Stereotipo
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Autore: Carlo Gagliardi
Modello convenzionale di atteggiamento o di discorso che, attraverso una scorciatoia del pensiero ereditata dal passato nel proprio ambito culturale, si cristallizza in un’idea preconcetta o ‘standard mentale’. In linguistica: locuzione fissatasi nel tempo in una determinata forma che è ripetuta meccanicamente, banalizzata, senza riflettere sul significato (parlare per s.); sinonimo in particolare di sintagma cristallizzato. Per l’antropologia culturale: motto o detto proverbiale (blasone popolare) riferito, con intenzioni per lo più satiriche o ingiuriose, a città, paesi, gruppi etnici o professionali. Caso del tutto originale l’aggettivo che, assunto a qualifica di una persona, è sostantivato come soprannome fino a individuarla meglio del suo nome (il Moro, il Guercio, il Commendatore) e, per taluni personaggi storici, a sostituirsi al casato (Carlo Martello, Filippo il Bello, Federico Barbarossa).
In psicologia lo s. componente cognitiva nel quadro della teoria degli atteggiamenti è l’opinione precostituita, semplicistica e generalizzata, fondata non su dati di fatto e valutazioni personali di singoli casi da cui derivino nuovi giudizi (Jahoda, 1965), ma sul sentito dire riguardo a persone, avvenimenti o situazioni che si afferma nel tempo, come reale, tra i membri di un gruppo (corrispondente al francese cliché). Indipendentemente dalle origini e dalla verifica del suo valore, si traduce spesso in un complesso coerente e abbastanza rigido di credenze che un gruppo condivide, quale ‘luogo comune’, rispetto ad altro da sé. Variabile con lo stato delle relazioni tra gruppi, lo s. può ostacolare la comunicazione interpersonale influenzando le percezioni mediante il ‘pensiero schematico’ e costituire, soprattutto negli aspetti negativi, il nucleo cognitivo del ‘pregiudizio’; in questo senso è il risultato di una falsa operazione deduttiva (si attribuiscono a tutti i membri di una classe le caratteristiche proprie di quelli delle diverse sottoclassi) che supporta una ipergeneralizzazione.
In prevalenza le definizioni sottolineano gli aspetti di semplificazione e impermeabilità all’esperienza degli s.: "nozioni semplificate che non tengono conto delle sfumature e restano rigidamente immuni all’esperienza" per Asch (1952), "quadri caratteriali che si considerano validi per la maggior parte degli appartenenti a un gruppo" secondo Hofstätter (1973), in pratica figurano come strumenti di pensiero "pseudo-logici". Allport (1954) li definisce sbagliati già per il fatto di essere troppo generalizzati. Tuttavia la pretesa erroneità o falsità degli s. è stata analizzata con riferimento sia al processo di formazione (errori formali) sia al loro contenuto (errori di fatto, osservazioni non corrispondenti al vero) incontrando non poche contestazioni. Anzitutto perché, nel valutare sbagliata un’opinione, occorre una serie di cognizioni che è normalmente scarsa riguardo a oggetti (es. le idee sulla gente) troppo variabili per giustificare un giudizio invariabile (Katz-Stotland 1959). Inoltre le ricerche dimostrano che gli s. non sono necessariamente sbagliati: l’opinione su un gruppo di popolazione può influenzare il comportamento verso il medesimo e, a sua volta, suscitare in esso il comportamento che se ne presume tipico ("profezia autocompiuta" nell’interpretazione di Pettigrew, 1964) agendo così sul sistema sociale.
Lo s. di gruppo, definito nelle indagini empiriche in base alla quota maggioritaria dei suoi membri che concorda nell’attribuzione di un’etichetta, può riguardare propri membri (‘autostereotipo’) oppure quelli di un altro gruppo (‘eterostereotipo’). In realtà neppure l’accordo sulla testimonianza di un gruppo è prova sufficiente che il giudizio è condiviso dall’intera comunità: l’intervista, ad esempio, non rappresenta una testimonianza univoca al di là della significatività statistica.
Secondo Lippmann, che per primo ha analizzato gli s. nell’ambito della sua teoria su L’Opinione pubblica (ed. orig. 1922), la maggior parte delle cose è da noi immaginata prima, non dopo averne avuto esperienza. Riprendendo la colorita espressione di W. James secondo il quale ogni novità è una "grande, fiorente e ronzante confusione" come il mondo del bambino scegliamo quanto la nostra cultura ha già definito per noi e tendiamo a percepirlo nella forma che essa ha stereotipato. La vita è così breve, sottolineava G. B. Shaw, che le esigenze pratiche cui far fronte non ci permettono il lusso di riconoscere la nostra ignoranza valutando singolarmente tutti gli oggetti esistenti, ma ci costringono a schematizzarne "classi" di buoni e cattivi. Poiché "le nostre opinioni coprono uno spazio più ampio, un tempo più lungo, un numero maggiore di cose di quanto possiamo direttamente osservare", debbono necessariamente essere "costruite sulla base di ciò che è riferito da altri"; nemmeno il "testimone oculare" riporta un’immagine semplice dell’oggetto.
Nella dinamica dei rapporti interpersonali lo s. svolge determinate "funzioni": 1) risparmio di energia, in quanto, ammettendo valutazioni di tipicità e non di dettaglio, offre uno schema-guida per gli atteggiamenti (‘economia dello sforzo’); 2) integrazione nel gruppo (condividere le stesse credenze rappresenta un forte legame); 3) difesa dell’Ego (garanzia di rispetto della nostra posizione nella società o, anche, proiezione sull’altro di nostri impulsi e/o attribuzione all’altro di caratteristiche che giustificano il comportamento nei suoi confronti, come nel caso del ‘razzismo’). Poiché la nostra immagine delle cose è più immobile del flusso degli avvenimenti sostiene Lippmann (1922) viene il momento in cui i "punti ciechi" si spostano dai margini al centro della visione, cioè lo s. e i fatti divergono in modo definitivo; tipico il caso della guerra "giusta" e "vittoriosa" in base a s. riguardanti la propria forza e la debolezza del nemico. Dal punto di vista storico, aggiunge Allport (1954), gli s. si modificano nel tempo, aumentano e diminuiscono parallelamente all’intensità e alla direzione del "pregiudizio".
Nella società contemporanea, se non appositamente sottoposto a critica, lo s. è in genere propagato dalle comunicazioni di massa. Simboli e s. hanno un ruolo centrale nei media, condizionando al tempo stesso i comunicatori, che ne abbisognano per costruire un ritratto coerente e ordinato delle notizie, e gli utenti, che se ne servono a loro volta per interpretare i fatti (Tranfaglia, 1995).
In psicologia lo s. componente cognitiva nel quadro della teoria degli atteggiamenti è l’opinione precostituita, semplicistica e generalizzata, fondata non su dati di fatto e valutazioni personali di singoli casi da cui derivino nuovi giudizi (Jahoda, 1965), ma sul sentito dire riguardo a persone, avvenimenti o situazioni che si afferma nel tempo, come reale, tra i membri di un gruppo (corrispondente al francese cliché). Indipendentemente dalle origini e dalla verifica del suo valore, si traduce spesso in un complesso coerente e abbastanza rigido di credenze che un gruppo condivide, quale ‘luogo comune’, rispetto ad altro da sé. Variabile con lo stato delle relazioni tra gruppi, lo s. può ostacolare la comunicazione interpersonale influenzando le percezioni mediante il ‘pensiero schematico’ e costituire, soprattutto negli aspetti negativi, il nucleo cognitivo del ‘pregiudizio’; in questo senso è il risultato di una falsa operazione deduttiva (si attribuiscono a tutti i membri di una classe le caratteristiche proprie di quelli delle diverse sottoclassi) che supporta una ipergeneralizzazione.
In prevalenza le definizioni sottolineano gli aspetti di semplificazione e impermeabilità all’esperienza degli s.: "nozioni semplificate che non tengono conto delle sfumature e restano rigidamente immuni all’esperienza" per Asch (1952), "quadri caratteriali che si considerano validi per la maggior parte degli appartenenti a un gruppo" secondo Hofstätter (1973), in pratica figurano come strumenti di pensiero "pseudo-logici". Allport (1954) li definisce sbagliati già per il fatto di essere troppo generalizzati. Tuttavia la pretesa erroneità o falsità degli s. è stata analizzata con riferimento sia al processo di formazione (errori formali) sia al loro contenuto (errori di fatto, osservazioni non corrispondenti al vero) incontrando non poche contestazioni. Anzitutto perché, nel valutare sbagliata un’opinione, occorre una serie di cognizioni che è normalmente scarsa riguardo a oggetti (es. le idee sulla gente) troppo variabili per giustificare un giudizio invariabile (Katz-Stotland 1959). Inoltre le ricerche dimostrano che gli s. non sono necessariamente sbagliati: l’opinione su un gruppo di popolazione può influenzare il comportamento verso il medesimo e, a sua volta, suscitare in esso il comportamento che se ne presume tipico ("profezia autocompiuta" nell’interpretazione di Pettigrew, 1964) agendo così sul sistema sociale.
Lo s. di gruppo, definito nelle indagini empiriche in base alla quota maggioritaria dei suoi membri che concorda nell’attribuzione di un’etichetta, può riguardare propri membri (‘autostereotipo’) oppure quelli di un altro gruppo (‘eterostereotipo’). In realtà neppure l’accordo sulla testimonianza di un gruppo è prova sufficiente che il giudizio è condiviso dall’intera comunità: l’intervista, ad esempio, non rappresenta una testimonianza univoca al di là della significatività statistica.
Secondo Lippmann, che per primo ha analizzato gli s. nell’ambito della sua teoria su L’Opinione pubblica (ed. orig. 1922), la maggior parte delle cose è da noi immaginata prima, non dopo averne avuto esperienza. Riprendendo la colorita espressione di W. James secondo il quale ogni novità è una "grande, fiorente e ronzante confusione" come il mondo del bambino scegliamo quanto la nostra cultura ha già definito per noi e tendiamo a percepirlo nella forma che essa ha stereotipato. La vita è così breve, sottolineava G. B. Shaw, che le esigenze pratiche cui far fronte non ci permettono il lusso di riconoscere la nostra ignoranza valutando singolarmente tutti gli oggetti esistenti, ma ci costringono a schematizzarne "classi" di buoni e cattivi. Poiché "le nostre opinioni coprono uno spazio più ampio, un tempo più lungo, un numero maggiore di cose di quanto possiamo direttamente osservare", debbono necessariamente essere "costruite sulla base di ciò che è riferito da altri"; nemmeno il "testimone oculare" riporta un’immagine semplice dell’oggetto.
Nella dinamica dei rapporti interpersonali lo s. svolge determinate "funzioni": 1) risparmio di energia, in quanto, ammettendo valutazioni di tipicità e non di dettaglio, offre uno schema-guida per gli atteggiamenti (‘economia dello sforzo’); 2) integrazione nel gruppo (condividere le stesse credenze rappresenta un forte legame); 3) difesa dell’Ego (garanzia di rispetto della nostra posizione nella società o, anche, proiezione sull’altro di nostri impulsi e/o attribuzione all’altro di caratteristiche che giustificano il comportamento nei suoi confronti, come nel caso del ‘razzismo’). Poiché la nostra immagine delle cose è più immobile del flusso degli avvenimenti sostiene Lippmann (1922) viene il momento in cui i "punti ciechi" si spostano dai margini al centro della visione, cioè lo s. e i fatti divergono in modo definitivo; tipico il caso della guerra "giusta" e "vittoriosa" in base a s. riguardanti la propria forza e la debolezza del nemico. Dal punto di vista storico, aggiunge Allport (1954), gli s. si modificano nel tempo, aumentano e diminuiscono parallelamente all’intensità e alla direzione del "pregiudizio".
Nella società contemporanea, se non appositamente sottoposto a critica, lo s. è in genere propagato dalle comunicazioni di massa. Simboli e s. hanno un ruolo centrale nei media, condizionando al tempo stesso i comunicatori, che ne abbisognano per costruire un ritratto coerente e ordinato delle notizie, e gli utenti, che se ne servono a loro volta per interpretare i fatti (Tranfaglia, 1995).
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Bibliografia
- ALLPORT Gordon W., La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, Firenze 1973.
- ASCH Solomon E., Psicologia sociale, SEI, Torino 1989.
- BENVENUTO Sergio, Dicerie e pettegolezzi, Il Mulino, Bologna 2000.
- BLOCH Marc, La guerra e le false notizie, Donzelli, Roma 1994.
- BUCHANAN William - CANTRIL Hadley, How nations see each other, University of Illinois Press, Urbana (IL) 1953.
- DUIJKER Hubertus - FRIJDA Nico, National character and national stereotype, North-Holland Publishing Co., Amsterdam 1960.
- HOFSTÄTTER P. R., Sozialpsychologie, De Gruyter, Berlin 1973.
- JAHODA M. , Stereotype in GOULD J. KOLB L. W. (eds.), A dictionary of the social sciences, Free Press of Glencoe, New York 1964.
- KATZ D. - STOTLANDE E., A preliminary statement to a theory of attitude structure and change in KOCH S. (ed.), Psychology. A study of a science, vol. 3, McGraw-Hill, New York 1959.
- LIPPMANN Walter, L'opinione pubblica, Donzelli, Roma 2004 (ed. orig. 1922).
- MAZZARA Bruno M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997.
- PETTIGREW Thomas F., A profile of the negro american, Van Nostrand, Princeton (NJ) 1964.
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Note
Come citare questa voce
Gagliardi Carlo , Stereotipo, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (22/12/2024).
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