Monologo
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Autore: Tadeusz Lewicki
Il m., nella sua definizione più classica in ambito teatrale, è una lunga prolusione di natura riflessiva, lirica, retorica o descrittiva che normalmente viene pronunciata dal protagonista. Sin dall’inizio della drammaturgia teatrale il m. fa parte irrinunciabile della storia degli eventi sul palcoscenico, pur rimanendo dominante nel dramma teatrale la forma dialogica. In opposizione, dunque, al dialogo, si è sviluppata questa forma di esposizione del pensiero, del racconto, dell’emozione, della fantasia, diventata l’orgoglio dell’esibizione dei più grandi attori nella storia del teatro e dello spettacolo in generale. Dal punto di vista dell’attore sul palcoscenico, il m. può essere definito l’apice della sua vita scenica, della recitazione.
I tipi di m. possono essere distinti secondo le loro funzioni nel dramma: il prologo e l’epilogo rappresentano quella particolare forma di m. che introduce e accomiata lo spettatore dal mondo della fantasia del drammaturgo (vedi, per es., il prologo dell’Enrico V o l’epilogo del Come vi pare di Shakespeare). All’interno del dramma si trovano il m. di racconto, che narra i fatti successi altrove e non mostrati sul palcoscenico (la classica forma che obbedisce all’unità di azione); il m. di riflessione lirica, in cui l’eroe condivide con lo spettatore il suo stato d’animo, le proprie emozioni (vedi il famoso To be or not to be di Amleto); il m. di decisione, quando l’eroe, di fronte a una scelta drammatica, discute tra sé e sé gli argomenti pro e contra la sua prossima azione (vedi il m. di Macbeth).
Ci sono poi forme più sofisticate in cui il m. è un dialogo solitario, in cui l’eroe dialoga con la divinità, paradossalmente ponendo le domande e dando allo stesso momento le risposte; oppure il m. pièce teatrale indipendente (talvolta chiamato ‘monodramma’) o la forma più recente della ‘performance’ nella stand-up comedy anglosassone o statunitense Teatrante di Thomas Bernhard, L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett spesso altamente drammatica, momento culminante della vita dell’eroe. Il teatro (come il cinema) conosce anche modi in cui il m. (specialmente quello riflessivo e lirico) viene proposto da una voce recitante fuori scena e lo spettatore assiste solo a una recitazione espressiva, corporea dell’attore (p. es. Hamlet nella regia cinematografica di Grigori Kozyntsev con Innokenti Smoktunovsky come Amleto del 1964).
C’è poi il m. improvvisato, che viene creato dal performer seguendo una traccia-base (vedi la Commedia dell’Arte o i drammi dei romantici) e insieme le reazioni del pubblico. Il m. d’improvvisazione è particolarmente popolare nel cabaret e nel varietà d’attualità (vedi i monologhi dell’attore e comico italiano Paolo Rossi o i lunghi monologhi-spettacoli di Roberto Benigni), dove spesso il contenuto del m. viene attualizzato secondo le esigenze politico-sociali e culturali del momento.
I tipi di m. possono essere distinti secondo le loro funzioni nel dramma: il prologo e l’epilogo rappresentano quella particolare forma di m. che introduce e accomiata lo spettatore dal mondo della fantasia del drammaturgo (vedi, per es., il prologo dell’Enrico V o l’epilogo del Come vi pare di Shakespeare). All’interno del dramma si trovano il m. di racconto, che narra i fatti successi altrove e non mostrati sul palcoscenico (la classica forma che obbedisce all’unità di azione); il m. di riflessione lirica, in cui l’eroe condivide con lo spettatore il suo stato d’animo, le proprie emozioni (vedi il famoso To be or not to be di Amleto); il m. di decisione, quando l’eroe, di fronte a una scelta drammatica, discute tra sé e sé gli argomenti pro e contra la sua prossima azione (vedi il m. di Macbeth).
Ci sono poi forme più sofisticate in cui il m. è un dialogo solitario, in cui l’eroe dialoga con la divinità, paradossalmente ponendo le domande e dando allo stesso momento le risposte; oppure il m. pièce teatrale indipendente (talvolta chiamato ‘monodramma’) o la forma più recente della ‘performance’ nella stand-up comedy anglosassone o statunitense Teatrante di Thomas Bernhard, L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett spesso altamente drammatica, momento culminante della vita dell’eroe. Il teatro (come il cinema) conosce anche modi in cui il m. (specialmente quello riflessivo e lirico) viene proposto da una voce recitante fuori scena e lo spettatore assiste solo a una recitazione espressiva, corporea dell’attore (p. es. Hamlet nella regia cinematografica di Grigori Kozyntsev con Innokenti Smoktunovsky come Amleto del 1964).
C’è poi il m. improvvisato, che viene creato dal performer seguendo una traccia-base (vedi la Commedia dell’Arte o i drammi dei romantici) e insieme le reazioni del pubblico. Il m. d’improvvisazione è particolarmente popolare nel cabaret e nel varietà d’attualità (vedi i monologhi dell’attore e comico italiano Paolo Rossi o i lunghi monologhi-spettacoli di Roberto Benigni), dove spesso il contenuto del m. viene attualizzato secondo le esigenze politico-sociali e culturali del momento.
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Bibliografia
- CARLSON Marvin, Teorie del teatro. Panorama storico e critico, Il Mulino, Bologna 1997.
- PAVIS P., Theatre at the crossroads of culture, Routledge, London 1992.
- ROSE M., Monologue plays for female voices: an introductory study, Tirrenia Stampatori, Torino 1995.
- SZONDI P., Teoria del dramma moderno 1880-1950, Einaudi, Torino 1962.
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Come citare questa voce
Lewicki Tadeusz , Monologo, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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