Hacker

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Autore: Franco Lever
Raoul Chiesa, l’ex hacker più famoso d’Italia
Uno dei significati denotati del verbo inglese to hack è ‘lavorare a colpi di accetta un pezzo di legno’; nel linguaggio informale invece il verbo traduce l’espressione italiana ‘saperci fare’. Nel gergo di Internet h. indica una persona che con il computer e con i relativi programmi ci sa veramente fare. Spesso si tratta, più che di informatici o ingegneri elettronici, di giovani autodidatti (homebrewer, ‘distillato in casa’) che sfruttano l’elevato indice autoistruzionale delle tecnologie informatiche per dotarsi di competenze che un normale percorso di formazione universitaria non potrebbe fornire. Di ogni componente del computer, dei programmi come delle reti l’h. è conoscitore appassionato, al punto da investire ogni sua risorsa nella verifica di tutte le possibilità offerte dai programmi, pronto a smascherare errori o false pretese o a dimostrare la violabilità di siti particolarmente protetti (ad esempio il sito del Pentagono o di un centro studi o di una banca). L’obiettivo perseguito dal vero h. non è l’impossessarsi di informazioni o il danneggiare i siti che visita, ma dimostrare la propria abilità e rivendicare l’accessibilità per tutti delle informazioni. Nessun h. si autodefinisce tale; sono gli altri che, sulla base della sua provata abilità, gli attribuiscono il titolo.
Il fenomeno, molto diffuso, ha alla sua origine delle motivazioni ideologiche (il principio dell’assoluta libertà di navigazione nello spazio telematico da affermare contro qualsiasi tentativo di limitazione), ma si carica spesso anche di un valore di sfida e trasgressione alle regole socialmente condivise e, da ultimo, può essere motivato da ragioni economiche (spionaggio industriale, ricatto a fini di estorsione – soprattutto nel caso del ‘mercato’ dei virus informatici e dei loro antidoti).
Gli stessi h. hanno reagito contro questa pratica, definendo i pretesi colleghi cracker. Anche in questo caso il termine – adottato negli anni Novanta – riprende il significato familiare di un verbo inglese, to crack, che significa ‘rompere’, ma anche ‘scassinare’ e ‘dire fandonie e vanterie’. Secondo gli h. infatti i cracker non sono soltanto dei volgari pirati, ma anche dei millantatori, dal momento che si vantano per delle imprese che spesso non sono frutto di particolari abilità e conoscenze, ma piuttosto di enorme pazienza per provare all’infinito – fino a quando il caso non li aiuti – procedure elementari. Nonostante le buone intenzioni di chi ha lanciato questo secondo termine, la distinzione tra h. e cracker è assai poco conosciuta; i media, ad esempio, utilizzano quasi esclusivamente il primo dei due termini.
Gli h., per le implicazioni delle loro azioni, hanno contribuito considerevolmente negli ultimi anni alla riflessione etico-giuridica sulla comunicazione in rete (Diritto e comunicazione). I problemi della privacy e del copyright, del segreto commerciale o di Stato, della violazione della proprietà, sono solo alcune delle questioni su cui la società civile è chiamata a confrontarsi nella necessità di produrre una legislazione adatta alla tutela degli interessi e dei diritti dei cittadini.
La spinta rivoluzionaria degli inizi sta oggi cedendo spazio al fatto di costume: gli h. celebrano regolarmente i loro convegni, pubblicano le loro riviste e hanno dei siti web visitabili da tutti. Oltre a questo bisogna considerare che molte aziende stanno favorendo la loro integrazione, assumendoli come esperti nella protezione telematica e trasformandoli, in questo modo, da pericolosi nemici in dipendenti.

Bibliografia

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Come citare questa voce
Lever Franco , Hacker, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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