Videogioco
- Testo
- Bibliografia21
- Foto2
- Voci correlate
Autori: Pier Cesare Rivoltella, Guido Michelone
1) I v. (o videogames, termine ancora in uso anche nella lingua italiana) si affermano prima in America poi nel mondo attorno alla metà degli anni Settanta, sull’onda del massiccio ingresso di nuove tecnologie elettroniche nella sfera del sociale e dopo l’iniziale applicazione nel settore bellico (come già accaduto con altri media, ad esempio la radio durante la prima guerra mondiale).
Il primo v., Ping-pong (1975), è ancora rudimentale sotto l’aspetto sia visivo sia ludico: un puntino luminoso rimbalza agli estremi di un monitor grigio per essere palleggiato da due rettangolini bianchi (i giocatori). Ma con l’evoluzione dell’informatica, i v. già agli inizi degli anni Ottanta compiono notevoli salti qualitativi, arrivando a collegarsi ai personal computer (PC) e a proporre interessanti soluzioni tanto nella parte iconica quanto nella struttura agonistica o competitiva.
Il v. diventa allora una finestra elettronica in cui uno o più spettatori gareggiano grazie alle trovate più immaginifiche. In tal senso, da un certo punto in avanti, con l’ingresso della multimedialità e degli effetti tridimensionali, tutto può diventare v.: una partita a scacchi o a poker, una corsa di Formula Uno, un match calcistico, la guida di un jet, un percorso a dedalo, una fiaba o un film, un racconto drammatizzato in modo tale che l’utente scopra personaggi, trabocchetti o colpi di scena, semplicemente cliccando sul mouse o premendo le manopole della console.
2) Lo sviluppo recente di v. in cui l’aspetto immersivo e di simulazione è particolarmente sviluppato (come gli adventures o i v. di ruolo) ha contribuito a imporre su questo tipo di intrattenimento una riflessione etica e pedagogica.
Un primo ordine di considerazioni viene autorizzata sul piano delle pratiche individuali e sociali. Il v., soprattutto se cruento o dotato di contenuti fortemente agonistici, può favorire il sorgere di sottoculture ideologicamente omogenee (violenza, misoginia, rifiuto della società) e fortemente coese al loro interno, che trovano nella sala-giochi ( arcade) il loro naturale terreno di proliferazione. Sul piano individuale, invece, molti estendono al v. le stesse considerazioni già fatte in margine al consumo di televisione: toglierebbe tempo ad altre pratiche più costruttive e socializzanti, indurrebbe dipendenza, produrrebbe una cultura individualistica e ripiegata sul privato.
Queste osservazioni chiamano in causa direttamente il punto di vista educativo. Molti condividono, a questo proposito, una visione molto preoccupata del fenomeno, sottolineando come il v. sia di fatto l’opposto dell’educazione: è ludico, mentre l’educazione implicherebbe fatica; è costruito su schemi ripetitivi che non costituirebbero un valido strumento di sviluppo cognitivo ma solo di abilità e destrezza (skill); favorisce la progressiva emarginazione delle figure educatrici dai processi formativi; produce, infine, un approccio veloce e superficiale ai problemi laddove la riflessione avrebbe bisogno di tempi più lunghi e una maggiore profondità di indagine.
Di fatto la ricerca più recente consiglia un atteggiamento meno catastrofista prospettando per il v. uno spazio di applicazione all’interno della didattica. I punti di forza di questa rivalutazione sono fondamentalmente due: da una parte l’idea di ripensare l’apprendimento in termini ludici, recuperando l’approccio ai problemi creativo e informale che è proprio del bambino (Maragliano); d’altra parte il fatto che, soprattutto in alcune categorie di v., la simulazione di situazioni reali comporta un allenamento al problem solving da parte degli utenti con evidenti positive ricadute sul piando didattico-formativo.
Evidentemente esiste il rischio di configurare a questo proposito atteggiamenti di condanna o di entusiasmo che pecchino di semplificazione e unilateralità. Di fatto, come sempre, anche nel caso del v. sono diverse le variabili da considerare perché esso possa costituire un’esperienza educativamente ed eticamente positiva: la qualità dei prodotti, la consapevolezza critica dell’utente, i contesti (sociale, familiare, scolastico) coinvolti. La valutazione etica ed educativa del fenomeno non può prescindere dal collocarsi dentro questa visione sistemica e complessa della questione per giungere a risultati significativi. (Videodipendenza)
Il primo v., Ping-pong (1975), è ancora rudimentale sotto l’aspetto sia visivo sia ludico: un puntino luminoso rimbalza agli estremi di un monitor grigio per essere palleggiato da due rettangolini bianchi (i giocatori). Ma con l’evoluzione dell’informatica, i v. già agli inizi degli anni Ottanta compiono notevoli salti qualitativi, arrivando a collegarsi ai personal computer (PC) e a proporre interessanti soluzioni tanto nella parte iconica quanto nella struttura agonistica o competitiva.
Il v. diventa allora una finestra elettronica in cui uno o più spettatori gareggiano grazie alle trovate più immaginifiche. In tal senso, da un certo punto in avanti, con l’ingresso della multimedialità e degli effetti tridimensionali, tutto può diventare v.: una partita a scacchi o a poker, una corsa di Formula Uno, un match calcistico, la guida di un jet, un percorso a dedalo, una fiaba o un film, un racconto drammatizzato in modo tale che l’utente scopra personaggi, trabocchetti o colpi di scena, semplicemente cliccando sul mouse o premendo le manopole della console.
2) Lo sviluppo recente di v. in cui l’aspetto immersivo e di simulazione è particolarmente sviluppato (come gli adventures o i v. di ruolo) ha contribuito a imporre su questo tipo di intrattenimento una riflessione etica e pedagogica.
Un primo ordine di considerazioni viene autorizzata sul piano delle pratiche individuali e sociali. Il v., soprattutto se cruento o dotato di contenuti fortemente agonistici, può favorire il sorgere di sottoculture ideologicamente omogenee (violenza, misoginia, rifiuto della società) e fortemente coese al loro interno, che trovano nella sala-giochi ( arcade) il loro naturale terreno di proliferazione. Sul piano individuale, invece, molti estendono al v. le stesse considerazioni già fatte in margine al consumo di televisione: toglierebbe tempo ad altre pratiche più costruttive e socializzanti, indurrebbe dipendenza, produrrebbe una cultura individualistica e ripiegata sul privato.
Queste osservazioni chiamano in causa direttamente il punto di vista educativo. Molti condividono, a questo proposito, una visione molto preoccupata del fenomeno, sottolineando come il v. sia di fatto l’opposto dell’educazione: è ludico, mentre l’educazione implicherebbe fatica; è costruito su schemi ripetitivi che non costituirebbero un valido strumento di sviluppo cognitivo ma solo di abilità e destrezza (skill); favorisce la progressiva emarginazione delle figure educatrici dai processi formativi; produce, infine, un approccio veloce e superficiale ai problemi laddove la riflessione avrebbe bisogno di tempi più lunghi e una maggiore profondità di indagine.
Di fatto la ricerca più recente consiglia un atteggiamento meno catastrofista prospettando per il v. uno spazio di applicazione all’interno della didattica. I punti di forza di questa rivalutazione sono fondamentalmente due: da una parte l’idea di ripensare l’apprendimento in termini ludici, recuperando l’approccio ai problemi creativo e informale che è proprio del bambino (Maragliano); d’altra parte il fatto che, soprattutto in alcune categorie di v., la simulazione di situazioni reali comporta un allenamento al problem solving da parte degli utenti con evidenti positive ricadute sul piando didattico-formativo.
Evidentemente esiste il rischio di configurare a questo proposito atteggiamenti di condanna o di entusiasmo che pecchino di semplificazione e unilateralità. Di fatto, come sempre, anche nel caso del v. sono diverse le variabili da considerare perché esso possa costituire un’esperienza educativamente ed eticamente positiva: la qualità dei prodotti, la consapevolezza critica dell’utente, i contesti (sociale, familiare, scolastico) coinvolti. La valutazione etica ed educativa del fenomeno non può prescindere dal collocarsi dentro questa visione sistemica e complessa della questione per giungere a risultati significativi. (Videodipendenza)
Foto
Video
Non ci sono video per questa voce
Bibliografia
- ANDERSON Craig A. - GENTILE Douglas A. - BUCKLEY Katherine E., Videogiochi violenti. Effetti sui bambini e adolescenti, Centro Scientifico Editore, Torino 2008.
- ATTINA' Marinella (ed.), Dalla fiaba al videogioco. Linguaggi formativi a confronto, Edisud Salerno, Salerno 2005.
- CARLÀ Francesco, Space invaders. La vera storia dei videogiochi, Castelvecchi, Roma 1996.
- CECCHERELLI Alessio, Oltre la morte. Per una mediologia del videogioco, Liguori, Napoli 2007.
- CRAIG ANDERSON Alan - GENTILE Douglas A. - BUCKLEY Katherine E., Violent video game effects on children and adolescents. Theory, research, and public policy, Oxford University Press, New York 2007.
- FRIGNANI Paola - ACCORDI RICKARDS Marco, Le professioni del videogioco. Una guida all'inserimento nel settore video ludico, Tunué, Latina 2010.
- GEE James Paul, What video games have to teach us about learning and literacy, Palgrave MacMillan, New York 2007.
- GENOVESI Roberto, L'ABC dei videogiochi, Dino Audino, Roma 2006.
- GREENFIELD Patricia M., Mente e media. Gli effetti della televisione, dei computer e dei videogiochi sui bambini, Armando, Roma 1995.
- JENKINS Henry, Fans, bloggers and gamers: media consumers in a digital age, New York University Press, New York 2006.
- JENKINS Henry - BOCCIA ARTIERI Giovanni, Fan, blogger e videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, Franco Angeli, Milano 2008.
- JOHNSON Steven, Tutto quello che fa male ti fa bene : perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti, Mondadori, Milano 2006.
- KERMOL Enzo - PIRA Francesco, Videogiocando. Pro e contro i nuovi divertimenti dei bambini, CLEUP, Padova 2001.
- KUTNER Lawrence - OLSON Cheryl K., Grand theft childhood: the surprising truth about violent video games and what parents can do, Simon and Schuster, New York 2008.
- LOPEZ Ximena, Videogiochiamo dunque impariamo?, Nuova Cultura, Roma 2010.
- MARAGLIANO Roberto, Esseri multimediali, La Nuova Italia, Firenze 1996.
- NARDONE Rosy, I nuovi scenari educativi del videogioco, Junior, Bergamo 2007.
- PECCHINENDA Gianfranco, Videogiochi e cultura della simulazione: la nascita dell’, Laterza, Roma/Bari 2004.
- ROSSI Fabio, Dizionario dei videogame, Vallardi, Milano 1993.
- VORDERER Peter - BRYANT Jennings, Playing video games. Motives, responses, and consequences, Routledge, London/New York 2006.
- WERNER Paul Mayer - SETER Georg, I figli del computer, ELLEDICI, Leumann (TO) 1998.
Documenti
Non ci sono documenti per questa voce
Links
Non ci sono link per questa voce
Come citare questa voce
Rivoltella Pier Cesare , Michelone Guido , Videogioco, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (25/12/2024).
Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
1331