pensare che il suo studio non raggiunse i risultati previsti perché gli effetti erano assenti o perché aveva cercato gli effetti sbagliati? Possiamo considerare il "rinforzo" come un effetto vero e proprio? Il fatto è che il succedersi di così tanti modelli e posizioni dimostra quanto sia necessario giungere a una ridefinizione del concetto stesso di e.d.m. (Teorie psicologiche della comunicazione; Teorie sociali della comunicazione)
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Note
Come citare questa voce
Berchmans M. Britto , Effetti dei media, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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